Rapida carrellata dei santi patroni dei capoluoghi regionali. Una straordinaria ricchezza di storie, consuetudini, riti religiosi, tradizioni e feste di popolo. Come quella di Agrigento
Difficile sintetizzare in un paio di pagine i Patroni italiani, perché ogni regione, ogni città ha il suo. L’Italia, in quanto nazione, ha i fin troppo noti s. Francesco d’Assisi e s. Caterina da Siena. Anche le categorie professionali hanno i loro, e non dimentichiamo che non c’è regione storica che non abbia la Madonna quale patrona principale nei vari santuari in cui è venerata. Per esempio, la Lombardia ha Caravaggio, la Toscana ha Montenero, l’Abruzzo ha Loreto, la Sardegna ha Bonaria, la Sicilia ha Tindari, la Campania ha Montevergine, e così via. Ci vorrebbe un intero (grosso) libro. Che ho già fatto: Il grande libro dei santi protettori (Piemme). Qui abbiamo spazio solo per i santi dei capoluoghi regionali, scusandoci per la miriade di altri che siamo costretti a trascurare.
Partendo dall’alto, Aosta: s. Grato. Vescovo della città tra il 450 e il 470, era un greco. Poiché toccando la sua lapide mortuaria i lebbrosi venivano risanati, le autorità furono costrette a trasferirla direttamente nel lebbrosario. Trento ha come patrono s. Vigilio: di famiglia romana, fu vescovo ed evangelizzò l’intera zona. Fu lapidato dai pagani nel 405, perché aveva abbattuto il simulacro di Saturno ed era salito sul piedistallo dell’idolo per predicare. Torino ha come patrona Maria SS. Consolata. Il primo vescovo della città, s. Massimo, ne ebbe in dono l’immagine da s. Eusebio di Vercelli, che l’aveva portata dalla Terrasanta. Al tempo delle controversie iconoclaste venne nascosta e si ritenne perduta fin verso l’anno Mille, quando la Vergine apparve al re Arduino che si era ritirato in monastero. Milano è protetta da s. Ambrogio, vescovo che governò al tempo di Teodosio e lasciò un rito liturgico (e un canto) che ancora oggi viene eseguito e che porta il suo nome: ambrosiano. Udine ha due patroni: i ss. Ermagora e Fortunato. Ermagora era un cittadino di Aquileia che s. Marco battezzò e inviò a Roma a s. Pietro. Questi lo fece vescovo. Subì il martirio insieme al suo diacono Fortunato al tempo di Nerone. Venezia ha s. Marco, l’evangelista le cui spoglie furono portate nella Serenissima da Alessandria d’Egitto. Genova ha s. Giorgio di Lydda, tribuno romano martirizzato in Palestina e divenuto poi patrono dei militari. Celeberrima la sua icona in cui combatte il drago.
A Bologna c’è s. Petronio, figlio del proconsole d’Africa Sesto Petronio Probo e vescovo nel 431. Amico di s. Ambrogio, era cognato dell’imperatore Teodosio II. Firenze ha come patrono s. Giovanni Battista, l’araldo di Gesù. Ancona ha s. Ciriaco, che era un rabbino di Gerusalemme e si chiamava Giuda. Quando s. Elena, madre dell’imperatore Costantino, rinvenne la Croce, per verificarne l’autenticità vi fece stendere un cadavere. Che subito resuscitò. E il rabbino si convertì, facendosi battezzare come Ciriaco, nel 326. Divenuto vescovo,fu martirizzato nel 363, a Gerusalemme, per ordinedell’imperatore Giuliano l’Apostata, insieme alla madre Anna; entrambi verranno sepoltialle pendici del Golgota dove, nel418, verranno trasferiti ad Ancona, per interventodell’imperatrice romana Galla Placidia (388/92-450). Perugia, s. Costanzo. Era un giovane vescovo che, al tempo della persecuzione di Marco Aurelio, fu gettato in una fornace ma ne uscì indenne. Le guardie, che si convertirono a quella vista, lo fecero fuggire. Ma venne riacciuffato e decapitato. Pescara ha s. Ceteo. Era vescovo e, al tempo dell’invasione longobarda, si rifugiò a Roma presso il papa s. Gregorio Magno. Ritornato nella sua città, finì gettato nel fiume con una pietra al collo. I protettori di Roma sono i ss. Pietro e Paolo, fin troppo noti.
A Campobasso abbiamo s. Leonardo da Nobiliacum. Nel VI secolo era eremita nella foresta di Limoges. Qui ebbe la ventura di aiutare nel parto la moglie del re Clodoveo, il quale gli donò un terreno. Nel terreno fu scavato un pozzo che si riempì miracolosamente di acqua e fu chiamato Nobiliacum, «dono del nobile» re. Ai prigionieri che invocavano il santo si spezzavano le catene. Molti di questi vollero vivergli accanto e così sorse la città di Saint-Léonard-de-Noblat. Il santo fu reso famoso dai normanni (Boemondo di Antiochia nel 1103 fu liberato dalla prigionia musulmana per sua intercessione), che ne portarono il culto in Italia. La città di Campobasso si formò proprio attorno a una chiesa dedicata al santo. Napoli ha s. Gennaro, giovane vescovo di Benevento che subì il martirio a Pozzuoli nel III secolo. A Bari c’è s. Nicola, vescovo di Mira (l’attuale Dembre, in Turchia). Martirizzato al tempo di Diocleziano, le sue reliquie furono trafugate con un colpo di mano da marinai baresi nel 1087. Al Nord il suo nome, s. Nikolaus, divenne Santa Klaus, che porta i doni. Infatti, per salvare tre ragazze poverissime dalla prostituzione, fece loro trovare delle borse piene di monete d’oro. Il patrono di Potenza è s. Gerardo, un piacentino che attorno al 1121 divenne vescovo della città. Lo si ricorda con la cosiddetta «cavalcata dei turchi», una manifestazione folkloristica che ricorda quando il santo salvò Potenza da un attacco saraceno. Reggio Calabria condivide con Genova il patrono, s. Giorgio di Lydda.
Cagliari ha un protettore ufficiale, che è s. Saturnino (vescovo di Tolosa, martirizzato legato alle corna di un toro infuriato; ma potrebbe essere un altro Saturnino, martire africano le cui reliquie furono portate a Cagliari). Ma c’è anche un compatrono, che è più famoso: s. Efisio. Era un tribuno del tempo di Diocleziano. Ebbe una visione miracolosa della Croce e si convertì. Assegnato alla zona di Cagliari, incappò nella persecuzione e finì decapitato. Il giorno della sua festa è occasione di una spettacolare processione a cavallo in costume sardo, preceduta dai carabinieri e accompagnata da carri tirati da buoi. Palermo onora s. Rosalia, discendente di Carlo Magno e dama di corte poi ritiratasi in eremitaggio in una grotta. Sarebbe morta a trentacinque anni nel 1160. C’è chi dice che era figlia di Maria Guiscarda, cugina del re normanno Ruggero II. Damigella alla corte del successore, Guglielmo II, rifiutò il fidanzamento con Baldovino, poi re di Gerusalemme, e si fece eremita sul Monte Pellegrino.
Le sue reliquie vennero ritrovate solo nel 1624, quando la Santa apparve a una donna, indicandole il luogo esatto. Il corpo, portato in città, salvò Palermo dalla peste. La sua festa fino all’Ottocento durava cinque interi giorni. Oggi, la processione accompagna un enorme carro alto dodici metri.
Questi sono dunque i patroni dei capoluoghi regionali italiani. Ne abbiamo dato brevi cenni, soffermandoci un po’ di più su quelli meno conosciuti. Per esigenze di spazio, come abbiamo detto, abbiamo dovuto sacrificare santi anche più famosi ma le cui vicende, tuttavia, sono così note che non vale la pena tornarci sopra. Anche le feste che li riguardano sono così varie e variate da non consentirci di elencarle né descriverle. Ognuna di esse ha una tradizione antica e le usanze popolari (e i dolci tradizionali) ad esse legate costituiscono un patrimonio culturale inestimabile. E ci sarebbero anche le curiosità. Per esempio, è ben notorio che il sangue di s. Gennaro “squaglia” due volte l’anno. Ma non tutti sanno che a Napoli anche il sangue di s. Patrizia fa lo stesso. E che in molte località anche altri santi danno luogo a miracoli analoghi. Va detto, poi, che molte città hanno più di un patrono. Per restare a Napoli, il capoluogo campano ne ha una cinquantina. Sono parecchi, inoltre, i luoghi italiani che hanno lo stesso protettore. Per esempio, s. Antonio di Padova protegge una caterva di comuni, soprattutto nel meridione. E non era nemmeno italiano, bensì portoghese, e non si chiamava Antonio ma Fernando. Un altro santo con molte “protezioni” è s. Rocco, che era un pellegrino francese scambiato per una spia e lasciato morire in carcere nel XVI secolo. E poi c’è s. Gerardo Maiella, il giovane redentorista che ha addirittura un suo santuario. E s. Gabriele Possenti, detto “dell’Addolorata”, anche lui giovane. Passionista, negli Usa è considerato patrono dei tiratori. Si dice che, mentre era novizio, abbia soccorso una ragazza cui i bersaglieri, piemontesi e invasori, intendevano usare violenza. Il Santo cercò di dissuaderli ma quelli risero. Allora, svelto, sottrasse la pistola al capitano e, con essa, centrò una lucertola a cinquanta passi. A quella vista, la ragazza fu rilasciata con tante scuse.
Ci sarebbe anche da parlare dei presepi artistici presenti in molti luoghi, delle sacre rappresentazioni, i Sacri Monti, le incredibili Settimane Sante di molte città, specialmente del Sud. Ci limiteremo qui a descrivere una sola festa patronale, che da sola testimonia la rutilante ricchezza della nostra, plurima, tradizione religiosa nazionale.
La festa di s. Calogero, ad Agrigento, dura otto giorni (quantunque il patrono della città sia un altro, s. Gerlando). Alla vigilia, davanti al santuario, un nutrito gruppo di tamburini rulla per ore al comando di un capo-tamburo: l’usanza è precristiana e serve a cacciare gli spiriti maligni.
L’indomani a mezzogiorno, dopo la messa solenne, si sciolgono le campane e la statua del Santo viene portata a spalla in giro per la città. La competizione per avere l’onore del trasporto è intensissima e copre quasi tutto l’anno precedente.
La statua, pesantissima, esce di chiesa facendo diverse volte avanti-e-indietro sulla rampa di scale ad anfiteatro che accedono al superiore piano stradale: si simboleggia la riluttanza del Santo a entrare in città per i molti peccati di questa. Alla fine viene convinto, ed esplode la musica. In tutte le vie percorse, dai balconi e dalle finestre la gente lancia sulla statua dei pani benedetti, che vengono raccolti e consumati dalla gente in strada. Ciò ricorda il tempo in cui il Santo soccorreva gli appestati e mendicava il pane per loro: gli agrigentini, per timore del contagio, glielo lanciavano dalle finestre. Ogni tanto la processione deve fermarsi (si svolge in luglio, e il caldo è davvero intenso) per permettere ai devoti di toccare la statua. La quale è posta su un’“urna” e, dunque, sovrasta totalmente la folla: i fedeli si arrampicano, spesso sulle spalle dei portatori, e non di rado la statua viene letteralmente sommersa dai corpi. Bambini bisognosi di una grazia vengono issati fino a poter abbracciare la statua. Nella quale il Santo è raffigurato con la pelle nera, perché Calogero era un eremita africano fuggito in Sicilia per sottrarsi alle persecuzioni dei Vandali ariani. Calogero non protegge solo Agrigento ma anche Naro, che gli dedica una festa altrettanto lunga e fantasmagorica. Rimane giusto lo spazio per ricordare che la festa religiosa italiana più famosa nel mondo è il Palio di Siena, dedicato a Maria SS. Assunta.
Dossier: SANTI PATRONI
IL TIMONE N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 39 – 41
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