Un profilo del Cardinale Angelo Scola, nuovo pastore della diocesi ambrosiana. Che nel suo primo discorso ha chiesto di mettere al centro l’annuncio e la testimonianza della verità di Cristo. Vincendo la tentazione di adeguarsi alla mentalità del mondo
Nell’omelia per l’inizio del suo episcopato milanese il nuovo arcivescovo ambrosiano Angelo Scola ha scelto di ripartire dalle parole amare eppure così vere vergate nel 1934 da Giovanni Battista Montini: «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in parte della cultura contemporanea ». Una «lucida e profetica diagnosi », l’ha definita il cardinale, che dopo aver ricevuto il pastorale di san Carlo dalle mani del predecessore Dionigi Tettamanzi ha indicato nella missione la priorità per la Chiesa di Milano.
«Nel giovane Montini – ha spiegato il nuovo arcivescovo – era ben chiara una convinzione: un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana degli uomini, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di comunicarsi». Da qui nasce quel processo che «avrebbe portato inesorabilmente alla separazione tra la fede e la vita» e «avrebbe condotto al massiccio abbandono della pratica cristiana con grave detrimento per la vita personale e comunitaria della Chiesa e della società civile».
Il cardinale ha ricordato di aver avuto «dolorosa e crescente conferma dell’attualità di questa diagnosi» negli anni in cui è stato vescovo, prima a Grosseto (dal 1991 al 1995), poi a Roma come rettore della Lateranense (dal 1995 al 2002) e infine a Venezia come patriarca (dal 2002 al 2011). Tanta gente è lontana dalla fede, pur non essendo contraria per partito preso al senso cristiano dell’esistenza: «Non riescono a vederne la convenienza per la vita quotidiana loro e dei loro cari». Da qui discende l’urgenza di tornare ad annunciare Cristo. Senza scuse o pretesti. Scola ha chiesto ai cristiani di «andare» e di «rendersi vicini agli uomini e alle donne in tutti gli ambiti della loro esistenza». Proprio come il Nazareno «andava verso l’uomo concreto, per condividerne in tutto la condizione ed il bisogno», perché l’unico «nostro intento è far trasparire Cristo luce delle genti sul volto della Chiesa». Un invito dunque a mettere al centro l’annuncio e la testimonianza verso tutti, in ogni circostanza e ambiente, superando «ogni tentazione di adattamento alla mentalità di questo mondo» e accettando la croce che umiliò Gesù: «Siamo appunto nella condizione di non avere quaggiù una città stabile».
Inizia dunque sotto il segno della missione l’episcopato del cardinale che Benedetto XVI ha personalmente voluto inviare sotto la Madonnina. Nato a Malgrate (Lecco) il 7 novembre 1941, secondo dei due figli di Carlo Scola e Regina Colombo, l’arcivescovo ha sempre raccontato d’essere «orgoglioso di venir da una famiglia poverissima: i miei hanno sempre vissuto in un appartamentino nella vecchia corte di una grande fattoria di non più di 35 metri quadrati dove c’era un piccolo ambiente con una stufa economica che fungeva da cucina, da salotto e da tutto. Poi si entrava nella camera da letto dei miei e da lì si passava in un bugigattolo dove dormivamo io e mio fratello». Povera, certo, ma ricca d’amore. Come ricorderà lo stesso Scola: «Io ho avuto la fortuna di vedere la verità e la bellezza dell’amore nello sguardo del mio papà verso la mia mamma dopo 55 anni di matrimonio. C’era una tale riuscita d’umanità in quello sguardo…».
Il padre del cardinale era camionista. «Mi ha dato il senso del viaggio e il gusto del lavoro. Guidava un Fiat 626 che faceva al massimo 37 chilometri l’ora. Allora non c’era il servosterzo, doveva girare le ruote a forza di braccia. Gli erano venuti due muscoli così. Portò fino a Messina il prototipo del palo per l’illuminazione dello Stretto, impiegando 17 giorni. Senza autostrade e senza telefono, non si sapeva mai quando sarebbe tornato». Nella casa di ringhiera di via Sant’Antonino a Malgrate, entravano tre giornali. Il settimanale cattolico di Lecco, “Resegone”, che mamma Regina faceva distribuire dai figli nel paese. Ma anche “l’Unità” e “l’Avanti!”, i quotidiani preferiti dal padre Carlo, socialista nenniano. «La passione per il popolo – confiderà Scola – l’ho presa da lui. Gli devo molto. Compreso il fatto che, essendo un socialista massimalista, mi ha fatto studiare perché “l’Unità” e “l’Avanti!” raccomandavano di mandare i figli a scuola… Si ammazzò di lavoro, per farci studiare».
È la madre Regina che trasmette ai figli la fede cristiana: «Ognuno di noi ha assimilato la fede con tale naturalezza per cui per noi credere è come respirare. Non occorrono tanti ragionamenti. La fede è qualcosa di radicato nel profondo del nostro cuore perché i nostri genitori ce l’hanno trasmessa passandoci il latte, la tenerezza e la delicatezza della loro edificazione familiare e sociale».
Negli anni del liceo classico Manzoni, a Lecco, il futuro cardinale, dopo aver vissuto un periodo di crisi («Era come se Dio non ci fosse, come se la Chiesa non ci fosse, se Dio non contasse più, come se avessi seppellito le domande più importanti della vita»), incontra don Luigi Giussani, venuto a Lecco per un incontro in preparazione della Pasqua 1958. «Quando lo sentii parlare della gioventù come tensione e del rapporto tra Cristo e la mia vita, ebbi un fremito, e cominciai a guardare a Cristo in maniera diversa… Durante l’ultimo anno di liceo cominciai a parlare di Cristo con i miei compagni. Ci misi la faccia. La mia vita è cambiata in quel momento». Da allora Angelo Scola si mette a seguire il sacerdote fondatore di CL. Prima all’Università Cattolica e poi negli anni del seminario. Si è molto parlato del fatto che il nuovo arcivescovo fu allontanato dal seminario ambrosiano. In realtà fu lui ad andarsene, dopo aver appreso che i superiori non intendevano anticipargli il suddiaconato e che per questo sarebbe stato costretto a fare il militare per diciotto mesi, rischiando di perdere fino a tre anni di studi seminaristici. Per questo, consigliato da vari sacerdoti, si rivolse al vescovo di Teramo e venne ordinato prete nel 1970.
La nomina di Scola a Milano è stata presentata da alcuni ambienti come una “rivincita” di CL e come una mossa per contrastare la giunta Pisapia; da altri come una “restaurazione” che mette fine alla linea dei predecessori Carlo Maria Martini e Tettamanzi. In realtà, all’origine della scelta c’è una conoscenza personale e un rapporto durato quarant’anni tra Scola e Joseph Ratzinger. I due si conobbero a Regensburg durante la Quaresima del 1971: «Un giovane professore di diritto canonico, due sacerdoti non ancora trentenni studenti di teologia e un giovane editore erano a tavola, invitati dal professor Ratzinger, in un caratteristico ristorante in riva al Danubio che, a Regensburg, scorre né troppo lento né troppo impetuoso così da far ancora pensare al bel Danubio blu. L’invito l’aveva procurato von Balthasar per discutere della possibilità di fare un’edizione italiana di quella rivista che sarebbe poi stata Communio».
Nella sua scelta Benedetto XVI non ha pensato agli equilibri politici delle giunte milanesi né ai desiderata di qualche forza politica. Ha ritenuto invece di inviare a Milano una personalità di valore, da lui personalmente conosciuta e stimata, che negli anni di episcopato veneziano ha investito molto sull’educazione. Quanto ai programmi, durante la visita a Venezia, nel maggio 2011, Benedetto XVI aveva indicato l’atteggiamento più consono alla testimonianza dei cristiani citando la Lettera a Diogneto: «Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una città più umana, più giusta e solidale». Parole dette in visita alla Serenissima, ma valide anche per la grande diocesi ambrosiana.
DA NON PERDERE
Il cardinale Angelo Scola ha iniziato il suo servizio a Milano. Molti nella diocesi ambrosiana cercano di intuire quali saranno le caratteristiche del suo episcopato. Andrea Tornielli, vaticanista e giornalista de La Stampa, ha appena mandato in libreria una biografia dell’arcivescovo di Milano: Il futuro e la speranza (Edizioni Piemme, pp. 190, euro 14,50), nella quale ripercorre l’infanzia e la giovinezza del cardinale, pubblicando testimonianze e anche scritti inediti, come quello che Scola non ancora ventenne scrisse per il giornale studentesco “Michelaccio”, dedicato alla grandezza della figura religiosa di Ghandi. Nel libro di Tornielli è dedicato ampio spazio agli anni veneziani del cardinale, ricordato anche attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto. E proprio da un intervento che Scola tenne il 16 aprile 2008, è possibile ricavare alcune indicazioni sulla missione evangelizzatrice.
Bisogna, spiegava, «proporre e riproporre a tutti instancabilmente l’esperienza di Cristo. Non ci sono ragioni per restringere in alcun modo la cerchia delle persone a cui rivolgersi. Se si rispettano le condizioni richiamate non esiste una preparazione previa di qualunque genere alla proposta di Cristo. Il Vangelo ce ne dà testimonianza: la logica dell’incontro con Cristo è il “vieni e vedi”».
IL TIMONE N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 16 – 17
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