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14.12.2024

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Un insegnamento tradizionale e progressivo
31 Gennaio 2014

Un insegnamento tradizionale e progressivo

Un “invito alla lettura” del magistero di Pio XII. Che seppe innovare i modi di annunciare quella stessa fede che difese con tanto vigore. Guidò la Chiesa verso il Concilio, cercando di argomentare e persuadere, preannunciando la malattia del relativismo.

Se sfogliamo l’indice delle fonti del Concilio ecumenico Vaticano Il possiamo constatare con sorpresa che il Papa più citato è proprio Pio XII. Dico “con sorpresa” perché un certo modo piuttosto diffuso, ma fuorviante, di leggere la storia della Chiesa e quella del suo magistero insiste in modo quasi ossessivo sull’accentuazione delle differenze tra il prima e il poi. La presentazione dei documenti conciliari incomincia spesso disegnando un quadro oscuro e caricaturale della dottrina pre-conciliare a cui finalmente la novità conciliare mette fine, inaugurando un nuovo ordine di cose che con il passato ha un rapporto quasi solo dialettico. In questa procedura Pio XII e il suo magistero sono diventati come il simbolo di un passato superato e contraddetto. Questo ha suscitato e suscita fatalmente letture di segno contrario: il magistero della Chiesa era coerente e sicuro di sé prima del Concilio Vaticano Il per cadere dopo il Concilio e a causa del Concilio in uno stato di endemica confusione e insicurezza.
L’errore di queste letture è insieme storico e teologico e consiste nel non capire che una delle caratteristiche – e non delle più secondarie – dell’insegnamento della Chiesa è quello di essere – insieme – tradizionale e progressivo. Il magistero non inventa, ma trasmette. Però trasmette in modo sempre nuovo, adattando il suo linguaggio al mutare delle situazioni e delle esigenze storiche. In questo processo si attua la promessa di Gesù: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,12-13). Questa idea di “sviluppo” e “progresso” è qualcosa di assolutamente intrinseco alla visione del mondo cristiana. È anche un concetto molto delicato che nelle ideologie secolarizzate moderne è diventato – secondo la felice espressione di Chesterton – una «vecchia virtù cristiana impazzita». Delicato perché ci può essere sviluppo solo di qualcosa che rimane nel profondo del suo essere “identico”, altrimenti c’è solo un confuso e disordinato succedersi di cose sempre diverse e disparate e questo è tanto più necessario da tener presente quando si ha a che fare con il messaggio cristiano – il Vangelo che non può assolutamente diventare «un altro Vangelo» (Gal 1,6).
Questa preoccupazione è particolarmente evidente nel magistero di Pio XII, dove convive la preoccupazione di usare linguaggi molto diversi da quelli precedentemente usati, anche per la necessità di occuparsi di cose radicalmente nuove, e quella di difendere il deposito della fede da interpretazioni che ne adulterano pericolosamente il significato. Preoccupazione che è anche quella del magistero di Giovanni Paolo Il e che lo espone a incomprensioni analoghe. Il fatto di trovare novità “sconcertanti” accanto a prese di posizione “oscuramente conservatrici” mette spesso in crisi gli interpreti. Anche da questo punto di vista il magistero di Pio XII è prezioso e assolutamente attuale.
È anche molto difficile da sintetizzare, perché costituisce un corpo di dottrina molto consistente: venti corposi volumi di “Discorsi e radiomessaggi” dove troviamo che il
magistero del Papa si addentra nelle problematiche più diverse e si misura con gli argomenti più disparati: dalla moda al significato e all’importanza dei moderni mezzi di comunicazione sociale; dalle questioni connesse alla procreazione responsabile alla distinzione dei generi letterari per comprendere più a fondo il senso delle Sacre Scritture…
Pio XII aveva sperimentato prima e durante il terribile conflitto mondiale del 1939-1945 come i consueti strumenti diplomatici della Santa Sede si fossero rivelati insufficienti per influire con efficacia sugli eventi, di qui la decisione di ampliare il suo magistero, rivolgendosi non più solo ai vescovi, ma a tutti ai popoli e all’opinione pubblica – nell’intento di promuovere un cambiamento di mentalità e il sorgere di élites più disposte ad ascoltare la voce della Chiesa. Il Papa non rifugge dall’usare la radio e dall’entrare non solo con misure di carattere giuridico, ma con ampie argomentazioni, nelle questioni più spinose della vita odierna. È una tendenza che continuerà con Giovanni XXIII, Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo Il. È all’interno di questa preoccupazione che deve essere inserito anche lo stile proprio del Concilio ecumenico Vaticano II.
In tempi di “cristianità” il Papa poteva limitarsi a guidare la Chiesa con pochi e misurati interventi, spesso di carattere marcatamente giuridico, ma a partire da papa Benedetto XIV (1675-1758) – nel momento in cui si profila la battaglia culturale promossa dall’illuminismo – il magistero papale si fa più fitto e argomentato; nascono le “lettere encicliche” (“lettere circolari”) moderne che diventano sempre di più lo strumento privilegiato del Papa per raccogliere la Chiesa nell’unità di dottrina attorno a punti di particolare importanza. La distinzione tra teologia e magistero rimane assolutamente valida e operante, ma è vero che il magistero si fa sempre più “teologico”, cioè si sforza di argomentare e persuadere. Si può dire che con Pio XII questo processo conosce una particolare accentuazione e accelerazione.
Le encicliche più importanti di Pio XII sono tre: la Mystici corporis del 29 giugno 1943, la Mediator Dei del 20 novembre 1947 e la Humani generis del 12 agosto 1950.
Può essere interessante notare come esse anticipa, no l’argomento delle tre costituzioni del Vaticano II la Mystici corporis infatti tratta della Chiesa, com la Lumen gentium; la Mediator Dei della liturgia, co me la Sacrosanctum Concilium e l’Humani generis ( cui va però associata la Divino afflante spiritu) tratta degli argomenti che verranno poi rielaborati nel la Dei Verbum.
La dottrina sulla Chiesa aveva avuto uno sviluppo nella teologia soprattutto in chiave giuridica. Era no infatti dei canonisti che se ne erano occupati per primi a livello scientifico. La cosa non costituisce di per sé un male, perché il diritto – come tutte le cose umane – ha un grande valore e la Chiesa ha indubbiamente un aspetto reale di “società” con dei rapporti giuridici che la innervano e la qualificano Questo però rischiava di mettere in ombra qualcosa di più nascosto ma di importantissimo e cioè che la Chiesa non è una società come tutte le altre, essendo fondata su di un mistero, quello di Gesù Verbo incarnato, ed essendo essa stessa un mistero. La cosa diventava tanto più importante in un momento in cui si vedeva con preoccupazione il sorgere di una disaffezione da parte di molti cristiani nei confronti della Chiesa e quindi anche del suo insegnamento. Un conto è la Chiesa, che è solo un’istituzione giuridica, e un conto il mio rapporto religioso e spirituale che è con Gesù… La preoccupazione del Papa è di garantire la saldatura tra questi due aspetti, ricordando che la Chiesa nelle parole della Scrittura è il “corpo mistico di Cristo”, cioè il corpo “misterioso” di Gesù presente nel mondo. La relazione con la Chiesa non è la relazione con una qualunque istituzione, ma l’unico modo concreto di relazionarsi veramente e non illusoriamente con Gesù. Dall’altra, quella di mettere in guardia contro una concezione troppo spiritualista della Chiesa, tale da portare in fondo allo stesso risultato: quello di non scorgere più gli strettissimi legami che uniscono questa Chiesa concreta guidata dal Papa e dai vescovi e composta da questo popolo con la realtà nascosta e meravigliosa della grazia, della fonte di ogni grazia che è Gesù Cristo, della Madonna e dei santi.
«Pertanto, a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana) […], nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino che quella espressione con la quale essa vien chiamata “il Corpo mistico di Gesù Cristo”; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri.
«Che la Chiesa sia un corpo, lo bandiscono spesso i Sacri Testi. “Cristo – dice l’Apostolo – è il Capo del Corpo della Chiesa” (Coll, 18) orbene, se la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno ed indiviso, conforme al detto di Paolo: “Molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rom XII, 5). Né dev’essere soltanto uno e indiviso, ma anche concreto e percepi-bile, come afferma il Nostro Antecessore Leone XIII di f. m. nella sua Lettera Enciclica “Satis cognitum”: “Per il fatto stesso che è corpo, la Chiesa si discerne con gli occhi”».
È bene qui notare come il Concilio Vaticano Il con le note dottrine della Chiesa come popolo di Dio e dell’ecumenismo non ha affatto contraddetto Pio XII, ma ha piuttosto sviluppato il suo insegnamento partendo dalle basi da lui poste. Se la Lumen gentium insiste nel sottolineare che la Chiesa è popolo di Dio è solo per mettere in luce che essa non si riduce alla sola gerarchia (preoccupazione ben presente nel magistero di Pio XII) e se ha affermato che la Chiesa di Cristo (e quindi il Corpo Mistico) “sussiste” nella Chiesa cattolica romana non è stato per contraddire l’identificazione operata da Pio XII, ma per far emergere il fatto che tanti mezzi di salvezza della Chiesa si trovano al di fuori dei suoi limiti visibili e a questa unità cattolica continuano a tendere.
Anche l’enciclica Mediator Dei ci fornisce una descrizione teologica della liturgia che supera e integra una sua concezione solo giuridica. La liturgia non è costituita solo da un’insieme di norme da rispettare (le “rubriche”), essa è piuttosto «il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra». La liturgia è sacrificio, adorazione, preghiera della Chiesa, intesa però in senso integrale: Capo e membra. In questa concezione il concetto di partecipazione trova il suo senso profondo e anche i suoi limiti precisi. Si tratta di partecipare non ad una azione umana, ma ad un’azione che è insieme divino-umana, perché di Cristo Verbo incarnato e della Chiesa a lui associata come suo “misterioso” corpo. Se la Chiesa è Mistero lo è anche la liturgia.
Ma mistero è anche la teologia e lo sforzo di comprendere la parola di Dio utilizzando ogni altro sapere umano. Con l’Humani generis Pio XII manifesta la sua preoccupazione perché il progresso della teologia e delle scienze ecclesiastiche possa continuare e dare buoni frutti senza però compromettere l’integrità del deposito della fede. Il rinnovamento davanti alle sfide epocali che si prospettano all’orizzonte – si impone, ma esso deve salvaguardare la profondità, la trascendenza e l’immutabilità del Mistero, senza il quale il linguaggio della Chiesa e dei cristiani diventerebbe fatalmente sale senza sapore… La preoccupazione del Papa è che l’indispensabile ritorno alle fonti, Sacra Scrittura, Padri, liturgia, non avvenga dimenticando l’apporto della tradizione scolastica e della metafisica dell’essere di cui è portatrice e che il dialogo con la filosofia moderna non comporti l’assunzione di principi inaccettabili e di un subdolo «relativismo dogmatico». Se infatti il pensiero smarrisce il suo costitutivo legame con l’essere, smarrisce il senso dell’oggettività e scivola fatalmente nel soggettivismo e nel relativismo. Oggi ci rendiamo sempre più conto di come questi ammonimenti di Pio XII fossero assolutamente profetici, perché la grande malattia di cui soffre oggi l’Occidente è proprio il relativismo.

LA PRIMA ENCICLICA

«Orbene, la negazione della se fondamentale della moralità ebbe In Europa la sua originaria radice nel. distacco quella dottrina di Cristo di la Cattedra di Pietro è depositaria e maestra; dottrina un tempo aveva dato coesi, spirituale all’Europa, la qual educata, nobilitata e ingentilita dalla Croce, era pervenuta tal grado di progresso civile diventare maestra di altri poli e di altri continenti». (Enciclica Summi pontificatus, del 20 ottobre 1939).

Un “invito alla lettura” del magistero di Pio XII. Che seppe innovare i modi di annunciare quella stessa fede che difese con tanto vigore. Guidò la Chiesa verso il Concilio, cercando di argomentare e persuadere, preannunciando la malattia del relativismo.

Se sfogliamo l’indice delle fonti del Concilio ecumenico Vaticano Il possiamo constatare con sorpresa che il Papa più citato è proprio Pio XII. Dico “con sorpresa” perché un certo modo piuttosto diffuso, ma fuorviante, di leggere la storia della Chiesa e quella del suo magistero insiste in modo quasi ossessivo sull’accentuazione delle differenze tra il prima e il poi. La presentazione dei documenti conciliari incomincia spesso disegnando un quadro oscuro e caricaturale della dottrina pre-conciliare a cui finalmente la novità conciliare mette fine, inaugurando un nuovo ordine di cose che con il passato ha un rapporto quasi solo dialettico. In questa procedura Pio XII e il suo magistero sono diventati come il simbolo di un passato superato e contraddetto. Questo ha suscitato e suscita fatalmente letture di segno contrario: il magistero della Chiesa era coerente e sicuro di sé prima del Concilio Vaticano Il per cadere dopo il Concilio e a causa del Concilio in uno stato di endemica confusione e insicurezza.
L’errore di queste letture è insieme storico e teologico e consiste nel non capire che una delle caratteristiche – e non delle più secondarie – dell’insegnamento della Chiesa è quello di essere – insieme – tradizionale e progressivo. Il magistero non inventa, ma trasmette. Però trasmette in modo sempre nuovo, adattando il suo linguaggio al mutare delle situazioni e delle esigenze storiche. In questo processo si attua la promessa di Gesù: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,12-13). Questa idea di “sviluppo” e “progresso” è qualcosa di assolutamente intrinseco alla visione del mondo cristiana. È anche un concetto molto delicato che nelle ideologie secolarizzate moderne è diventato – secondo la felice espressione di Chesterton – una «vecchia virtù cristiana impazzita». Delicato perché ci può essere sviluppo solo di qualcosa che rimane nel profondo del suo essere “identico”, altrimenti c’è solo un confuso e disordinato succedersi di cose sempre diverse e disparate e questo è tanto più necessario da tener presente quando si ha a che fare con il messaggio cristiano – il Vangelo che non può assolutamente diventare «un altro Vangelo» (Gal 1,6).
Questa preoccupazione è particolarmente evidente nel magistero di Pio XII, dove convive la preoccupazione di usare linguaggi molto diversi da quelli precedentemente usati, anche per la necessità di occuparsi di cose radicalmente nuove, e quella di difendere il deposito della fede da interpretazioni che ne adulterano pericolosamente il significato. Preoccupazione che è anche quella del magistero di Giovanni Paolo Il e che lo espone a incomprensioni analoghe. Il fatto di trovare novità “sconcertanti” accanto a prese di posizione “oscuramente conservatrici” mette spesso in crisi gli interpreti. Anche da questo punto di vista il magistero di Pio XII è prezioso e assolutamente attuale.
È anche molto difficile da sintetizzare, perché costituisce un corpo di dottrina molto consistente: venti corposi volumi di “Discorsi e radiomessaggi” dove troviamo che il
magistero del Papa si addentra nelle problematiche più diverse e si misura con gli argomenti più disparati: dalla moda al significato e all’importanza dei moderni mezzi di comunicazione sociale; dalle questioni connesse alla procreazione responsabile alla distinzione dei generi letterari per comprendere più a fondo il senso delle Sacre Scritture…
Pio XII aveva sperimentato prima e durante il terribile conflitto mondiale del 1939-1945 come i consueti strumenti diplomatici della Santa Sede si fossero rivelati insufficienti per influire con efficacia sugli eventi, di qui la decisione di ampliare il suo magistero, rivolgendosi non più solo ai vescovi, ma a tutti ai popoli e all’opinione pubblica – nell’intento di promuovere un cambiamento di mentalità e il sorgere di élites più disposte ad ascoltare la voce della Chiesa. Il Papa non rifugge dall’usare la radio e dall’entrare non solo con misure di carattere giuridico, ma con ampie argomentazioni, nelle questioni più spinose della vita odierna. È una tendenza che continuerà con Giovanni XXIII, Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo Il. È all’interno di questa preoccupazione che deve essere inserito anche lo stile proprio del Concilio ecumenico Vaticano II.
In tempi di “cristianità” il Papa poteva limitarsi a guidare la Chiesa con pochi e misurati interventi, spesso di carattere marcatamente giuridico, ma a partire da papa Benedetto XIV (1675-1758) – nel momento in cui si profila la battaglia culturale promossa dall’illuminismo – il magistero papale si fa più fitto e argomentato; nascono le “lettere encicliche” (“lettere circolari”) moderne che diventano sempre di più lo strumento privilegiato del Papa per raccogliere la Chiesa nell’unità di dottrina attorno a punti di particolare importanza. La distinzione tra teologia e magistero rimane assolutamente valida e operante, ma è vero che il magistero si fa sempre più “teologico”, cioè si sforza di argomentare e persuadere. Si può dire che con Pio XII questo processo conosce una particolare accentuazione e accelerazione.
Le encicliche più importanti di Pio XII sono tre: la Mystici corporis del 29 giugno 1943, la Mediator Dei del 20 novembre 1947 e la Humani generis del 12 agosto 1950.
Può essere interessante notare come esse anticipa, no l’argomento delle tre costituzioni del Vaticano II la Mystici corporis infatti tratta della Chiesa, com la Lumen gentium; la Mediator Dei della liturgia, co me la Sacrosanctum Concilium e l’Humani generis ( cui va però associata la Divino afflante spiritu) tratta degli argomenti che verranno poi rielaborati nel la Dei Verbum.
La dottrina sulla Chiesa aveva avuto uno sviluppo nella teologia soprattutto in chiave giuridica. Era no infatti dei canonisti che se ne erano occupati per primi a livello scientifico. La cosa non costituisce di per sé un male, perché il diritto – come tutte le cose umane – ha un grande valore e la Chiesa ha indubbiamente un aspetto reale di “società” con dei rapporti giuridici che la innervano e la qualificano Questo però rischiava di mettere in ombra qualcosa di più nascosto ma di importantissimo e cioè che la Chiesa non è una società come tutte le altre, essendo fondata su di un mistero, quello di Gesù Verbo incarnato, ed essendo essa stessa un mistero. La cosa diventava tanto più importante in un momento in cui si vedeva con preoccupazione il sorgere di una disaffezione da parte di molti cristiani nei confronti della Chiesa e quindi anche del suo insegnamento. Un conto è la Chiesa, che è solo un’istituzione giuridica, e un conto il mio rapporto religioso e spirituale che è con Gesù… La preoccupazione del Papa è di garantire la saldatura tra questi due aspetti, ricordando che la Chiesa nelle parole della Scrittura è il “corpo mistico di Cristo”, cioè il corpo “misterioso” di Gesù presente nel mondo. La relazione con la Chiesa non è la relazione con una qualunque istituzione, ma l’unico modo concreto di relazionarsi veramente e non illusoriamente con Gesù. Dall’altra, quella di mettere in guardia contro una concezione troppo spiritualista della Chiesa, tale da portare in fondo allo stesso risultato: quello di non scorgere più gli strettissimi legami che uniscono questa Chiesa concreta guidata dal Papa e dai vescovi e composta da questo popolo con la realtà nascosta e meravigliosa della grazia, della fonte di ogni grazia che è Gesù Cristo, della Madonna e dei santi.
«Pertanto, a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana) […], nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino che quella espressione con la quale essa vien chiamata “il Corpo mistico di Gesù Cristo”; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri.
«Che la Chiesa sia un corpo, lo bandiscono spesso i Sacri Testi. “Cristo – dice l’Apostolo – è il Capo del Corpo della Chiesa” (Coll, 18) orbene, se la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno ed indiviso, conforme al detto di Paolo: “Molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rom XII, 5). Né dev’essere soltanto uno e indiviso, ma anche concreto e percepi-bile, come afferma il Nostro Antecessore Leone XIII di f. m. nella sua Lettera Enciclica “Satis cognitum”: “Per il fatto stesso che è corpo, la Chiesa si discerne con gli occhi”».
È bene qui notare come il Concilio Vaticano Il con le note dottrine della Chiesa come popolo di Dio e dell’ecumenismo non ha affatto contraddetto Pio XII, ma ha piuttosto sviluppato il suo insegnamento partendo dalle basi da lui poste. Se la Lumen gentium insiste nel sottolineare che la Chiesa è popolo di Dio è solo per mettere in luce che essa non si riduce alla sola gerarchia (preoccupazione ben presente nel magistero di Pio XII) e se ha affermato che la Chiesa di Cristo (e quindi il Corpo Mistico) “sussiste” nella Chiesa cattolica romana non è stato per contraddire l’identificazione operata da Pio XII, ma per far emergere il fatto che tanti mezzi di salvezza della Chiesa si trovano al di fuori dei suoi limiti visibili e a questa unità cattolica continuano a tendere.
Anche l’enciclica Mediator Dei ci fornisce una descrizione teologica della liturgia che supera e integra una sua concezione solo giuridica. La liturgia non è costituita solo da un’insieme di norme da rispettare (le “rubriche”), essa è piuttosto «il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra». La liturgia è sacrificio, adorazione, preghiera della Chiesa, intesa però in senso integrale: Capo e membra. In questa concezione il concetto di partecipazione trova il suo senso profondo e anche i suoi limiti precisi. Si tratta di partecipare non ad una azione umana, ma ad un’azione che è insieme divino-umana, perché di Cristo Verbo incarnato e della Chiesa a lui associata come suo “misterioso” corpo. Se la Chiesa è Mistero lo è anche la liturgia.
Ma mistero è anche la teologia e lo sforzo di comprendere la parola di Dio utilizzando ogni altro sapere umano. Con l’Humani generis Pio XII manifesta la sua preoccupazione perché il progresso della teologia e delle scienze ecclesiastiche possa continuare e dare buoni frutti senza però compromettere l’integrità del deposito della fede. Il rinnovamento davanti alle sfide epocali che si prospettano all’orizzonte – si impone, ma esso deve salvaguardare la profondità, la trascendenza e l’immutabilità del Mistero, senza il quale il linguaggio della Chiesa e dei cristiani diventerebbe fatalmente sale senza sapore… La preoccupazione del Papa è che l’indispensabile ritorno alle fonti, Sacra Scrittura, Padri, liturgia, non avvenga dimenticando l’apporto della tradizione scolastica e della metafisica dell’essere di cui è portatrice e che il dialogo con la filosofia moderna non comporti l’assunzione di principi inaccettabili e di un subdolo «relativismo dogmatico». Se infatti il pensiero smarrisce il suo costitutivo legame con l’essere, smarrisce il senso dell’oggettività e scivola fatalmente nel soggettivismo e nel relativismo. Oggi ci rendiamo sempre più conto di come questi ammonimenti di Pio XII fossero assolutamente profetici, perché la grande malattia di cui soffre oggi l’Occidente è proprio il relativismo.

LA PRIMA ENCICLICA

«Orbene, la negazione della se fondamentale della moralità ebbe In Europa la sua originaria radice nel. distacco quella dottrina di Cristo di la Cattedra di Pietro è depositaria e maestra; dottrina un tempo aveva dato coesi, spirituale all’Europa, la qual educata, nobilitata e ingentilita dalla Croce, era pervenuta tal grado di progresso civile diventare maestra di altri poli e di altri continenti». (Enciclica Summi pontificatus, del 20 ottobre 1939).

Dossier: Pio XII. Un Papa per la Chiesa di sempre

IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 39 – 40 – 41

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