15.12.2024

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Un matrimonio riuscito
31 Gennaio 2014

Un matrimonio riuscito

 

 

Una riflessione sul rapporto sponsale tra Gesù e la sua Chiesa. E le aberrazioni che sorgono quando non si hanno idee chiare su questa importante verità della nostra fede

Quello tra il Signore Gesù e la sua Chiesa non è solo un matrimonio incontestabilmente celebrato: è altresì, per così dire, un matrimonio “riuscito”. Potrà meravigliare questo insolito punto di riflessione ecclesiologica; ma va ritenuto opportuno e benefico. Anche perché è abbastanza diffuso un modo di pensare e di parlare, che non disconosce questo coniugio come atto originario costitutivo della Chiesa (diversamente si uscirebbe dalla verità cattolica), ma poi pare quasi supporre che siano intervenuti dei malintesi tra i coniugi e ormai non ci sia tra loro una grande armonia.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai molti credenti si esprimano senza simpatia nei confronti della Sposa di Cristo, e talvolta quasi col desiderio di “metterla a posto”, come si sarebbe tentati di fare con la moglie troppo invadente di un amico che ci è caro.

La “chiesa” o la “Chiesa”?

Ci limitiamo a segnalare, come indizio abbastanza eloquente della diffusa volontà di “ridimensionare” la Chiesa, l’abitudine (sorretta da un tenace proposito) di scriverne il nome con l’iniziale minuscola. La cosa colpisce particolarmente quando nelle stesse edizioni, nell’identica pubblicazione e addirittura nella medesima pagina si ritrovano scritte invece con la maiuscola, per esempio, Consiglio Presbiterale, Azione Cattolica, Codice di Diritto Canonico, Camera del Lavoro, Settimane Sociali, ecc. Si arriva persino a discostarsi arbitrariamente su questo punto nelle traduzioni che vengono offerte dall’uso cui si sono costantemente attenuti i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II.

Assoluta o totalmente relativa?

Ma non c’è forse anche il pericolo opposto, cioè quello di un’esaltazione indebita? Chi ha capito bene che cosa significhi nella sostanza che quello tra Cristo e la Chiesa sia un “matrimonio riuscito”, tenuto in essere dall’amore, questo pericolo non lo corre. Egli sa che tutto nella Sposa è relativo allo Sposo; e perciò ogni entusiasmo e ogni glorificazione per la sua bellezza e per il suo valore non può che allietare il cuore del Signore crocifisso e risorto. Il pericolo caso mai è un altro; è quello di non tenere abbastanza viva e pungente la consapevolezza di quella totale relatività. «La Chiesa rifulge non della propria luce ma di quella di Cristo, e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia» (s. Ambrogio, Exameron IV,32).
Il pericolo eventuale è soltanto quello di assolutizzare, magari inconsciamente, la Chiesa come se ci fosse in essa qualcosa di apprezzabile che non sia frutto della sua affettuosa connessione con lo Sposo.

L’“ecclesiocentrismo”

Possiamo arrivare a parlare addirittura di “ecclesiocentrismo”? La parola non gode di buona fama: chi la usa, di solito, lo fa coll’intento di mettere in guardia da ogni rilevanza eccessiva assegnata alla Chiesa in epoca “preconciliare”: si prendono così le distanze da una “forma” di cristianesimo tipica di alcuni ambienti cattolici del passato, che oggi è ritenuta del tutto improponibile.
Ma si tratta di un malinteso. Chi ha compreso che la “consistenza reale” della Chiesa sta nell’essere il “Cristo totale” (asserto che è il “cuore”, il senso e anzi il compendio onnicomprensivo dell’intero disegno salvifico del Padre) non vede la ragione di questa allergia: è ovvio che qui non c’è nessuna insidia al primato e alla centralità di Cristo, «capo del Corpo» e Sposo dell’umanità rinnovata. Piuttosto, inteso così, l’ecclesiocentrismo è la logica integrazione e l’ultimo chiarimento del Cristo-centrismo.
Ancora una volta però va detto che una visione trascendente come quella del “Christus totus” è più accessibile ai “piccoli” che non ai “sapienti” e agli “intelligenti”. Santa Giovanna d’Arco, una ragazza analfabeta non ancora ventenne, in virtù dell’acutezza della sua semplice fede, ai suoi giudici che le chiedono che idea abbia della Chiesa, dà subito una risposta sublime e ineccepibile: «Della Chiesa e di Gesù Cristo io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà».

Rifiuto della “ecclesiolatrìa”

Ben diverso è il discorso a proposito di “ecclesiolatrìa”. La Chiesa non va “adorata”, neppure nei molti modi subdoli nei quali ci riesce talvolta di defraudare il Creatore del culto che compete solo a lui. Il che vuol dire tra l’altro: la Chiesa non può essere nemmeno lontanamente pensata come la sede indipendente e assoluta della verità; né come la causa prima o comunque prevalente della nostra salvezza; né come l’oggetto incondizionato della nostra dedizione e del nostro amore.
Curiosamente c’è un caso di “ecclesiolatrìa” che affligge talvolta i più severi censori dell’ecclesiocentrismo; ed è la “sinodolatrìa”. In questa aberrazione incappano coloro che – tra i “sapienti” e gli “intelligenti” – tanto enfatizzano il Concilio Vaticano II da ritenerlo in pratica un’espressione inedita e originale della Rivelazione divina: parlano e agiscono come se fossero persuasi che unicamente da questa recente esperienza di Chiesa ci sarebbe stato finalmente restituito il cristianesimo nella sua autenticità.

I paladini del “Concilio virtuale”

Già all’indomani dell’assise conciliare prese a serpeggiare una stravagante ermeneutica del grande avvenimento e del suo magistero. Si tratta di una specie di “distillazione ideologica”, che possiamo tentare di delineare schematicamente così:
a) La prima fase sta in una lettura discriminatoria dei testi, che distingue tra quelli da accogliere e da citare e quelli da passare sotto silenzio.
b) Nella seconda fase si riconosce come provvido insegnamento sinodale non tanto quello che di fatto è stato enunciato, ma quello che la santa assemblea avrebbe potuto dire se non fosse stata intrigata dalla presenza di molti vescovi retrogradi e insensibili al soffio dello Spirito.
c) Con la terza fase si insinua che la vera dottrina del Concilio Vaticano II non è quella effettivamente votata e approvata, ma quella che avrebbe dovuto essere approvata, se i padri fossero stati più coraggiosi e più illuminati.
Con una siffatta esegesi – certo non teorizzata in modo esplicito, ma ampiamente applicata – quello che viene continuamente addotto ed esaltato non è il Concilio che è stato celebrato, ma un “Concilio virtuale” che ha un posto non nella storia della Chiesa, bensì nella storia dell’immaginazione ecclesiastica.

“Concilio” e “postconcilio”

Quando oggi nelle discussioni della cristianità ci si riferisce al “Concilio”, bisogna appurare bene che il riferimento sia in effetti ai decreti canonicamente approvati nell’assemblea sinodale.
Bisogna in pratica saper distinguere accuratamente tra il “Concilio” e il postconcilio: il primo va accolto con fede e cordialità; il secondo chiede di essere valutato alla luce del primo; anzi, alla luce dell’insegnamento rivelato come è proposto da tutto il magistero infallibile della Chiesa lungo l’intera sua storia, perché non si presenti come autentica e vincolante anche un’ideologia postconciliare che non ha alcuna garanzia da parte dello “Spirito di verità”.

Un’antica ecclesiologia

Ascoltiamo infine come si esprimeva un autore del secolo XII che ai giorni nostri non sembra molto citato (è però ricordato in una nota della Lumen gentium 64), Isacco della Stella († 1169), monaco cistercense di origine inglese ma vissuto in Francia, vicino a Poitiers: «Come tutte le cose del Padre sono del Figlio e tutte le cose del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo Sposo ha dato tutte le cose sue alla Sposa, e lo Sposo ha condiviso tutto quello che era della Sposa, che ha reso anch’essa una cosa sola con se stesso e con il Padre…
«Lo Sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e una cosa sola con la Sposa: quello che ha trovato di estraneo nella Sposa l’ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno.
«Quanto appartiene per natura alla Sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l’ha regalato alla Sposa. Insomma, egli ha annullato ciò che era del diavolo, ha assunto ciò che era dell’uomo, ha donato ciò che era di Dio. Per questo, quanto è della Sposa è anche dello Sposo» (Sermo 11 PL 194, 1728).



 

 

 

IL TIMONE  N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 48 – 49

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