Lo conosciamo come l’Apostolo delle genti. Era un ebreo, ma convinto di dover predicare il Vangelo anche ai pagani. E cercava il modo migliore per farlo. Come quella volta ad Atene….
Il problema arriva sempre con la seconda lettura. Diciamo la verità: quante volte, giunti al fatidico annuncio «Dalla lettera di san Paolo apostolo ai…», noi fedeli qualunque ci siamo aggrappati al solito foglietto della messa per capirci qualcosa? Ma perché san Paolo è così «difficile»?
Come mai – a parte alcuni passaggi – i suoi scritti rimangono spesso misteriosi, lontani dalla nostra mentalità, astratti?
Forse perché anche Paolo si muoveva tra culture diverse – ebrei, greci, latini, Oriente e Occidente – e per primo cercava di mediare tra un messaggio di novità assoluta, quello cristiano, e il pensiero fino ad allora elaborato dalle migliori civiltà del mondo. Ma ad aiutarci, stavolta, chiamiamo Manlio Simonetti, autorità assoluta di letteratura cristiana antica, già professore di Storia del cristianesimo all'università «La Sapienza» di Roma e ora di Patristica all'Augustinianum, oltre che autorevole collaboratore de L'Osservatore Romano.
Professore, san Paolo va a predicare all'Areopago di Atene, poi si protesta orgogliosamente «cittadino romano»… Ma l'Apostolo era più greco o più latino?
«Né l'uno né l'altro, in verità; era ebreo fino al midollo. Certo: possedeva un'infarinatura di classicità come un uomo di media cultura del suo tempo, la sua lingua corrente era certamente il greco (chissà invece se sapeva il latino e lo stesso ebraico, visto che molti giudei della diaspora non lo parlavano più) e nel discorso all'Areopago dimostra di conoscere la filosofia citando l'altare al Dio ignoto, e così via… Però la sua I mentalità era e rimase sempre giudaica. Lo si vede anche dalla teologia delle lettere: il problema della giustificazione secondo la legge o secondo le opere è tipicamente ebraico».
Eppure gli ebrei suoi contemporanei lo odiavano, come un «rinnegato»
«Ovviamente: Saulo veniva dalle file dei farisei, ma dopo la conversione seguì una linea che ribaltava completamente la loro idea di popolo eletto; per lui il vero Israele sono i cristiani. Ciò non toglie, tuttavia, che l'impostazione del suo pensiero sia rimasta giudaica. Era un ebreo però convinto di dover predicare non solo agli ebrei fuori da Israele, ma anche ai pagani, e che cercava il modo migliore per farlo. Ad esempio, ad Atene il suo discorso tiene, almeno finché non affronta la questione della resurrezione dei morti: un concetto farisaico, appunto, però totalmente assurdo per i greci».
Insomma, Paolo come «traghettatore» del messaggio cristiano (nato in ambiente semitico) alla cultura classica greco-latina…
«No, questo non mi pare proprio. L'uomo di Tarso ha semmai giustificato anche in teoria l'apertura ai pagani. Però saranno altri, a partire dagli apologisti del Il secolo, a compiere il trasferimento del cristianesimo alla cultura greca. I riferimenti di Paolo sono completamente diversi.
Per esempio, nelle sue lettere non ricorre in modo particolare il tema della ragionevolezza della fede, o la pretesa di adattare il Vangelo alla filosofia greca».
Spesso Paolo – proprio per la sua cultura – è stato accusato di essere il vero «inventore» del cristianesimo, nel senso di colui che ha «trasformato» un libero annuncio in struttura religiosa.
Lei che ne pensa?
No, il suo messaggio è indubbiamente quello di Gesù. Certo, Paolo non solo lo la capito nel suo nocciolo, ovvero nella orza rivoluzionaria che ribalta tutti i valori terreni («La nostra debolezza è la nostra forza», dice ad esempio), ma gli ha dato anche una sistemazione teorica che prima non esisteva. È come se avesse scritto una specie di "carta costituzionale" del cristianesimo, perché ha sintetizzato benissimo il messaggio del Nazareno e gli la impresso una svolta universalista fondamentale per la storia. Forse il "peso" di san Paolo sul cristianesimo è stato accresciuto dal fatto che, fin dai primi secoli, i credenti hanno usato le sue lettere più del Vangelo, in quanto in esse trovavano regole morali precise che servivano alla loro vita. In questo senso si "giustifica" la teoria di Paolo fondatore del cristianesimo».
Da lui nasce comunque l'eterno dibattito tra la «legge» e lo «spirito».
«Sì, Paolo si è posto il problema dell'osservanza della legge, ma ha dato una soluzione completamente diversa da quella dei farisei. E anche questo si colloca sulla traccia di Gesù e della libertà da lui predicata. Per Paolo non c'è più distinzione tra puro e impuro, tuttora fondamentale per i giudei osservanti. Pur ragionando alla maniera dei giudei, cioè, egli ribalta le loro conclusioni. Per questo gli ebrei lo odiavano "cordialmente", mentre avevano in simpatia altri cristiani, come Giacomo».
Paolo colpisce anche per lo stile «Iaicale», assai moderno: lavora manualmente e se ne vanta, viaggia molto, ha un rapporto libero con i discepoli…
«Beh, bisogna tener conto che l'organizzazione ecclesiale gli è successiva e in questo senso lui continua il modo di vita estremamente libero di Gesù, scandalo dei benpensanti. Paolo appare invece meno moderno sotto altri aspetti, come la volontà di ridurre l'influsso delle donne nella comunità primitiva (in questo è davvero un giudea). Non che fosse più anti-femminista di altri, anzi è tra coloro che più si sono liberati dalle tradizioni; ma rispecchia le tendenze del tempo».
E la sua posizione sulla schiavitù?
«Da una parte Paolo afferma la completa parità di fronte a Cristo («Non c'è più né uomo né donna, né schiavo né libero…»), ma poi nella vita comune nemmeno lui riesce a sovvertire uno dei pilastri della civiltà e dell'economia dell'epoca. Magari la liberazione degli schiavi era raccomandata come attività individualmente meritoria, ma non poteva essere sostenuta ufficialmente. Tra l'altro è chiarissimo che la prima predicazione cristiana cercò di impensierire il meno possibile i romani, per evitare problemi; se Paolo avesse sostenuto la completa libertà degli schiavi, la Chiesa sarebbe stata annientata in poco tempo».
E il confronto con san Pietro? Non ci manca un san Paolo oggi, nel cattolicesimo?
«È vero: fino al III secolo la Chiesa di Roma si basava sulle "due colonne", Pietro e Paolo, poi il secondo è come scomparso. Però rimangono i suoi testi, sui quali si basa la morale; e Paolo è diventato l'Apostolo con la maiuscola, pur non essendo un discepolo diretto di Cristo. Dunque il suo influsso è stato ed è fortissimo».
«Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio».
(Prima Lettera ai Corinzi 1, 27-29).
Dossier: San Paolo a duemila anni dalla nascita
IL TIMONE N. 74 – ANNO X – Giugno 2008 – pag. 42-43