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13.12.2024

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Una guida del Novecento letterario
31 Gennaio 2014

Una guida del Novecento letterario

 

 

 

È uscita un’antologia del Novecento letterario italiano ed europeo.
Ha il coraggio di indicare le opere che “vale la pena leggere”.
Con molte sorprese.

 

“Poeticamente abita l’uomo su questa terra” recita un verso del poeta Hölderlin. Da questo caposaldo, che è allo stesso tempo una domanda e una risposta, inizia la ricognizione di Giovanni Casoli nel mare periglioso della letteratura novecentesca: dall’evidenza cioè che gli uomini vivono nel tempo, nel proprio tempo, ora ristorati ora assillati da un desiderio di significato. Accogliere e raccogliere le voci che tutti sentono dentro di sé ma che gli artisti esprimono, ha portato l’autore a compilare una monumentale antologia in due volumi, dal titolo Novecento letterario italiano ed europeo, per l’editrice romana Città Nuova [pp. 926 + 624; euro 67 + 44].
Il libro sottintende una pretesa: che leggere opere autentiche soddisfi i desideri di verità, bene e bellezza sempre presenti nei nostri cuori. Casoli non è nuovo a un simile “pensare forte”; da decenni docente (alla Pontificia Università Gregoriana) e saggista (su “Nuova Umanità “), propone felici intuizioni nello stagnante panorama della critica letteraria italiana e mette in luce provocatoriamente alcuni autori, trascurandone eloquentemente altri.
Se gli intellettuali meno distratti dessero un’occhiata ai due volumi, potrebbero intavolare una qualche polemica da “terza pagina”: ma siamo sicuri che gli addetti ai lavori credono ancora che le belle lettere conducano alla verità? E a quale quale verità?

In cerca della bellezza
Il metodo di Casoli è chiaro: “non conviene” dice “essere pessimisti, né ottimisti, essendo più che drammatica la situazione, dunque oltre ogni pessimismo e ottimismo. Conviene agire”.
E così hanno pensato i pochi grandi autori del XX secolo, coloro che lasceranno una traccia. La letteratura apre una via nuova eppure antica se lascia una segnaletica a quanti vengono in seguito. In questo senso le scelte di Casoli sono provocatorie; perché smontano il ricatto del moderno e dell’attuale e vanno dritte al bersaglio: alla “bellezza” che, come ha mostrato il santo poeta di Assisi, è bella perché povera.
Ma quale povertà? Quella incarnata nella letteratura là dove esiste una vita dello spirito, ancorché rudimentale o larvata: le figure dei poeti e dei romanzieri del Novecento sono lì a dimostrarlo.
Accanto alle sicure guide sagge, ci sono scrittori divenuti famosi senza meritarlo, ai quali Chesterton avrebbe suggerito con britannica e feroce ironia: “procuratevi un’anima nuova, quella che avete non andrebbe bene neanche per un cane”. E leggendo l’antologia di Casoli da cima a fondo, per edificazione personale, si proverà forse la sensazione che troppi libri superflui siano giunti alle stampe e che forse senza D’Annunzio, Svevo, i Futuristi, la letteratura italiana recente sarebbe più bella, meno deprimente.

Bisogna riconoscere che Casoli ha la tempra del ricostruttore, benché faccia di tutto per distogliere l’attenzione da sé, a vantaggio delle opere che presenta: la sua energia va nella direzione del restauro e del rinforzo, poiché vuole alimentare il naturale appetito per la bellezza “buona”, che è in tutti gli uomini e le donne.
Il suo modo di fare critica letteraria ha due doni: il coraggio di dire ciò che i non-letterati (il lettore comune, colui che fa cultura) pensano ma non hanno modo di rendere pubblico; e il vigore morale di indicare testi semplici o complessi nei quali circola il sangue della Bellezza, mai disgiunta dal Bene e dal Vero. A furia di indicare le opere” che vale la pena di leggere”, senza fronzoli né ambiguità, Casoli si appaia ai suoi maestri: Charles Péguy e Ignazio Si Ione, uomini tenaci nella ricerca della verità delle cose e delle parole.
Dal francese, eredita l’audacia di contrastare l’imborghesirsi della cultura mediante il contatto autentico con il popolo: la letteratura ha dignità quando esprime il radicamento delle genti ai propri costumi attraverso quella che Péguy chiamò l’anima carnale. Da Silone, eredita la libertà da ogni rispetto umano, il senso dell’amicizia, lo spirito di servizio, l’idea fissa che Cristo è in agonia per noi sino alla fine dei tempi. Facile immaginare in quale ottica l’antologia proponga autori e opere “per la ricostruzione”.

L’educazione ai veri maestri
Oltre che agli insegnanti, agli studiosi, agli studenti, l’antologia di Casoli pare indirizzarsi a quanti abbiano un santo zelo di educare: ma i tempi che corrono ci ricordano come oggi gli adulti, prima dei fanciulli, debbano essere “educati”, perché sono cresciuti alimentando si di false certezze, alla scuola di maestri fasulli.
Ecco la necessità, per esempio, di rivalutare l’animo pio della poesia di Pascoli, di confrontarsi apertamente con Baudelaire e Rimbaud, di conferire il giusto riconoscimento a Tozzi, De Luca, Marin, Noventa, Yeats ed Ezra Pound. Per molti, questi nomi suonano inauditi?
Bene, allora: avanti con le scoperte e le avventure del lettore. Niente è più inedito del già edito, recita una massima giornalistica, verissima.
Alcuni maestri sembrano perduti, e li dobbiamo ritrovare. Peraltro, gli autori che Casoli ama sono riconoscibili: dal poeta angloamericano T.S. Eliot si raggiunge in area francese i vertici di Bernanos e SaintExupéry.
Il secondo volume dell’antologia è colmo di belle sorprese e propone finalmente la narrativa popolare di Giovannino Guareschi e di Eugenio Corti, ridimensiona il “caso” Umberto Eco, dedica il giusto spazio alla statunitense Flannery O’Connor e al premio nobel russo Solzenicyn; è confortante scoprire sulla pagina il grande spessore poetico dei testi di un regista come Tarkovskij o di un pontefice come Karol Wojtyla. Non manca nemmeno una sezione dedicata alla “Decima Musa”, cioè al cinema: peccato che oggi la maggior parte dei film tenda alla dissipazione, all’insignificante, all’osceno.

 

 

 

RICORDA

 

“La portarono all’ospedale di Nettuno operandola urgentemente: era gravissima eppure lucida tant’è vero che quando il confessore le domandò se fosse disposta a perdonare, rispose: ..Sì, per amore di Gesù gli perdono e voglio che venga con me in paradiso”. Fu esaudita perché il Serenelli non soltanto si pentì ma dopo l’uscita dal carcere, dove aveva scontato ventisette anni di pena, finì la sua vita nel convento dei Cappuccini di Ascoli Piceno lavorandovi prima come giardiniere poi come portiere”.
(Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, Rizzoli, Milano 1993, p. 692).

 

 

 

 

 

 

 


IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 47

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