Robert Edwards è il padre di ogni fecondazione artificiale in vitro. Gli accademici di Stoccolma lo hanno premiato per “benedire” la produzione di esseri umani. E per fare un dispetto alla Chiesa cattolica
Un premio sempre più contestato
È pur vero che il premio assegnato dagli accademici di Stoccolma ha mostrato negli ultimi tempi numerose crepe che ne hanno minato la credibilità. Non sono mancate le designazioni discutibili o addirittura imbarazzanti, soprattutto nel campo del Nobel per la Pace. Basti pensare ai nomi di Al Gore, che vinse per aver diffuso un documentario ispirato alla più imbarazzante superficialità ambientalista; o di Barack Obama, insignito del riconoscimento prima ancora di aver fatto qualunque cosa per meritarselo. O ancora, basta ricordare l’assegnazione del Nobel per la letteratura a una figura decisamente marginale come l’italiano Dario Fo. Insomma, non ci vuole molto per accorgersi che il prestigioso premio che porta il nome dell’inventore della dinamite ha ormai una precisa connotazione ideologica, ispirata alla dottrina del politicamente corretto, all’ossequio sistematico per la cultura radical chic e progressista, e alla opposizione ottusa ai valori tradizionali e all’identità cattolica in particolare.
Più che uno scienziato, un ideologo
Del resto, Edwards non è certo inquadrabile come un vero e proprio scienziato, paragonabile ai grandi Nobel del passato nel campo della biologia, della fisica o dell’astronomia: non ha scoperto nessuna legge fondamentale, non ha inventato un vaccino salva vita, non ha nemmeno eliminato le patologie che provocano l’infertilità. Egli ha piuttosto trovato una soluzione concreta a una domanda molto pratica, che si era posto sul finire degli anni Sessanta insieme al collega Patrick Steptoe: saremo capaci di trasferire alla specie umana le tecniche di riproduzione artificiale per gli animali? Le metodiche esistevano già: nel 1959 la rivista Nature aveva documentato la nascita di un coniglio prodotto in provetta. Ora si trattava “solo” di superare la barriera biologica fra bestie e uomini, e di vincere le resistenze che la religione e la morale avrebbero opposto a questa rivoluzione. Edwards e Steptoe mettono a punto la Fivet, che letteralmente significa “Fecondazione in Vitro con Embryo Transfer”: si prelevano i gameti dall’uomo e dalla donna, si producono degli embrioni in provetta, e poi si procede al loro trasferimento nel corpo della donna. Quando il 25 luglio del 1978 a Oldham in Inghilterra nasce Louise Joy Brown, il primo essere umano concepito in una provetta, cioè fuori dal corpo della madre, il dato è tratto. La tecnica mette nelle mani dell’uomo il potere di produrre esseri umani. Edwards e Steptoe vengono criticati dalla comunità scientifica internazionale, la Chiesa cattolica e perfino la Comunione anglicana condannano duramente la fecondazione artificiale. A questo punto Edwards rivela la sua inclinazione ideologica, entrando in aperta polemica con la Chiesa di Roma. Raccoglierà le sue tesi in Life Before Birth, un libro pubblicato in Gran Bretagna nel 1989, e tradotto l’anno successivo in Italia da Frassinelli con il titolo “La vita prima della nascita”. A pagina 109 Edwards sostiene che la Chiesa cattolica affermerebbe che “i bambini concepiti in provetta non sono affatto umani”. Una colossale menzogna, ma tant’è: questo è lo stile dell’uomo che a dicembre, a Stoccolma, riceverà 1 milione e mezzo di euro e il Premio Nobel.
Una lunga scia di morti innocenti
Edwards, e con lui gli accademici di Svezia che lo hanno premiato, ribattono alle critiche con argomenti banali e proprio per questo molto efficaci: che male c’è a dare un figlio alle coppie che non riescono ad averne? C’è qualcosa di più bello di un nuovo bambino che nasce? Non è in fondo la Fivet una tecnica “per la vita”? Non è forse Edwards il padre di 4 milioni di figli della provetta, altrimenti mai nati? Tesi che funzionano alla perfezione tanto nelle conversazioni dalla parrucchiera quanto nei dibattiti televisivi. Eppure, si tratta di argomenti debolissimi, se confrontati con la tragica realtà della fecondazione artificiale, che si fonda sulla eliminazione prevista e accettata consapevolmente di una quantità enorme di embrioni d’uomo. Su 100 concepiti, almeno 80 sono destinati a morte certa. Edwards e Steptoe hanno reso possibile tutto questo, essendo ben consapevoli di ciò che stavano facendo. Essi hanno infatti sempre puntato sulla non umanità degli embrioni, sulla loro utilizzabilità come cavie di laboratorio, sulla opportunità di selezionarli con criteri eugenetici. A fronte di 4 milioni di bimbi nati con la fivet, si devono registrare decine di milioni di embrioni innocenti sacrificati sull’altare della tecno-scienza.
Edwards, l’uso e l’abuso
Sarà utile sciogliere un nodo che nei giorni del “trionfo” mediatico di Robert Edwards è andato formandosi su stampa e Tv. Tutti i giornali hanno riportato la notizia con grande enfasi, sottolineando le critiche della Chiesa a questo Nobel. Più di un giornalista ha scritto che “la Chiesa continua a considerare queste tecniche e, soprattutto, gli abusi che ne possono derivare, inaccettabili sul piano etico”. Una frase che rivela il deficit di verità che ormai avvolge questa materia, a causa di una strategia che sempre più spesso difende il male per combattere il peggio. Dalla Fivet possono derivare abusi raccapriccianti: congelamento di embrioni, distruzione intenzionale degli stessi, eliminazione degli embrioni difettosi, ricorso ai gameti di persone estranee alla coppia (fivet eterologa). Ovvio censurare tutto questo. Ma la Fivet resta iniqua e disumana sempre, anche quando il suo uso non sconfini nell’abuso. La Fivet non è come il vino, che in dosi moderate è lecito e perfino consigliabile, mentre in eccesso ubriaca e rovina la salute. Produrre l’essere umano è sempre una violenza contro la natura e la verità dell’amore sponsale. Per questo motivo è giusto ribadire che Robert Edwards è davvero il padre di tutte le tecniche di fecondazione artificiale, comprese quelle che si attuano in Italia nel rispetto della legge 40.
RICORDA
«Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita».
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n. 28)
IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 16 – 17
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