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11.12.2024

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Una speranza che si apre all’eternità

Una speranza che si apre all’eternità

 


Il cristianesimo ci svela in che cosa consiste l’aldilà. E annuncia un duplice esito della nostra esistenza terrena, legato all’accoglienza o meno dell’amore di Dio: paradiso o inferno. Con la possibilità “temporanea” del purgatorio…


 

C’è un aspetto della vita degli uomini che mi ha sempre colpito molto ed è la cura per i propri morti che continua anche in questo nostro Occidente in gran parte scristianizzato. E che, dunque, non sembra trovare la sua ragione d’essere solo in una dimensione religiosa esplicita. Credo, invece, che sia il segno di un profondo e radicato bisogno degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo di credere a una qualche forma di sopravvivenza dopo la morte. Di affermare che quel legame di amore e di familiarità che c’era con chi se ne è andato non si è interrotto del tutto e che in una qualche forma continua a sopravvivere. Tanto che i morti non solo li andiamo a trovare al cimitero per omaggiarli con la nostra visita, cosa abbastanza incomprensibile se si trattasse solo di un cadavere in putrefazione. Ma appartiene all’esperienza comune sentirli in qualche modo ancora vivi e comunque in grado di ascoltarci e di accogliere i nostri sfoghi oppure le nostre richieste d’aiuto. Chi infatti, non ha mai invocato la protezione, per esempio, dei genitori che non ci sono più ma che pure speriamo possano ancora in qualche modo prendersi cura di noi?
Una sorta di istinto, dunque, quello di proiettare la vita oltre la morte o forse un’intuizione che gli uomini hanno colto fin dai bagliori dell’umanità come testimoniano ovunque nel mondo le tante scoperte archeologiche di culto dei morti e degli antenati. E come confermano anche le tante filosofie che si sono succedute nel corso dei millenni e che hanno dato praticamente per scontata l’immortalità dell’anima cioè almeno della parte spirituale dell’uomo.
Il cristianesimo in questo senso non ha fatto altro che confermare quella che era già credenza comune, facendoci conoscere però molte altre cose su quel mondo misterioso che segue alla morte. Anzitutto facendoci capire bene, nella sua Scrittura Sacra e per bocca di Gesù stesso, in che cosa consista questo aldilà. Poi, introducendo una novità assoluta e cioè quella risurrezione della carne che, anticipata in Gesù e in Maria, avverrà per tutti alla fine del mondo, accompagnata da quella prospettiva di trasfigurazione totale anche della materia che darà vita a cieli nuovi e nuove terre.
Il guaio è che, nonostante tutta questa ricchezza di conoscenze e di stimoli per la riflessione, oggi l’argomento “aldilà” è di fatto spesso trascurato anche all’interno del cattolicesimo. Se ne parla poco, infatti, persino nella predicazione, sicuramente se ne parla assai meno di quando in tempi non poi così remoti, la morte con quel che segue costituiva nella coscienza comune una parte essenziale della vita con la quale fare i conti senza troppi pudori, fin dall’aldiqua. Penso che ciò sia l’ennesimo frutto dell’influenza divenuta sempre più forte, nel corso degli ultimi decenni, della mentalità prevalente. E cioè di una visione dell’esistenza che, concentrata in modo esasperato, talvolta spasmodico, sulla vita, non vede altro che l’orizzonte terreno e dunque è praticamente costretta ad accantonare il pensiero della morte. La quale in questo modo è vista, essendo venuta meno una corretta visione religiosa, non come un passaggio verso la vita vera e cioè quella eterna, ma come la fine di tutto e dunque da evitare e da temere come il male assoluto. Ponendola quindi drasticamente alla porta, salvo poi farla rientrare dalla finestra manipolandola a piacimento come una cosa di cui essere padroni, cercandola volontariamente in quel suicidio assistito che è l’eutanasia, ultima tappa sulla via di quella perdita del senso del sacro che caratterizza purtroppo questa nostra epoca.
Cosicché, si ha l’impressione che, nel giusto tentativo di contrastare e di combattere l’eutanasia, qualche volta anche i cattolici rischino di concentrarsi talmente sulla difesa della vita terrena da quasi scordarsi che ne esiste anche un’altra sulla quale alla fine puntare. E che dunque, nella ricerca di distinguere bene che cosa sia accanimento terapeutico e che cosa sia invece lo sforzo di preservare fino al suo termine naturale la vita umana e la sua dignità, occorra fare molta attenzione per non incorrere, magari in buona fede, in una visione di quest’ultima – cioè della vita stessa – parziale e limitata. Sì, perché non solo non dovremmo, almeno noi credenti, aver paura di parlare della morte ma, anzi, abituarci a guardarla intravedendo tuttavia anche quanto le sta dietro. E questo perché, come l’esperienza ha sempre confermato, guardare alla morte e all’aldilà non solo non ci rende tristi ma, al contrario, è l’unica cosa che è in grado di dilatare fino ai suoi estremi quella speranza che nasce dal credere. E questo perché essa, seguendo la fede nel suo percorso che va oltre la fine terrena, giunge fino a quella eternità di vita beata che è l’unica in grado di rispondere davvero ai desideri del nostro cuore.
Con una avvertenza però. E cioè che se si assume la prospettiva cristiana in questo campo, occorre abbracciarla totalmente senza operare sconti. Accettarla, cioè, anche per quegli aspetti che oggi invece molti pongono in discussione. Per quelli belli e desiderabili, dunque, ma anche per quelli negativi.
Intendiamo riferirci in particolare a quell’inferno che infastidisce tanti. I quali, anche quando giungono ad ammetterne l’esistenza, contestano il fatto che esso ospiti davvero qualcuno. Ma come, si chiedono costoro, davvero quel Dio che Gesù ci ha rivelato Padre buono e che la Chiesa ci presenta come somma misericordia potrà condannare qualcuno a una pena eterna? E invece è così, come ribadisce spesso anche il magistero della Chiesa.
Il problema è che l’inferno è una necessità che si collega direttamente a come è stata concepita da Dio stesso questa nostra vita umana strutturata nella libertà di sceglierlo oppure di rifiutarlo. Rifiutarlo, però, con piena coscienza e deliberato consenso, come si diceva una volta riguardo alle condizioni che ponevano in essere un peccato mortale, quello cioè che se non confessato e assolto porta appunto alla dannazione. È sperabile, dunque, che non siano poi molti coloro che si mantengano in una scelta di rifiuto che sia davvero pienamente cosciente e libera fino all’ultimo istante della loro vita. Anche perché la fede ci dice che la misericordia divina bussa in mille modi e in continuazione al nostro cuore non abbandonando mai nessuno. Poi, però, chi avrà resistito nella sua posizione di lucido rifiuto di Dio finirà in quell’inferno che in fondo ha voluto. Il quale non sarà altro che la continuazione per l’eternità proprio di questo stesso rifiuto. E purtroppo, dispiace dirlo, spesso i veggenti delle apparizioni mariane hanno visto questo inferno pieno di anime e a suor Faustina Kowalska Gesù ha chiarito bene che occorre attingere alla sua misericordia in vita perché dalla morte in poi sarà la giustizia ad avere la meglio.
E poi, come sappiamo, ci sono il purgatorio e il paradiso. Anche il purgatorio è una necessità che discende dal fatto che per partecipare con pienezza alla vita divina occorre avere operato quella purificazione che ce ne rende capaci, avere cioè compiuto l’intero itinerario previsto dalla redenzione operata da Gesù. In purgatorio, lo sappiamo, si è già in vista di Dio e questo è moltissimo, ma sarà necessario completare quel cammino verso di lui, quella comprensione e partecipazione profonda del Mistero che in vita non si è attuato. Quella del purgatorio è una intuizione che anche altri itinerari spirituali hanno avuto, a dimostrazione della sua necessità logica una volta entrati nell’ottica della possibilità di una crescita spirituale progressiva da parte dell’uomo. La reincarnazione, in fondo, risponde proprio a questo bisogno: occorre un itinerario di purificazione attraverso varie vite per giungere alla illuminazione. Per questo i santi accettavano ogni croce, perché sapevano che il cammino compiuto su questa terra li avrebbe portati da subito, dopo la morte, più vicini a Dio e dunque a quella beatitudine che chiamiamo paradiso.
Sì, quel paradiso che è il culmine della nostra speranza e, in essa, anche della nostra gioia. Non è facile immaginarlo proprio perché noi qui su questa terra non riusciamo a fare un’esperienza in cui sullo sfondo non stiano il senso del limite, della fine, della sofferenza. Forse, a tratti, possiamo intuirlo in alcuni momenti particolarmente felici, in quegli istanti di pura contemplazione che qualche volta Dio ci regala. Ma poi, si torna inevitabilmente alla nostra realtà umana, intrisa di bene e di male.
E invece il paradiso sarà questa partecipazione piena, questa comprensione totale tra tutti noi e con Dio. Sarà la fine dei conflitti, delle contraddizioni e delle incomprensioni, l’amore vissuto in pienezza senza ostacoli e senza limiti. Non è immaginabile nulla di più bello, nulla di più desiderabile. La nostra esperienza attuale è così lontana da esso che ci vuole un po’ di coraggio per crederci davvero. Ci vuole un po’ di applicazione per entravi dentro con il pensiero e per abbandonarvisi. Ma conviene farlo, perché se ne ritorna caricati e rigenerati non solo nello spirito.
Ma non è ancora tutto perché c’è un altro aspetto della fede cristiana davvero sorprendente. Se infatti, quell’aldilà che abbiano tentato di abbozzare con qualche limitata espressione è il regime che vige fino alla fine del tempo poi, a questo, qualche altra cosa si aggiungerà. Sarà la risurrezione dei corpi, sarà la trasfigurazione del mondo intero, sarà una sorta di purificazione globale che riguarderà l’intera creazione. Ci è difficile andare oltre nel dire. Mancano le parole per definire tutto ciò che pure con certezza appartiene alla fede. Possiamo intuire qualcosa guardando a Gesù risorto. A quelle sue possibilità di dominare la materia, entrando e uscendo dal suo corpo ma anche dai muri del cenacolo. Una identità precisa, ma non sempre sulle prime immediatamente riconoscibile. Oppure guardando a Maria, che nella sue apparizioni assume fisionomie diverse, segno anch’esse di una libertà di tipo nuovo di fronte alla materia rispetto a quella che sperimentiamo in questo nostro mondo.
Ma si tratta solo di qualche frammento di luce, solo di qualche flash anticipatore. Sufficiente tuttavia per farci capire che qualcosa di misterioso avverrà affinché questa creazione – gesto di profondo amore del Padre unito al Figlio e allo Spirito, motivo della incarnazione e della redenzione – partecipi tutta, uomo compreso, alla grande festa dell’eterna e beata vita divina.

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 108 – ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 56 – 57

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