L’avevo già menzionata nel mio libro Doveroso elogio degli italiani (Bur, 2001), poi l’ho vista in un episodio del fumetto western Magico Vento del 2003; infine, un lettore mi ha segnalato un articolo su internet di Piero Nicola su di lei. Così, mi è parso utile raccontarne, sia pur per sommi capi, la storia qui.
Si tratta di Rosa Maria Segale, nata a Cicagna, nell’entroterra della Riviera del Levante, il 23 maggio 1850 e morta negli Usa, a Cincinnati, il 23 febbraio 1941. Aveva quattro anni quando la sua famiglia emigrò in America e diciotto quando si fece suora. I voti li prese nel 1868, l’8 dicembre (festa dell’Immacolata, dichiarata da Pio XII protettrice dei cattolici statunitensi: forse perché «sterminatrice di tutte le eresie»?), nelle vincenziane Suore della Carità di Cincinnati col nome di sister Blandina (nome da lei scelto in onore della martire trucidata nel 177 sotto Marco Aurelio). Anche sua sorella Giustina si fece suora ed è dal fitto carteggio epistolare tra le due che conosciamo le avventure di suor Blandina nel West. In forma di diario, venne pubblicato nel 1932 col titolo At the End of the Santa Fé Trail, dal nome della leggendaria pista percorsa dai coloni verso il cuore del selvaggio Ovest, oggi considerata patrimonio storico nazionale e visitata dai turisti.
Suor Blandina, diplomatasi maestra, insegnò nelle scuole di Steubenville, in Ohio, e Dayton prima di essere mandata, nel 1872, come missionaria a Trinidad, nel Colorado. Aveva ventidue anni e partì da sola. Ci mise quasi due settimane per raggiungere, col treno e poi con la diligenza, il turbolento villaggio di minatori a cui era stata assegnata. A Trinidad rimase un solo anno, poi fu spostata a Santa Fé, nel New Mexico. In questa città di frontiera riuscì a mettere in piedi una scuola e un orfanotrofio, non tralasciando di visitare continuamente le miniere della zona e i cantieri dove veniva costruita la ferrovia. Procurò anche i fondi per la realizzazione di un ospedale intitolato al suo fondatore, san Vincenzo Depaul. Nel 1882, altro trasferimento. Ad Albuquerque, dove rimise in piedi il locale convento del suo ordine. Avrebbe voluto fondare anche qui un ospedale ma i suoi tentativi fallirono. Nel 1889 fu rinviata a Trinidad, a insegnare. Ma l’establishment massonico e protestante le vietò l’ingresso nelle scuole in quanto religiosa cattolica. Vana fu la battaglia legale ingaggiata da suor Blandina. Dovette ritornarsene ad Albuquerque. Qui nel 1901 il suo ospedale, dedicato a san Giuseppe, vide finalmente la luce. Gli ultimi anni li trascorse a Cincinnati, occupandosi dell’assistenza agli emigrati italiani nel centro che aveva per loro personalmente fondato.
La prima impressione da lei riportata, all’inizio della sua straordinaria avventura, riguarda un incontro sul treno per Kansas City: una missionaria protestante, maestra anche lei. Costei, accompagnata dal padre, si meravigliò perché la giovane suora, oltre a viaggiare da sola, sarebbe andata a insegnare gratis. Trinidad, villaggio di confine, era frequentato da fuorilegge, ci stavano messicani e yankees, era percorsa da squadre di vigilantes e sempre sotto l’incubo di un attacco degli indiani. La suora dovette assistere impotente al linciaggio di quattro poveracci accusati di omicidio (ma innocenti). Vide anche gli indiani abbrutiti dal whisky scadente e truffati da torme di profittatori. In un duello alla pistola, uno della banda del famoso Billy The Kid uccise un altro fuorilegge e rimase gravemente ferito. Suor Blandina fu l’unica a prendersene cura, perché nessuno voleva averci a che fare; perfino il medico si rifiutò anche solo di estrargli il proiettile. L’uomo, grazie a lei, morì riconciliato con Dio. Fu sempre lei a convincere il Kid, venuto con i suoi a far vendetta, ad andarsene senza torcere un capello a nessuno.
A Santa Fé la suora dovette combattere con i predicatori protestanti, che basavano i loro sermoni sull’attacco ai “papisti”. Avvertì due di loro che, se avessero predicato in piazza, lei sarebbe stata presente a confutarli. E quelli rinunciarono. Ad Albuquerque spalleggiò il gesuita padre Gasparri che cercava di tirar fuori una ragazza povera dal bordello in cui era finita. L’impresa ebbe buon fine, quantunque a rischio (come scrive Piero Nicola) di beccarsi una revolverata. La ricerca di fondi la portò fino in Messico, a Chihuahua, dove fu bene accolta ed ebbe modo di annotare che i discendenti degli spagnoli erano in genere migliori dei gringos, ma la legislazione messicana stava già prendendo una deriva massonica e anticlericale, per cui dovette rientrare negli Usa.
Non abbiamo spazio per raccontare tutti i malati, anche di colera, di cui la suora si fece carico, i tentativi di suicidio che dissuase, le ingiustizie contro cui si oppose, i moribondi che accompagnò fino alla fine. Di nuovo a Trinidad, trovò che le maestre dovevano adesso superare un esame. Lo superò, ma le fu vietato di insegnare in abito religioso. Si appellò alla Costituzione ma l’ostilità dei maggiorenti contro di lei ebbe la meglio, come sappiamo. In internet troviamo che «si batté a lungo contro le ingiustizie compiute ai danni dei nativi americani, di cui fu paladina nel sostegno dei diritti civili ». In effetti, nel suo diario suor Blandina racconta alla sorella come i documenti comprovanti i diritti di possesso degli indiani sulle terre venivano fatti sparire dai registri della contea. E descrive la corruzione a tutti i livelli, specialmente politica: un tale che concorreva per una carica pubblica perse volutamente l’elezione in cambio di soldi. Il denaro – scriveva la suora – avrebbe finito col vanificare tutto il lavoro dei francescani. Cioè, dei primissimi evangelizzatori di quelle terre, i cui centri portavano (e portano ancora oggi) i nomi delle missioni attorno alle quali erano sorte: Santa Fé, Trinidad, Los Angeles, San Francisco, Sacramento…
A Trinidad il suo “convento” era una casupola a un piano, di mattoni di fango cotti al sole. Ma suor Blandina rifiutava le donazioni della cui provenienza non era sicura. E accoglieva anche i malati che oggi definiremmo terminali, e che allora nessuno voleva più curare. Uno di questi, con un cancro all’ultimo stadio, stava per suicidarsi ma lei lo prese lo stesso nel suo misero ospedale ormai traboccante. Fu lei ad avvisare la madre del compagno morente di Billy The Kid, e l’uomo morì, pentito, tra le sue braccia. Ai predicatori protestanti che le agitavano in faccia la Bibbia non esitava a replicare che la loro setta aveva ricevuto la Bibbia proprio dalla Chiesa “papista”. Il Kid lo incontrò di nuovo, durante un assalto alla diligenza in cui lei viaggiava. Mentre tutti i passeggeri scendevano tremanti, lei redarguì il celebre bandito e quello, riconosciutala, si levò il cappello, fece un inchino e se ne andò. «Aveva gli occhi azzurri acciaio, carnagione rosea e l’aria di un ragazzino: non gli si sarebbe dato più di diciassette anni». Sapeva, certo, che, malgrado la sua «espressione innocente», aveva alle spalle parecchi omicidi. Ma quando apprese della sua morte violenta per mano dello sceriffo Pat Garrett, annotò: «Povero Billy The Kid, termina così la carriera di un giovane che cominciò a scendere la china all’età di dodici anni vendicando un insulto che era stato fatto a sua madre».
Nicola cita anche un passo del diario del famoso giornalista Giovanni Ansaldo, che fu colpito dall’abnegazione della suora verso «la miseria materiale e spirituale dei pionieri finiti nell’alcolismo, dei cowboys diventati artritici e paralitici, delle “fanciulle del West” tramontanti nella sifilide, degli indiani che crepavano di malinconia e di delirium tremens». Ciò che «non ha mai attirato nessuno e che non si vede nei film». Ma che la suora abbracciò per compiere, come diceva, «il lavoro di Dio».
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