C’è un Paese in particolare in cui il calcio è legato a doppio filo alla memoria nazionale – memoria ferita – ed è un segmento di realtà osservando il quale si può capire meglio lo sforzo di un popolo di ritrovare se stesso dopo decenni di umiliazioni, di fare squadra per potersela giocare nel “campionato” globale. Un Paese inaspettato, perché da lunghi anni ormai sparito dal panorama del calcio che conta: l’Ungheria.
I più ormai non lo sanno, ma quella magiara è stata la nazionale più vincente a livello internazionale negli anni ’50 e tuttora viene riconosciuta come una delle più forti di sempre. L’Aranycsapat, che in ungherese sta per “Squadra d’oro”, tra il 1950 e il 1956 portò a casa 42 vittorie, 7 pareggi e una sola sconfitta. Fu antesignana del “calcio totale” che sarebbe stato ripreso e perfezionato due decenni dopo dall’Olanda di Johan Cruyff
«Il calcio esprime il profilo unico di ogni comunità e afferma il suo diritto ad essere differente» ha detto il premier Viktor Orban un giorno a un giornalista del quotidiano britannico Guardian, «non so se abbiamo ancora un calcio ungherese, ma dobbiamo averlo. Il calcio è una strana combinazione tra l’essere liberi e l’essere soldati. Devi stare in una squadra, ma essere creativo. Che è il dilemma delle società moderne: essere organizzate ed essere libere. In campo ci si riesce, in politica è più difficile»…
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