Parla Cesare Cavalleri, il coraggioso editore del Cavallo Rosso: «Mai avremmo pensato di raggiungere la cifra stratosferica di 27 edizioni». «Corti sarà uno dei pochi autori del ’900 a entrare nella storia». Presto un grande convegno per celebrarlo
È forse l’unico che nel romanzo ci sta con il suo nome e cognome veri: Cesare Cavalleri. L’autore l’ha collocato verso la fine del volumone, dove riveste la parte che recita effettivamente nella vita: l’editore. Però non si tratta di un personaggio del tutto positivo, in quanto – per sua colpa indiretta – la moglie del protagonista muore in un incidente d’auto mentre sta correndo a portargli il vestito buono, che serve appunto per incontrare chi poi darà il manoscritto alle stampe.
Una grossa responsabilità, Cesare Cavalleri… Ma forse una ancora maggiore lei l’ha assunta decidendo di pubblicare il “Cavallo rosso”. Come ha conosciuto Eugenio Corti?
«Avvenne in occasione della campagna per il referendum sul divorzio, nel 1973. Gabrio Lombardi, il cattolico che aveva organizzato la raccolta delle firme ed era responsabile della macchina organizzativa per la propaganda, aveva arruolato Corti, il quale del resto si era volentieri messo a disposizione per un’iniziativa che sentiva moltissimo. Così abbiamo fatto amicizia, andando in giro in coppia per parlare in pubblico, fare conferenze e dibattiti. Ho avuto occasione di notare subito la tempra del personaggio, una persona estremamente convinta delle sue idee e disponibile a metterci la faccia».
Ma sapeva che quell’uomo battagliero era anche uno scrittore?
«Avevo letto il suo “I più non ritornano”, pubblicato da Garzanti subito dopo la guerra, in pratica il primo libro di memorialistica sulla ritirata di Russia, che aveva ricevuto grandi elogi da intellettuali come Benedetto Croce e Mario Apollonio. Sapevamo pure che Corti in quegli anni aveva cominciato a scrivere il “Cavallo”, ogni tanto infatti annunciava a qualcuno dei suoi amici: “Ti ho messo nel romanzo”… Ma, siccome la storia è andata avanti almeno un decennio, tutti noi pensavano con qualche dubbio a quell’opera che non terminava mai ed eravamo curiosi di sapere come sarebbe andata a finire».
Appunto: com’è andata?
«Nel 1983 Corti ha finalmente messo la parola fine al romanzo e ha contattato vari editori, a partire da Garzanti. Ma un libro di oltre 1700 pagine era in grado di spaventare qualunque casa editrice. D’altra parte l’autore aveva fretta, dopo 10 anni non ne poteva più, mi ha cercato e io gli ho detto subito di sì, a scatola chiusa e anche se non avevamo mai pubblicato romanzi. Poi ho cominciato a leggerlo e mi sono reso conto della straordinaria qualità del testo. La prima tiratura è stata di 2000 copie; mai avremmo pensato di raggiungere la cifra stratosferica delle 27 edizioni attuali…».
Ma secondo lei c’è stato anche un veto ideologico degli editori, per il contenuto “cattolico” del romanzo?
«Non credo a quest’ipotesi, penso più che altro a considerazioni di mercato che hanno bloccato gli editori laici. Se avesse insistito, Corti avrebbe potuto pubblicare anche con una grande casa; ormai non esistono i capolavori rimasti nel cassetto perché non trovano l’editore. D’altra parte, lui stesso ha sempre dichiarato di aver scritto per i posteri e io sono sicuro che avverrà proprio questo: verrà anche per lui il ciclo favorevole, Corti sarà uno dei pochi autori del Novecento a rimanere nella storia».
Da dove nasce il successo del libro?
«Dal passaparola. Corti ha uno stuolo di ammiratori, molti sono andati a cercarlo fino a casa sua. All’inizio un articolo di “Famiglia cristiana” ci è stato di molto aiuto per la diffusione. La critica invece non è stata particolarmente favorevole, anche perché il Cavallo è un romanzo da leggere e i critici non hanno tempo e pazienza per farlo; tanto peggio per loro, se non hanno saputo cogliere la straordinaria novità di un’opera che all’estero è stata definita “il Guerra e pace del XX secolo”. Paradossalmente, infatti, il Cavallo è stato più apprezzato dagli intellettuali stranieri, soprattutto in Francia; dove l’italianista François Livi lo ha promosso moltissimo, anzi ha appena pubblicato una storia della letteratura italiana sottotitolata addirittura “da Dante a Eugenio Corti”…».
Pochi anni fa c’è stata una raccolta di firme per attribuire a Eugenio Corti il Nobel per la letteratura. Un’aspirazione eccessiva?
«Lo meriterebbe, in quanto nel panorama italiano del Novecento non trovo un’opera di uguale peso letterario e culturale, anche perché il secolo scorso non ha espresso grandi romanzi nel vero senso della parola; gli autori italiani sono stati scrittori di racconti. Comunque la petizione per il Nobel è stata più che altro un gesto d’affetto da parte dei briantei (Corti non vuole usare il termine “brianzoli”…). A Besana, il suo paese natale, esiste un monumento al “Cavallo rosso” in piazza, mentre nei dintorni è stato organizzato un itinerario sui luoghi del romanzo… Però sappiamo benissimo che il meccanismo del premio non si attiva per plebisciti dal basso e Corti non ha trovato un referente che potesse sponsorizzarlo. Tutto sommato si può stare tranquilli: il Nobel dà fama a chi non l’ha ricevuto, come Borges o Pound; dunque Corti è in buona compagnia».
Ma Corti è ricordato quasi solo per il “Cavallo rosso”; non è un po’ poco per uno scrittore?
«Anche “I più non ritornano” è un’opera importante (ne abbiamo appena rilevato i diritti, così da poter pubblicare quest’anno l’opera omnia dello scrittore). A mio parere a livello del Cavallo sta anche “Catone l’antico”, uno straordinario affresco storico e culturale di grandissima levatura. Poi ci sono i romanzi per immagini “L’isola del Paradiso” (sugli ammutinati del Bounty) e “La terra dell’indio” (dedicato alle reducciones gesuitiche in Paraguay), specie di sceneggiature cinematografiche che costituiscono un’innovazione letteraria».
Come è continuato il suo rapporto con Eugenio Corti?
«Con un’amicizia assidua; ci sentiamo e vediamo continuamente. Ed è un’amicizia davvero fortunata anche dal punto di vista editoriale, perché il Cavallo è uno dei titoli leader del nostro catalogo e viene continuamente ristampato. Per ricambiare stiamo pensando a un grande convegno in maggio, per il trentesimo della pubblicazione, con un’edizione apposita e poi appunto l’uscita dell’opera omnia nel corso dell’anno. Malgrado le precarie condizioni di salute, Corti sta ancora lavorando e precisamente a una revisione dei saggi usciti col titolo “Il fumo del tempio”. Ha anche ricevuto due proposte per collocare il suo ordinatissimo archivio, interessante soprattutto per la corrispondenza con i lettori: una dalla Biblioteca Ambrosiana e la seconda dall’Università Cattolica, dove esiste un fondo apposito per gli scrittori d’ispirazione cristiana».
IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 42 – 43
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