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11.12.2024

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Uno strano tipo di prete
31 Gennaio 2014

Uno strano tipo di prete

 

 

 

Prima collabora con il rivoluzionario Mazzini, poi si fa difensore del papato, quindi attacca i Gesuiti, infine promuove i Savoia.
Ecco una sintesi dei “girotondi” del prete Vincenzo Gioberti.

 

 

 
Siamo sicuri che Vincenzo Gioberti (1851-1852), protagonista fra i primi del nostro Risorgimento, sia stato, proprio come ci è stato raccontato, un acceso fautore della federazione italiana sotto la presidenza del Papa, e quindi guelfo che più guelfo non si può?
Non è detto che le cose stiano così. Per dimostrarlo basta dare un’occhiata alle giravolte politiche del prete Gioberti, cominciando dal 1834. Da quando, cioè, Gioberti, il prete Gioberti, collabora alla rivista di Mazzini la Giovane Italia. Qualche mese fa un autorevole storico francese ha paragonato Mazzini agli odierni terroristi. Paragone azzeccatissimo. Rivoluzionario, carbonaro, acerrimo nemico della Chiesa, cospiratore, Mazzini non è un tipo qualsiasi; ed è evidente che non si può collaborare con un uomo così senza condividerne le idee. Tanto è vero che Gioberti è in un primo momento incarcerato, poi esiliato.
Nel 1845 da Bruxelles, dove è in esilio, il rivoluzionario Gioberti ha di fronte un panorama desolante: tutti i tentativi insurrezionali sono falliti. Molti dei “cugini” (carbonari) e dei “fratelli” (liberal-massoni) insorti sono in esilio, altri in prigione. Come fare per risollevare la bandiera rivoluzionaria? È questo il contesto in cui il prete torinese subisce una mutazione che, all’apparenza, sembrerebbe radicale: scrivendo I prolegomeni del primato morale e civile dell’Italia, da rivoluzionario qual era si trasforma nel più acceso fautore del papato e dei meriti incalcolabili che questa istituzione ha regalato all’Italia.
Non tutto è oro quello che luccica. Per chi ha letto un documento del 1818 – noto col nome di Istruzione permanente – che contiene le istruzioni dell’Alta Vendita della carboneria ai cugini sparsi per l’Italia, e per chi si ricorda della collaborazione di Gioberti col carbonaro Mazzini, la cosa desta più di un sospetto. Sì, perché la direzione strategica della carboneria, nel 1818, invita gli adepti a sostenere la tesi fatta propria da Gioberti nel 1845. Ecco cosa suggerisce l’Istruzione riguardo al comportamento da tenere nei confronti del clero: «Nutrite il loro cuore [dei sacerdoti] dell’antico splendore di Roma Papale […] coll’idea della supremazia papale mescolate sempre la memoria delle guerre del sacerdozio e dell’Impero. Risuscitate le passioni mal sopite dei Guelfi e dei Ghibellini».
L’Alta Vendita ritiene possibile riportare la vittoria contro il cattolicesimo, in Italia, facendo leva sull’ingenuità del clero: «Si tratta di stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia [Roma]: che il clero marci sotto la vostra bandiera mai dubitando di seguire quella delle chiavi apostoliche».
I girotondi del prete Gioberti non si fermano qui. Di lì a due anni l’abate torna ad attaccare a testa bassa la Chiesa nella persona dei gesuiti. Lo fa in un’opera che fa scalpore e che è pubblicata a Losanna: il Gesuita Moderno. L’attacco contro i gesuiti è violento. I figli di S. Ignazio sono accusati di ogni possibile misfatto; calunniati senza nessuno scrupolo per la verità dei fatti. Da parte di un prete non c’è male! Il libro di Gioberti esce per di più con un tempismo straordinario: proprio in quegli anni la massoneria ha scatenato una violenta persecuzione contro l’ordine cattolico che, cominciando dalla Svizzera, si propaga a macchia d’olio per raggiungere il cattolico Piemonte e l’Italia.
Vale la pena di offrire un piccolo saggio di quanto Gioberti scrive. Leggiamo: «è il Gesuitismo, che scredita, molesta, tribola, calunnia, perseguita, rovina i valorosi ingegni, gli uomini dotati di spirito libero […] È il Gesuitismo, che rimossi o spiantati dai carichi pubblici i buoni e i valenti, vi sostituisce i dappochi, i tristi ed i vili»; è il Gesuitismo «che rallenta, inceppa, molesta, frastorna, indebolisce, corrompe in mille guise l’istruzione pubblica e privata […] È il Gesuitismo, che semina rancori, diffidenze, animosità, odi, liti, discordie palesi e nascoste fra gl’individui, le famiglie, le classi, i municipii, le province, gli stati, i governi ed i popoli […] È il Gesuitismo, che arrossisce gl’intelletti coll’ignoranza, doma i cuori e i voleri coll’ignavia, snerva i giovani con una molle disciplina, corrompe l’età matura con una morale arrendevole ed ipocrita, combatte, intiepidisce, spegne l’amicizia, gli affetti domestici, la pietà filiale, il santo amor della patria nel maggior numero dei cittadini».
Sarà un caso, ma la calunnia contro i gesuiti spalanca al prete torinese le porte del potere. Riammesso in patria, diventa uno degli uomini più influenti dell’élite liberale, fino a ricoprire le cariche di presidente della Camera e del Consiglio.
L’ultima giravolta politica del prete torinese risale al 1851. In quell’anno pubblica Del rinnovamento civile d’Italia per sostenere una tesi opposta a quella del Primato: il compito di unificare e guidare l’Italia non spetta più al Papa ma ai Savoia. L’anno appresso i girotondi finiscono perché sopraggiunge, improvvisa, la morte.
Un articolo comparso nel 1853 sulla Civiltà Cattolica, la prestigiosa rivista dei gesuiti, riassume brillantemente quanto siamo venuti sostenendo. Ecco cosa scrivono i gesuiti a proposito di Gioberti: «osservator perspicace e giustissimo ritrattista delle persone e dei costumi», quando tratteggia l’operato dei gesuiti non ha per nulla in mente un ordine cattolico: si riferisce alle società segrete di cui è illustre esponente. «Il chiarissimo abate che di tali consorterie [società segrete] ha piena e distinta contezza, quantunque ne nieghi arditamente l’esistenza, volendo fare del suo preteso Gesuitismo il modello della più squallida nequizia, da quelle prese il disegno, e i colori, onde lo lumeggiò, e quando gli parve somigliantissimo al vivo, gli stampò in fronte: GESUITA MODERNO».
Non diversa è la lettura che dell’operato di Gioberti dà il “patriota” Giuseppe Montanelli (1813-1862), antenato di Indro, nelle sue Memorie.
Il triumviro toscano attribuisce a Gioberti due grandi meriti: l’aver indirizzato i rivoluzionari liberali sulla via del riformismo («il riformismo per noi era l’entratura nel progresso per la sola via che ci fosse aperta, non volendo proseguire a disperdere inutilmente le nostre poche forze in conati impotenti di rivoluzione violenta»), e, soprattutto, l’aver messo in comunicazione clero e liberalismo: «Col separare il cattolicismo dal gesuitismo, Gioberti aveva mostrata aperta ai liberali l’entratura della Chiesa, ai preti l’entratura del liberalismo, servigio immenso reso alla fratellanza italiana, ponte gettato fra due rive che separava un abisso». Divide et impera: dando a credere che sia lecito essere cattolici non tenendo in nessun conto il magistero pontificio, Gioberti ha reso un grande servizio al pensiero rivoluzionario. Il suo esempio, purtroppo, ha trovato molti imitatori. Anche ai nostri giorni.

Bibliografia

Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento, Piemme, 2000.
Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere, Ares, 1998.
Massimo Viglione, “Libera Chiesa in libero Stato”? il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale, Città Nuova, 2005.

IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 28-29

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