Bush guerrafondaio, Europa pacifista: questo secondo la vulgata comune.
Ma il primo è a favore della vita, la seconda è a favore dell’aborto.
Come interpretare questo “paradosso”?
Nel suo discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (13 gennaio), il Papa ha detto con chiarezza che davanti alle paure incombenti sul mondo, si può cambiare solo iniziando dal “sì alla vita” (no quindi all’aborto, all’eutanasia, alla donazione umana). “Tutto comincia da qui, poiché il più fondamentale diritto umano è il diritto alla vita”, ha detto Giovanni Paolo II. E da qui discende anche il “no alla guerra”, che peraltro è stato l’unico passaggio del discorso del Papa di cui i giornali hanno parlato.
Stando al pensiero del Papa, comunque, l’inizio del 2003 ci regala un apparente paradosso: da una parte abbiamo il presidente americano George Bush che, nel mentre lancia una battaglia contro l’aborto, dall’altra è ostinatamente deciso a muovere guerra all’Iraq; dall’altra abbiamo l’Europa che, mentre scende in piazza a difesa della pace, lancia una nuova offensiva internazionale per diffondere l’aborto. Cosa succede, dunque, e come interpretare queste posizioni? Intanto è importante andare oltre le apparenze e capire esattamente cosa sta accadendo.
Cominciamo dall’Europa: non c’è dubbio che oggi sia la punta di diamante del movimento abortista internazionale, e lo dimostra il nuovo regolamento sugli aiuti allo sviluppo (Rapporto Sandbaek) che è stato approvato in forma definitiva all’inizio di febbraio.
Con questo regolamento (la normativa più vincolante dell’Unione europea), la Ue lega infatti l’erogazione di aiuti ai Paesi poveri all’adozione – da parte di questi stessi Paesi – di programmi che prevedono i servizi di salute riproduttiva, in pratica aborto e contraccezione. E questo non è che l’ultimo di una serie di episodi che vanno in questa direzione. A seguire il ragionamento del Papa dovremmo dedurre che in questo modo l’Europa si sta candidando a essere la principale fonte di guerra nel mondo. Eppure, stando ai mass media e all’immagine consolidata, la Ue appare invece a difesa strenua della pace nella crisi irachena.
In realtà, ciò che muove i Paesi europei (alcuni in particolare) è il proprio interesse nazionale.
Legittimo, per carità, ma che non ha niente di ideale e di pacifico.
Tanto è vero che la Francia, mentre lanciava la sua sfida a Washington sull’Iraq, decideva di “normalizzare” la Costa d’Avorio inviando le proprie truppe, peraltro prese a sassate dalla popolazione locale.
Il fatto è che Parigi difende in Iraq i suoi contratti . petroliferi (per cui non vuole la guerra) e in Costa d’Avorio il proprio “patronato” neo-coloniale (e quindi interviene militarmente).
Anche per gli Stati Uniti la posizione nella crisi irachena nasce dagli interessi nazionali, che in questo caso hanno poco a che fare con il petrolio.
Detto molto sinteticamente, nel quadro della lotta al terrorismo Washington cerca di prendere il controllo diretto di una regione considerata culla del terrorismo e dove anche i Paesi considerati “alleati” sono ritenuti poco affidabili (vedi Arabia Saudita).
L’ostinazione dell’amministrazione Bush nel cercare la “scorciatoia” della guerra all’Iraq è certamente da condannare, soprattutto per le probabili conseguenze negative leggi vittime civili, incremento del terrorismo, instabilità dell’intera regione – che sarebbero di gran lunga più gravi degli eventuali benefici, ovvero la fine del regime di Saddam e il venir meno di una possibile fonte di sostegno ad al-Qaeda.
Eppure non si può non osservare con ammirazione l’impegno della stessa amministrazione Bush nel porre un freno alla legislazione abortista interna e nel tagliare i fondi alle organizzazioni – incluse le agenzie dell’Onu – che promuovono l’aborto a livello internazionale. Al punto che lo stesso Bush ha indetto lo scorso 19 gennaio una giornata nazionale per il diritto alla vita. Purtroppo, gli stessi cattolici così pronti a condannare il Bush “guerrafondaio” hanno accolto con un imbarazzante silenzio le iniziative antiabortiste del presidente americano. Indubbiamente si può rilevare una contraddizione nella posizione della Casa Bianca, con quel “sì alla vita” difeso solo a tratti o piegato sull’altare di altri più pressanti interessi, ma si deve anche tener presente come le vicende umane siano ben raramente “pure”.
È stato giusto quindi come ha fatto il Papa opporsi tenacemente all’intervento armato in Iraq, ma ciò non deve tradursi in una opposizione agli Stati Uniti.
Non solo l’America resta un punto fondamentale di riferimento per chiunque voglia difendere la libertà, ma questa amministrazione Bush sta dando anche prova di voler di fendere i pilastri della dignità umana, cosa che avrà benefici effetti nel lungo periodo, anche dal punto di vista del risparmio di vite umane: basti considerare che ogni anno nel mondo vengono praticati circa 50 milioni (ripeto: 50 milioni) di aborti.
Allo stesso modo, è stato giusto rallegrarsi del “freno” imposto dall’Europa all’intervento in Iraq, ma purtroppo si deve essere coscienti che la stessa Ue – con la sua politica di “aborto libero e universale” – sta oggi lavorando attivamente per un mondo più ingiusto, dove il “diritto di vita o di morte” di una persona sull’altra viene difeso come un diritto umano fondamentale. Per noi che siamo europei, perciò, il compito principale non è quello di demonizzare Bush e gli Stati Uniti, quanto quello di impegnarci all’interno dell’Unione Europea per far rivivere quelle radici cristiane che sembrano ormai confinate a puro reperto storico.
RICORDA
“Viviamo sotto la grave minaccia della guerra nucleare, cerchiamo di scacciare il pensiero dell’Aids, ma non impediamo che vengano uccisi i bambini non ancora nati. L’aborto è una grave minaccia per la pace. Quando eliminiamo un bambino non nato stiamo cercando di eliminare Dio”.
(Madre Tresa di Calcutta, Discorso al Palazzo di Vetro dell’Onu, New York 26/10/1985).
IL TIMONE N. 24 – ANNO V – Marzo/Aprile 2003 – pag. 6 – 7