Nella Messa tutto è ordinato alla consacrazione e alla consumazione del Pane e del Vino.
Che è Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo. Nella confusione odierna va recuperato il vero spirito della liturgia. Per questo sembra urgente una riforma della riforma liturgica.
Chissà se riusciremo mai a capire davvero e fino in fondo il valore e la bellezza della liturgia. Di questa preghiera della Chiesa tutta che sale ogni giorno verso il Cielo.
Di questa lode che è insieme impetrazione e ringraziamento e che anticipa per noi, ancora impegnati nel cammino terreno, quell’eterna liturgia che in ogni istante si celebra in paradiso dove la Santa Trinità insieme con Maria Regina riceve l’omaggio amorevole degli angeli e dei santi.
Là, tutto ci sarà chiaro, senza bisogno di spiegazione alcuna. Finalmente il peccato sarà stato per sempre vinto e superato. Anche quello originale, che ottenebra spesso la nostra vista, che ci rende arroganti e orgogliosi di fronte a Dio impedendoci di cogliere ciò che attiene al nostro essere creature.
Ma non siamo stati lasciati soli in questo cammino di ascesa. Per superare i mille ostacoli che si incontrano lungo la via, ogni generazione che si affaccia alla fede riceve un dono grande e inestimabile. Questo dono è, appunto, la liturgia, che è, nella sua sostanza più profonda, la celebrazione del Mistero di Cristo nel tempo della Chiesa. Un dono, dicevamo, perché attraverso di essa non solo preghiamo Dio, conoscendolo al contempo sempre meglio nel continuo succedersi dei tempi liturgici e della Parola che in essi ci viene proposta ma, tramite i sacramenti, ci introduce nel cuore stesso del Mistero cristiano, aprendoci l’accesso a quella grazia che sola è capace di trasformarci e salvarci. Non dimentichiamo, infatti, che centro e culmine di tutta questa grande preghiera ecclesiale è la celebrazione della Eucaristia. Tutto ruota attorno a questo riattualizzarsi sull’altare del sacrificio della croce e, insieme, del trionfo della risurrezione. È quest’ultima infatti – non scordiamolo mai – che dà valore alla prima e che rende credibile il mistero stesso dell’Eucaristia. Noi ci cibiamo non del Cristo morto ma del Cristo morto, risorto e glorioso.
Tutto nella preghiera liturgica, direttamente o indirettamente, mira a portarci all’incontro intimo e profondo con l’Emanuele, il Dio che si è incarnato e fatto simile a noi non solo in Palestina, duemila anni fa, ma che anche ora è realmente presente ogniqualvolta un’ostia di frumento o il vino di un calice vengano consacrati.
Così, il battesimo ha il compito di introdurci nella dinamica cristiana; la cresima quello di donarci lo Spirito Santo perché la nostra fede diventi come quella degli apostoli dopo la Pentecoste; la confessione quello di purificarci sempre più dai nostri peccati perché il nostro incontro con il Figlio sia sincero e profondo; l’ordine, che dona ad alcune persone chiamate a questa vocazione il carisma sacerdotale; il matrimonio, in cui gli sposi uniscono le loro vite in un vincolo sacro come quello che lega Cristo alla sua Chiesa; ed infine l’unzione degli infermi, che sostiene i malati rendendoli pronti, se necessario, all’incontro finale con il Figlio di Dio.
Ma anche nella Messa stessa tutto è ordinato alla consacrazione e alla consumazione del pane e del vino. La liturgia propria dei vari tempi liturgici ci consente di rivivere ogni anno l’intera “storia della salvezza”. L’Avvento, che è preparazione alla venuta nella carne del Signore tanto atteso; il tempo del Natale in cui godiamo la gioia di quell’evento e ne approfondiamo il significato; il tempo di Quaresima, che vuole purificarci perché capiamo ciò che avverrà nel tempo di Pasqua cioè la passione, la morte, la risurrezione e l’ascensione del Signore; infine, la Pentecoste che completa il ciclo. Il tempo ordinario, poi, ci aiuterà a penetrare sempre meglio il senso del messaggio evangelico, gli insegnamenti che Gesù ha predicato e che gli evangelisti ci hanno trasmesso. Mentre le commemorazioni, sparse nel corso di tutto l’anno, di Maria e dei santi servono a fornirci – oltre che degli amici e protettori – degli autorevoli testimoni, a prova che la salvezza promessa si è di fatto in loro realizzata.
Ma – vale ripeterlo – tutta questa ricchezza di testi, questo alternarsi di richiami diversi in ogni giorno dell’anno liturgico, le preghiere di lode, di impetrazione, di ringraziamento che li accompagnano, poco varrebbero se non avessero lo scopo di prepararci a ciò che è il vero punto d’arrivo di ogni Messa: la consacrazione di quel cibo fatta dal sacerdote, nel nome di Gesù Cristo stesso e poi la sua consumazione. È questa sua presenza reale della quale ci nutriamo che ci aiuta a penetrare poco a poco, giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, anno dopo anno, nella profondità del Mistero che ci rende figli di Dio sempre più consapevoli.
Per tutti questi motivi la liturgia deve essere adeguata nel suo svolgimento a quello che è il suo scopo. E proprio per questo, dopo la Riforma introdotta dal Concilio, ora si par-la sempre più frequentemente di una riforma della Riforma.
Perché? Vediamo di chiarire il cuore del problema.
La Riforma conciliare ha certamente rimesso l’accento sul Mistero di Cristo, ricollocandolo al centro delle celebrazioni. Ma al contempo, nella preoccupazione di farlo diventare più comprensibile, più adeguato alla sensibilità di oggi, lo ha come in parte celato, rendendolo di fatto più impenetrabile. E questo perché il soprannaturale – come sappiamo – non contraddice la ragione però la supera. Così, esso non è raggiungibile con i soli strumenti razionali, la lingua parlata, la musica moderna e popolare, le molte spiegazioni e precisazioni che ora spesso appiattiscono i riti e che, tra l’altro, sono spesso fonte di una creatività soggettiva non opportuna da parte dei celebranti.
L’esperienza di Dio che la liturgia vuole farci fare, l’incontro con Lui che vuole aiutarci a realizzare, deve fare appello anche ad altre dimensioni della persona che oggi appaiono trascurate. Deve riuscire a creare, pure nelle sue forme esterne, nelle parole, nei gesti, nelle armonie della musica, nella bellezza degli addobbi e dei paramenti, persino nell’uso ben fatto degli aromi, come per esempio dell’incenso, quell’atmosfera il più possibile “sacra” che riesca a coinvolgere tutto l’essere fin nel profondo, anche nei suoi aspetti inconsci o sopraconsci. E che introduca in uno spazio speciale che elevi i nostri cuori, li distacchi, per qualche momento almeno, dal contingente, introducendoli in una atmosfera diversa che li renda più sensibili a cogliere la presenza del Signore.
Da qui, da parte di molti, il desiderio di operare qualche cambiamento che permetta di ricuperare il “vero spirito della liturgia”. Così, alcuni chiedono con insistenza che venga reintrodotto almeno in parte il latino non solo come segno di fedeltà alla Tradizione ma come lingua “sacra” che, come tale, agisce anche al di là di una perfetta conoscenza e comprensione. E che diventerebbe così, di per sé, un simbolo e uno strumento di distacco dal quotidiano, segnando il passaggio ad una atmosfera, appunto, sacrale. Da qui la richiesta che ci sia un rispetto pieno delle norme e delle formule liturgiche che, proprio nella loro continuità e ripetitività, diventano “rituali”, entrando così a far parte della memoria – anch’essa “sacra” – di ognuno di noi continuando ad agire nell’intimo anche oltre il rito. Da qui, ancora, la riproposta di forme liturgiche, come per esempio l’altare rivolto non più al popolo ma verso Oriente, che sottolineino non tanto, come ora, una comunità che celebra, raccolta in se stessa, il rito della Messa, ma il popolo di Dio che, al seguito del celebrante, si rivolge al suo Signore dal quale solo proviene la salvezza. Vi è da riflettere su tutto questo cercando, nell’attesa, noi per primi, di penetrare sempre meglio lo spirito della liturgia. Ciò aiuterà molto la nostra fede e, di conseguenza, la nostra vita.
IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 56-57