Il Papa raduna i vescovi per chiarire il ruolo, i compiti e le responsabilità dei Pastori della Chiesa all’alba del terzo millennio. Il cardinale Meisner denuncia una forma di autosecolarizzazione della Chiesa. Per Ratzinger, al mondo non interessano i problemi ecclesiali, ma Gesù Cristo.
Quale ruolo devono avere le Conferenze Episcopali? Può il Sinodo avere vita propria? In che modo le chiese locali possono fare riferimento alla Curia Romana? e soprattutto come ed in che modo deve comportarsi il Vescovo di fronte alle sfide del terzo millennio?
Domande che sono rimbalzate spesso tra i 247 partecipanti alla Decima Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, che si è svolta in Vaticano dal 29 settembre al 27 ottobre 2001 sul tema “II vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”.
Giornali, radio, TV ne hanno parlato poco e con reticenza, il mondo massmediale non ha capito le implicazioni di questo evento, ma il Sinodo dei Vescovi è stato un appuntamento cruciale per il futuro della Chiesa cattolica, pari se non superiore per importanza e implicazioni ai sinodi finora svolti e all’ultimo Concistoro.
Molti i problemi che il Sinodo doveva affrontare: la secolarizzazione, la crisi di vocazioni, il nichilismo, la cultura dominante che sembra senza speranza e che tende a diffondere paganesimo, panteismo, edonismo, oscurantismo, violenza.
Dal punto di vista specifico, poi, la Chiesa ha visto nel periodo post-Concilio Vaticano II crescere enormemente il numero dei Vescovi, mentre si sono impoverite le fila dei nuovi sacerdoti. Inoltre, molte diocesi, soprattutto quelle del Nord Europa, che fino agli anni Sessanta erano ricche di vocazioni missionarie, vedono oggi i loro seminari semivuoti.
Un quadro a tinte fosche che ha lasciato intravedere però anche tanti segni di speranza. Lampi di luce viva e intensa, provenienti dai Movimenti nei paesi del mondo ricco, ma soprattutto dalle Chiese giovani dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Mai come in questo Sinodo sono risuonate parole come “testimoniare Cristo”, “servire la Chiesa” “vivere e diffondere la santità”.
Il dibattito è stato intenso, articolato e composito. Da una parte sono schierati i Vescovi che possono essere chiamati “riformatori”, quelli cioè che, di fronte alle sfide enormi che il mondo pone alla Chiesa cattolica, hanno proposto una riforma radicale della struttura ecclesiastica, con le Conferenze Episcopali che dovrebbero sostituire la Curia; i Presidenti delle Conferenze Episcopali che dovrebbero diventare dei “pontefici” di Chiese regionali e continentali, con piena libertà non solo in termini di potestà ma anche di interpretazione del magistero e della dottrina.
Pur assicurando l’unità con Roma, una riforma del genere indebolirebbe ovviamente il ruolo e l’autorità del Vicario di Cristo. Infatti gli stessi “riformatori” hanno proposto che il Sinodo diventi vero centro dell’autorità, in un contesto in cui i presidenti delle Conferenze Episcopali verrebbero eletti automaticamente senza conferma del Papa.
Il pontefice insomma non potrebbe più deliberare niente senza il parere indipendente del Sinodo.
Una decentralizzazione che porterebbe ad un ulteriore burocratizzazione dei Vescovi, alla divisione tra Chiese locali e potere centrale, nei fatti un vero indebolimento della Chiesa cattolica di fronte ai propri fedeli ed al mondo. In questo contesto mons. James Dunn, Vescovo di Auckland (Nuova Zelanda) ha addirittura chiesto una riforma del sacramento della penitenza, evitando la confessione.
Nonostante una certa foga e l’attenzione particolare riservata loro da una parte dei mass media, i cosiddetti “riformatori” si sono rivelati “minoranza” nell’Assemblea. Nessuno dei loro interventi è stato applaudito. Ma l’aspetto più interessante è il dibattito che è emerso nella parte maggioritaria dell’Assemblea.
Ci sono stati Cardinali, Vescovi e Arcivescovi i quali hanno analizzato in maniera molto chiara la situazione di pericolo per la fede, e per questo hanno proposto una vera radicalizzazione nell’identità e nel comportamento del Vescovo.
Da qui tutti gli appelli a pastore che deve curare il suo gregge, soprattutto nei momenti di difficoltà, invece di esaurirsi in riunioni con le Conferenze Episcopali, o saltare tra una commissione e l’altra. È stato sottolineato spesso l’invito a testimoniare Cristo ed il Vangelo con un comportamento che abbia le caratteristiche della grazia e che susciti santità tra i fedeli.
Significativo a questo proposito l’intervento dell’Arcivescovo di New York, cardinale Edward Michael Egan: la richiesta è stata quella di un Vescovo che non sia succube della “cultura dominante” e che non abbia paura di testimoniare Cristo in una società secolarizzata.
L’essenza dell’analisi e del programma di questo gruppo di Vescovi è stata chiaramente espressa negli interventi dell’Arcivescovo di Kòln Joachim Meisner e del cardinale Joseph Ratzinger. Non è un caso che i loro interventi siano stati i più applauditi.
Ha detto Meisner: “La crisi di fede nella Chiesa è espressione della più grande crisi della cultura, ma anche conseguenza di una forma di auto-secolarizzazione per la quale sono corresponsabili gli organi della Chiesa, ad esempio anche coloro che esercitano il ministero episcopale. (…) l’episcopato di fatto soffre non soltanto di una perdita di autorità che viene dall’ester no, ma che involontariamente favorisce anche la rinuncia all’autorità che viene dall’interno. (…) Il Vescovo non è un pio credente privato, ma un testimone pubblico.
Egli deve affrontare i problemi presenti nel mondo ecclesiale, non soltanto per salvare se stesso, ma anche per difendere la fede, per correggere gli errori e per approfondire la verità”.
Dopo aver fatto esplicito riferimento all’intervento di Meisner, il cardinale Ratzinger ha spiegato: “II munus docendi affidato al Vescovo è un servizio al Vangelo e alla speranza. La speranza ha un volto e un nome: Gesù Cristo, il Dio-con-noi. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza.
Essere al servizio della speranza vuoi dire annunciare Dio col volto umano, col volto di Cristo.
Il mondo ha sete di conoscere, non i nostri problemi ecclesiali, ma il fuoco che Gesù ha portato sulla terra. Soltanto se siamo divenuti contemporanei con Cristo, e questo fuoco è acceso in noi stessi, il Vangelo annunciato tocca i cuori dei nostri contemporanei”.
RICORDA
“Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie, la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano”.
(Conc. Vaticano II, Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, n. 25).
IL TIMONE N. 17 – ANNO IV – Gennaio/Febbraio 2002 – pag. 12 – 13