Uno studio statistico dimostra come la legge sul divorzio abbia contribuito a spegnere il desiderio di "fare famiglia". Così come avvenuto con la legge 194 rispetto alla vita. .
D'altra parte la legalizzazione nasce da una mentalità diffusa.
Che può essere cambiata con un'opera di apostolato culturale.
In occasione del tentativo del governo Prodi, nel corso del 2007, di equiparare in Italia le unioni di fatto, anche omosessuali, all'istituto del matrimonio fondato sull'unione fra un uomo e una donna, è spesso stata usata un'argomentazione apparentemente sensata: «I DICO (i diritti delle coppie di fatto) non sono un pericolo per il matrimonio, perché la legge non obbliga nessuno a sottoscrivere i DICO, e chi desidera sposarsi può sempre farlo». Questa argomentazione ricalca quella usata a favore dell'aborto: «La 194 non obbliga nessuno ad abortire, chi desidera avere figli può continuare a farlo».
La legge genera costume
Queste affermazioni nascondono una semplice verità: questo tipo di leggi riguarda tutta la società, anche chi decide di non farvi ricorso.
L'uomo, infatti, è portato ad identificare ciò che è lecito con ciò che è giusto, e ciò che è illecito con ciò che è sbagliato. Questo perché è presente nell'uomo il concetto che la legge positiva (cioè "posta" dall'uomo) deve adeguarsi alla legge naturale.
Una legge, in altri termini, influenza anche la percezione delle persone circa ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fare. Come ha scritto il criminologo inglese Nigel Walker, «la legislazione di una generazione può divenire la morale della generazione successiva» (citato da Mauro Ronco, L'aborto in quattro paesi dell'Europa Occidentale: legislazione e cause, in Quaderni di Cristianità, n. 4/1986).
È quindi falsa l'affermazione secondo la quale una eventuale legge che permetta le unioni omosessuali non reca alcun danno a chi segue una visione tradizionale della famiglia, perché trasforma socialmente l'idea di matrimonio da realizzazione, compimento, destino a una questione di preferenza, orientamento o possibilità, nella quale la propria corporeità diventa irrilevante.
Allo stesso modo è falsa l'affermazione gemella riguardante l'aborto. Lo dimostra una ricerca pubblicata nel 1988 da due studiosi dell'Università di Trento, Erminio Guis e Donatella Cavanna: da questa indagine è emerso che il 32% delle donne che avevano abortito non l'avrebbero fatto in assenza della legge 194. La legalizzazione dell'aborto, quindi, checché ne dicano i suoi sostenitori, non solo ha contribuito a moltiplicare il numero degli aborti, ma ha anche provocato, nella società, un danno di natura morale e sociale incalcolabile.
Una ulteriore dimostrazione di quanto siano rilevanti gli effetti di una legge sulla mentalità comune è data da un recente libro dello statistico Roberto Volpi, significativamente intitolato La fine della famiglia. Volpi osserva come le nascite, in Italia, siano crollate drasticamente e in modo regolare (da 869.000 a 640.000) nei pochi anni che vanno dal 1974 al 1980, in controtendenza rispetto ai decenni precedenti. Certamente. la legge 194 del 1978 è responsabile di circa 140.000 bambini abortiti ogni anno; ma qualcosa. nella propensione genitoriale degli italiani. era cambiato in precedenza.
Secondo Volpi, la responsabilità del crollo delle nascite è da attribuire, più che alla 194, alla legge sul divorzio del 1970, e ancora di più al referendum abrogativo del 1974. che costrinse gli italiani a prendere posizione sul tema: «La vittoria del no al referendum, che confermò la legge sul divorzio. e le dette una forza ancor più dirompente. contribuì in modo decisivo a una complessa trasformazione di atteggiamenti culturali, schemi mentali e persino posizioni ideologiche sul matrimonio, la famiglia, i figli, le istituzioni e sulle relazioni fra tutti questi elementi fondanti della società» (p. 17). La legge sul divorzio avrebbe quindi causato una perdita di fiducia nell'istituzione matrimoniale, nella famiglia, nel futuro, tanto da scoraggiare gli italiani a mettere al mondo dei figli. Ecco come una legge scritta per pochi "casi pietosi" ha influenzato tutte le coppie e le famiglie italiane, cambiando in modo drammatico la loro concezione di matrimonio e, di conseguenza, la loro vita.
Una cultura diffusa necessaria alla legalizzazione
È importante sottolineare come valga anche il meccanismo inverso, ossia come la legislazione sia il frutto della mentalità, comune. Sia la legge sull'aborto sia quella sul divorzio, infatti, sono state sottoposte a referendum, e in entrambi i casi ha vinto il no all'abrogazione della legge, segno che la battaglia a favore della legge naturale era già stata persa a livello culturale, prima ancora che referendario. Viceversa, al referendum per abrogare la legge 40 del 2004, sulla fecondazione artificiale, ha prevalso la posizione astensionista raccomandata dalla Conferenza Episcopale Italiana; e il disegno di legge sulle unioni omosessuali, presentato dal governo Prodi, ha incontrato l'ostacolo definitivo nel Family Day 2007, quando più di un milione di persone si sono riunite in piazza San Giovanni a Roma per manifestare la loro contrarietà.
"Far bene" è sempre possibile
Quale insegnamento trarre da queste riflessioni?
Un impegno efficace per una società migliore, rispettosa della legge naturale, passa attraverso un impegno sia culturale sia politico, in modo da contrastare sia il relativismo morale, sia le leggi ingiuste che da esso derivano. Sarebbe sbagliato dimenticare come la legalizzazione di un male contribuisca a produrre un costume, cioè abitudine e assuefazione al male, ma sarebbe peggio ritenere che la via, paziente e tenace, dell'apostolato culturale sia diventata impossibile dopo la legalizzazione del male. Le persone possono cambiare, così come la loro visione del mondo, altrimenti la vita sarebbe senza speranza e Cristo avrebbe smesso di offrire la Sua salvezza a tutti gli uomini, qualunque male abbiano commesso e qualunque sia la loro condizione esistenziale. Sono i cattolici ad avere la particolare responsabilità di offrire la loro libertà perché il "mondo" conosca la Salvezza e il perdono del Signore, e quindi aderisca alla verità sulla vita e sulla famiglia.
RICORDA
«Urgono una generale mobilitazione. delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in ano una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell'uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti. L'urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti, mira a "trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità"; è come il lievito che fermenta tutta la pasta (cf. Mt 13,33) e, come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall'interno, perché esprimano l'intera verità sull'uomo e sulla sua vita».
(Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium Vitae, 25 marzo 1995, n. 95).
BIBLIOGRAFIA
Roberto Volpi, La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti, Mondadori, 2007.
Mario Palmaro, Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, 2008.
IL TIMONE – N. 77 – Anno X – Novembre 2008 – pag. 54-55