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13.12.2024

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Vivaio
31 Gennaio 2014

Vivaio

 

 


 

 

 

 

La notizia “migliore” (tra virgolette, è ovvio) del periodo natalizio appena trascorso? Non sorprendono più, di certo, quelle sul rifiuto del presepe, anzi di ogni simbolo, di ogni riferimento cristiano alla festa cristiana per eccellenza. Ma stavolta è stato colpito un protagonista, ormai da molto tempo, della “laicizzazione” del dicembre. Ma sì, è toccato anche all’insopportabile Babbo Natale, il santa Claus degli americani, nato negli anni Venti del secolo scorso per una campagna pubblicitaria della Coca Cola (da qui il colore dell’abito, bianco-rosso) e dilagato poi ovunque. Questo, in effetti, è successo: la Rossmann, una delle catene di supermercati più presenti in Germania (qualcosa come 1.200 magazzini) proponeva ai clienti una statuetta in resina dell’omone con barba con la testa verso l’alto e un braccio alzato. Un dito della mano era teso a mostrare qualcosa nel cielo. Forse la cometa tradizionale? Mai i dirigenti del supermercato – gente di commercio, pratica – avrebbero immaginato l’indignazione che la statuetta avrebbe provocato: innanzitutto, nei custodi della “laicità”, disturbati da quel guardare verso il cielo, dunque con un richiamo intollerabile alla dimensione religiosa, assolutamente da rimuovere perchè offensiva dei non credenti e dei credenti in altre religioni. Ma, soprattutto, è intervenuta – durissima – la comunità ebraica: quel braccio alzato era equivoco, hanno accusato, ricordava il saluto detto “romano” dai fascisti e “germanico” dai nazionalsocialisti. Inevitabile il risultato dell’indignazione di due così influenti lobbies. La Grossmann, per evitare guai peggiori e una campagna di boicottaggio, non solo ha ritirato tutte le statuette dai suoi magazzini ma si è impegnata a distruggerle. L’inquisizione, si sa, è solo cattolica: quella che non esiste più da molti secoli, ma per la quale i credenti non chiederanno mai scusa abbastanza.

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Come in altre puntate, estraggo come a caso da appunti e fotocopie. Mi viene in mano una pagina di Niccolò Rodolico, tra i maggiori storici del Novecento, oscillante tra il positivismo e il socialismo, comunque non sospettabile di simpatie cattoliche. Anzi! Molti, anche non specialisti, lo conoscono per una sua monumentale e al contempo assai diffusa Storia degli italiani. Parlando del protestantesimo che da noi non attecchì – grazie anche al l’impegno occhiuto di quella Inquisizione che abbiamo appena ricordato – lo studioso siciliano scrive: «La Riforma, dunque, fallì in Italia. E quando si pensi a ciò che sarebbe potuto accadere, se al frazionamento politico si fosse aggiunta  la divisione religiosa, e se fazioni teologiche avessero accumulato nuove discordie e nuove rovine, non si può – a parte ogni sentimento – non considerare provvidenziale avere l’Italia conservato la sua unità religiosa». Si noti quel «a parte ogni sentimento»: anche chi non è cattolico, dunque, deve ringraziare la sorte che il cattolicesimo abbia retto. Ma ancor più interessante,forse, è la conclusione di Rodolico: «La resistenza della Chiesa di Roma impedì, tra l’altro, che l’Italia – andando incontro all’iconoclastia protestante e al puritanesimo calvinista – rinunciasse a ciò che era stata, e continuò ad essere, la parola più pura e più eloquente della sua anima religiosa: l’arte». Ma sì, pensiamoci: la vittoria del protestantesimo tra noi non avrebbe permesso all’arte rinascimentale di continuare il suo sviluppo prodigioso; e non avremmo avuto, poi, il trionfo di quel barocco che – partito dalla Roma papale – dilagò nell’Europa e nell’America cattoliche. Gente come Bernini, Borromini, Guarini e cento altri non avrebbero avuto committenti. Ma anche il neoclassico, pur già segnato dai “Lumi”, avrebbe dato assai meno di quanto non ci abbia offerto. I protestanti, le statue le facevano a pezzi, gli affreschi li raschiavano, i quadri li davano alle fiamme, le architetture le demolivano. Ma sì, l’umanità intera ha corso un bel rischio: quello di perdere i mecenati ecclesiali e di perdere gli artisti, costretti a scegliersi un altro mestiere più consono al cosiddetto “nuovo Evangelo” predicato dalla Riforma.

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Mi capita sotto mano giusto un appunto sulla diffusione del luteranesimo in Danimarca dove – come avvenne in molti altri Paesi – la riforma fu imposta al popolo, con le buone e con le cattive, da una casta aristocratica che voleva moltiplicare il suo potere e la sua ricchezza a spese del clero cattolico. Furono aboliti, ovviamente, monasteri e conventi, ma con una eccezione: le case religiose, dove i nobili rinchiudevano le loro figlie perchè non si sposassero, intaccando così il patrimonio familiare con le doti di cui dovevano essere munite. Mentre, fuori, i nuovi pastori tuonavano contro le pratiche ascetiche, mentre i frati prendevano moglie e i conventi erano spartiti tra i nobili, le loro figlie, dentro le mura inviolate dei loro monasteri, dovevano continuare a praticarle.

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Intervista a Torsten Wiesel, neurologo e psichiatra, premio Nobel nel 1981 per la scienza. Gli chiedono, alla fine del colloquio: «Potrebbe darci un piccolo consiglio di igiene mentale?». Risposta dello specialista, ebreo che si professa agnostico: «La differenza tra noi la fa il modo con cui trattiamo noi stessi. Credo che troppe volte siamo troppo severi nel giudicarci. Quando sbagli, ammettilo subito, però datti anche subito un’altra opportunità. Per questo, senza entrare nel giudico sulla sua trascendenza spirituale, considero la confessione cattolica un’invenzione geniale. La giudico il migliore, il più efficace strumento di igiene mentale».

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Curioso, questo appunto che presi dopo un colloquio con Luigi Firpo, uno dei laicissimi maestri dei miei anni universitari, quando cominciavano i primi sintomi di certa demagogia clericale che sarebbe poi arrivata ai frati guerriglieri di America e Africa: «E’ sacrosanto che i preti stiano dalla parte degli oppressi. Ma perchè soffrono, non perchè sparano».

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Jérome Lejeune, grande scienziato genetista e grande credente riassumeva così una vita di studio sui segreti dell’organismo: «Dio perdona sempre. Gli uomini perdonano qualche volta. La natura non perdona mai». Pensava, in particolare, ai tentativi di “banalizzazione” della dimensione sessuale, alle beffe per i retrogradi, gli oscurantisti che ancora osano parlare di atti e prospettive “contro natura”. Il prezzo da pagare, avvertiva, è e sarà sempre alto e implacabilmente presentato.

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Giusto al proposito. Dice la definizione “naturale” di famiglia, accettata sino a pochi decenni fa da tutte le culture: un uomo, una donna, i loro figli. Adesso, nessun organismo internazionale e molte costituzioni nazionali rifiutano questa definizione, considerata “retriva” e “superata”. Ma come trovare allora una definizione davvero “politicamente corretta”, “non discriminante per alcuno”, “aperta a  ogni scelta”? Sono stati i liberal finlandesi ad avere il colpo di genio . Ad Helsinki, in effetti, è stato presentato un disegno di legge che chiede di definire la famiglia così: «L’insieme delle persone che si servono dello stesso frigorifero». Non è uno scherzo. E’ vero.

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Per stare a un altro studioso francese, questa volta uno storico, il torrenziale (e a me caro) Pierre Chaunu, protestante di origini e di convinzioni e al contempo ammiratore – talvolta sino all’apologia, ma sempre fondata sui testi e sui fatti – del cattolicesimo. In Spagna, osserva Chaunu, ma in fondo ovunque altrove, la Chiesa è sempre stata più vigilante e ostile nei riguardi degli ebrei piuttosto che dei musulmani. E questo perchè, dice Chaunu, «gli islamici se la prendono con i cristiani ma non con il Cristo, venerato in quanto necessario, almeno come Precursore, alla rivelazione consegnata da Dio a Muhammad. Gli israeliti se la prendono sia con i cristiani che con il Cristo, di cui fanno un impostore, un mago, un figlio di padre ignoto, un bestemmiatore». Se poi, dal campo delle religioni, volessimo passare ai loro sostituti moderni, le ideologie politiche, perchè, costretta tra due mali, la Chiesa s’è intesa meglio con i fascismi che con i comunismi? Perchè i fascismi (o, almeno, il loro prototipo, quello italiano e quel suo discendente diretto che è stato il franchismo spagnolo) conculcano la libertà politica ma rispettano le altre due libertà fondamentali: quella religiosa e quella economica. Con il duce non si votava, ma si andava liberamente in chiesa e liberamente si gestivano i propri affari. I comunismi, invece, reprimono tutte e tre le libertà: niente elezioni (se non farsesche e truccate) ma anche persecuzione dei credenti in Dio e abolizione del mercato. Proprio per questo molti politologi affermano che il solo, vero totalitarismo moderno è stato il marx-leninismo. Gli altri non erano che schemi imperfetti, che lasciavano sussistere buona parte delle libertà tradizionali.

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Per continuare con i “perché”. Perché, con la fine del comunismo, tanti “rossi” sono diventati “verdi” e dal marxismo sono passati all’ecologismo? E’ successo anche con i preti: Leonardo Boff (ma è solo un esempio tra tanti) da leader della “teologia della liberazione”, che era poi “della rivoluzione”, è diventato leader dell’ambientalismo più fanatico e invece di frequentare le fabbriche frequenta da tempo, con moglie al seguito, solo gli animali e gli alberi della fazenda che ha comprato in Brasile e in cui vive. In certe sue recenti interviste, di Dio non parla più, ma solo di “Gaia”, la Madre Terra del nuovo paganesimo ecologico. In fondo, se ci si pensa un momento, quello dal rosso al verde era un passaggio obbligato. C’era, nel comunista, l’esigenza di infilarsi il più addentro possibile nella vita personale dei suoi simili, di abolire il privato per asservirlo al pubblico, di stabilire con leggi e norme che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è altruista e cosa è egoista, che cosa salva il mondo e che cosa lo perde. Progetto che è finito come sappiamo. Invece di smetterla e di lasciare che la gente viva come crede, eccoli, allora, passare ad un totalitarismo del tutto simile, anche se dipinto con un colore diverso. Adesso è il politico che pretende di intrufolarsi persino nel tuo bagno, dicendoti che dentifricio devi usare, quanta acqua deve contenere il tuo sciacquone, di quale carta deve essere fatta quella che chiamano igienica, che composizione deve avere il sapone, quali confezioni – spray o no – devi usare per la barba o per il deodorante, a quale temperatura devi bloccare il termosifone. E’ il governo che ti vuole vietare l’auto, che ti impone la bici, che ti fa la lista della spesa, che ti detta le norme per dividere i rifiuti. E tutto questo, spacciandolo per esigenza della nuova “scienza”  “Scientifica” era per i comunisti la fantasia, spesso il delirio utopico di Marx, Engels, Lenin; “scientifica” è per il verde, già rosso, l’ideologia ambientalista. E, ancora e sempre, sullo sfondo il radioso sol dell’avvenire, il mito mortifero del  mondo nuovo: la liberazione dalle catene sociali per il marxista, il mondo liberato dalla sporcizia materiale per l’ambientalista.

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A proposito di trattamento dei cristiani da parte dei musulmani (ne parlavamo sopra). Vedo una statistica che la dice lunga e potrebbe aggiungersi al dossier da esaminare a proposito di Turchia nell’Unione Europea. Sergio Noja, forse il nostro maggior islamista laico, ha fatto i conti circa la sorte dei Patriarchi di Costantinopoli da quando questa è divenuta l’Istanbul ottomana: 6 subirono una morte violenta, 27 furono costretti ad abdicare, 105 furono deposti d’autorità. Solo 22 di quegli sventurati patriarchi poterono esercitare il loro ministero sino alla morte naturale.

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La tristezza di un caffé in terra musulmana: nessuna presenza femminile, niente alcolici, divieto di giocare a carte, a dama, a scacchi, nessuna presenza di cani e gatti “impuri”, un panino al prosciutto o salame come bestemmia intollerabile, l’altoparlante con il grido registrato del muezzìn che, ad ore fisse, ti costringe a lasciar tutto per metterti con la fronte in terra e il sedere per aria. Anche così, vedendo quei luoghi, si può riscoprire ed amare la meravigliosa libertà del cristiano.

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Furono, pare, gli antichi egizi gli inventori della ruota. Inventori? Probabilmente plagiari. E’ tra quelle sabbie, in effetti, che vive lo “scarabeo sacro” che, dovendo accumulare nei loro nidi grandi quantità di rifiuti, adottò il moto rotatorio, comprendendo l’importanza dell’attrito volvente e confezionando, dunque, palle di sterco, facili da muovere a spinta. L‘uomo imparò dagli insetti. Ma da chi impararono gli scarabei? E’ la domanda cui non saprà mai rispondere alcun ateismo. 

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Ricevo da sempre Ha Keillah, giornale degli ebrei torinesi. In uno degli ultimi numeri scopro che, a causa del bombardamento che aveva semidistrutto la grande sinagoga, la prima funzione religiosa degli israeliti tornati a vedere la luce, nella primavera del 1945, si tenne nell’aula magna del liceo d’Azeglio. Quella stessa aula dove, per cinque anni, feci le traduzioni dal greco, dal latino (o in latino), i temi d’italiano. Insomma, i compiti in classe che seguivano, allora, una sorta di severa liturgia. Ma, al di là di queste risonanze personali, mi interessa leggere il discorso che, in quel maggio del 1945, fece ai correligionari il rabbino capo torinese, Dario Disegni. Eccone un paio di brani: «Volgendo lo sguardo al pauroso passato, sentiamo imperioso il bisogno di inchinarci alla Maestà Divina che ha risparmiato a noi le torture, i patimenti, il martirio inflitti a tanti nostri fratelli di fede. Nel sentimento di gratitudine per la Provvidenza, è associata la nostra riconoscenza verso tutti coloro di cui la Provvidenza si è servita quale strumento per sottrarci alla tremenda sorte. I nostri concittadini non ebrei hanno gareggiato, esponendosi molto spesso a pericoli personali, nel recare aiuto, con tutti i mezzi, pur di salvarci dall’odio». Concludeva il rabbino Disegni: «In questa prima, solenne adunanza religiosa che teniamo dopo la persecuzione, desidero confermare che il bene ottenuto ci ha creato un debito di riconoscenza – anzi, un nuovo vincolo di affetto – verso i nostri concittadini torinesi». E per mostrare a chi pensasse soprattutto, la comunità ebraica torinese si recò in arcivescovado, consegnando una pergamena d’onore al cardinale Maurilio Fossati e appuntando una medaglia d’oro sulla tonaca del suo segretario, monsignor Vincenzo Barale, già imprigionato dai tedeschi proprio per l’aiuto prestato agli ebrei. Una testimonianza tra le mille che sono state rimosse quando, a partire da una certa data, qualcuno decise che era opportuno passare dalla riconoscenza alle accuse.

IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 – pag. 64 – 66

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