«lo ho detto: “Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo”. Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti». (Sal 81 ,6-7).
«”[…] lo e il Padre siamo una cosa sola”. I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidario. Gesù rispose loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Rispose loro Gesù: “Non è forse scritto nella vostra Legge: lo ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?» (Gv10, 30-36).
«Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo cosi come egli è». (1Gv3,1-2).
«[…] ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina». (2Pt 1 ,4).
L’ annuncio del Regno di Dio, della sua prossimità, vicinanza e intimità, è il cuore della predicazione di Gesù. A partire soprattutto dall’introduzione dei “misteri della luce” nel Rosario ad opera di Giovanni Paolo Il, questa non è più solo una constatazione degli studiosi dei Vangeli, ma è diventata una verità sempre più “popolare”.
In che cosa consiste però questo “Regno di Dio”? È solo «la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione», come suggerisce ironicamente Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret (p. 77)? Oppure incontriamo qui un mistero ben altrimenti profondo e impegnativo? D’altronde se Gesù ci avesse portato solo un ideale umano da realizzare, verrebbe spontaneo dire con Dante: «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio III, 39)! Gli ideali gli uomini li sanno costruire da soli… E da soli sanno combinare disastri per realizzarli.
In realtà, dalle parole di Gesù comprendiamo che lui non è solo l’annunciatore del Regno di Dio, ma che con questo Regno si identifica. Che cosa ci ha dunque portato Gesù di nuovo e straordinario? Ci ha portato Dio! Non però un Dio lontano e astratto come un “ideale” da costruire, ma un Dio vicino, talmente vicino che, se crediamo in lui, ci viene dato «potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Non però “figli di Dio” per metafora, come tante volte gli uomini hanno immaginato, ma in modo reale. Il fatto che possiamo “diventarlo” ci autorizza a parlare di “figli adottivi” rispetto a lui che era già Figlio prima ancora di nascere. Con una differenza però: mentre nelle vicende umane il figlio adottivo rimane irrimediabilmente diverso dai genitori, perché nelle sue vene non scorre il loro sangue, qui l’evento va preso con assoluto realismo: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1).
I Padri della Chiesa non hanno perciò temuto di usare una parola molto impegnativa: “divinizzazione”. Per loro lo scopo della vita del cristiano è di essere realmente divinizzato e questo è il grande dono che ci ha portato Gesù. Non c’è qui però il rischio di dimenticare la differenza tra Creatore e creatura e quindi di cadere in un grossolano panteismo? Il rischio c’è, come in tutte le cose belle, ma uno sguardo più approfondito al mistero della Trinità è sufficiente a fugarlo: «Per accostarsi a quel mistero dell’unione con Dio, che i padri greci g; chiamavano divinizzazione dell’uomo, e per cogliere con precisione le modalità secondo cui essa si compie, occorre tenere presente anzitutto che l’uomo è essenzialmente creatura e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia. Si deve però riconoscere che la persona umana è creata “ad immagine e somiglianza” di Dio, e l’archetipo di questa immagine è il Figlio di Dio, nel quale e per il quale siamo stati creati (cfr Col 1,16). Ora questo archetipo ci svela il più grande e il più bel mistero cristiano: il Figlio è dall’eternità “altro” rispetto al Padre e tuttavia, nello Spirito santo, è “della stessa sostanza”; di conseguenza, il fatto che ci sia un’alterità non è un male, ma piuttosto il massimo dei beni. C’è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in tre persone, e c’è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura differenti. Infine, nella santa eucaristia, come anche negli altri sacramenti – e analogamente nelle sue opere e nelle sue parole – Cristo ci dona se stesso e ci rende partecipi della sua natura divina, senza per altro sopprimere la nostra natura creata, alla quale egli stesso partecipa con la sua incarnazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana – Orationis formas del 15 ottobre 1989, n. 14).
Diventare Dio in senso panteistico, cioè “costituendo con lui un’identità assoluta” vorrebbe dire smettere di essere sé stessi. Vorrebbe dire, letteralmente, “sprofondare nel nulla” e questo certamente non è né buono, né desiderabile. La via che Gesù ci propone è ben diversa: è quella dell’amore. Nell’amore, infatti, i due amanti si fondono, ma rimanendo ciascuno diverso dall’altro. La diversità è anzi l’indispensabile presupposto e la bellezza stessa dell’amore.
IL TIMONE N. 83 – ANNO XI – Maggio 2009 – pag. 60
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