L'umanesimo ateo pretendeva di produrre il paradiso in terra.
Invece ha portato totalitarismi liberticidi e sanguinosi.
Perché l'uomo può realizzare se stesso solo nel dono di sé agli altri e a Dio.
Nel XX° secolo è stata lanciata alla religione, ed in particolare al Cristianesimo, una sfida cruciale di carattere filosofico: non la semplice riproposizione teorica dell'ateismo come rifiuto o negazione di Dio, ma una sorta di verifica storica della validità dell'ateismo, attraverso la prassi rivoluzionaria e la costruzione di una società, in cui l'uomo, secondo Marx, avrebbe realizzato la propria autocreazione, la propria «felicità reale», dimostrando di essere il fondamento di se stesso, debitore solo a se stesso della propria esistenza. In tal modo, un uomo quasi divinizzato, avendo superato ogni proprio limite in una società perfetta, in una sorta di paradiso in terra, avrebbe mostrato, secondo le pretese marxiane, l'improponibilità del problema di Dio, il «deciso superamento positivo della religione» o «ateismo positivo».
Nel secolo scorso l'esperimento è stato fatto e il progetto dell'umanesimo ateo, realizzato nella società comunista o del «socialismo reale», si è rivelato fallimentare, perché quella che doveva essere la patria del superamento dell'alienazione è stata la patria della disumanizzazione. Lungi dall'attenuarsi in seguito all'eliminazione della proprietà privata dei mezzi 2 di produzione, il dominio dell'uomo sull'uomo si è dilatato capillarmente nella società, diventando totalitario, liberticida, sanguinosamente repressivo. Invece della liberazione si è prodotta la reificazione delle persone, trattate come cose funzionali al potere, fino alla soppressione delle loro vite. Per dirla con Giovanni Paolo Il, «l'esperienza storica dei paesi socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non sopprime l'alienazione, ma piuttosto l'accresce, aggiungendovi la penuria delle cose necessarie e l'inefficienza economica» (Centesimus annus, 41).
A questo esito di inaudita gravità non è estranea l'opzione ateistica, che, anzi, ne è causa non secondaria, in quanto comporta la risoluzione-dissoluzione dell'etica nella prassi politica sedicente liberatoria. Quando si sostiene che è bene tutto ciò che giova alla rivoluzione ed alla parte politica che la promuove, si apre la via alla disumanizzazione. Perché tutto diventa lecito, avendo preteso di sostituire, come meta suprema delle coscienze e dell'agire, Dio e l'ordine etico con il mito della società perfetta, in vista della quale si ritiene di poter sacrificare chiunque si pensa sia di ostacolo. Il fallimento storico di questo progetto ha una portata epocale ed è decisivo per discernere la verità sull'uomo: non è alienante, come voleva Marx, la religione, che è stato un fattore non secondario per la liberazione dai regimi dittatoriali nel XX secolo, ma, all'opposto, si è rivelata alienante l'ideologia atea, in quanto funzionale alla repressione e allo sfruttamento da parte del potere totalitario. Perciò non si può occultare, come si tenta di fare, questa dura smentita della storia, magari con la mistificante espressione «crollo del muro di Berlino». In realtà, con il crollo dell'impero sovietico si è resa manifesta la non verità di un'ideologia atea, che ha dimostrato di non conoscere l'uomo.
Per capire la lezione che deriva da quel fallimento epocale, si possono prendere due direzioni: o vedere come è corroborata l'antropologia – opposta a quella atea – che considera la persona caratterizzata principalmente dal rapporto creaturale, in virtù del quale ciascun essere umano è voluto, amato e costituito nella sua inalienabile dignità dal Creatore, da cui la fondata speranza della piena realizzazione della persona e dell'umanizzazione della società; oppure indagare sulle ragioni che mostrano la non verità di quella ideologia atea.
Qui soffermiamoci ancora sul primo punto, rinviando ad altra occasione di sviluppare il secondo. La Chiesa, proprio in virtù della visione creaturale dell'uomo, non ne trascura né la dimensione corporeo-sensibile, né l'urgenza dei bisogni materiali. Tuttavia, ritiene che «la libertà economica è solo un elemento della libertà umana» (ibid., 39) e, pertanto, considera «errata e inadeguata» una concezione dell'alienazione che la riduce alla dimensione socioeconomica (cfr. ibid., 41). Giovanni Paolo Il propone di «ricondurre il concetto di alienazione alla visione cristiana», rilevando che l'uomo realizza se stesso mediante il libero dono di sé ad altre persone e «infine a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può pienamente accogliere il suo dono. È alienato l'uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé» (ibid.). Perciò, alla radice dell'alienazione c'è il peccato dell'uomo, «cioè la sua rottura con Dio», perché, tentando di negare Dio, anche con il rifiuto dell'ordine etico, l'uomo altera il suo ordine ed equilibrio interiore, quello della società e quello della creazione.
L'uomo che pretende di liberarsi di Dio è portato «ad attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura», sulla quale «concentra […] il suo desiderio insoddisfatto d'infinito. Se non che, i beni creati sono limitati per cui il suo cuore trascorre dall'uno all'altro, sempre in cerca di un'impossibile pace […]. Divenuto centro di se stesso, l'uomo peccatore tende ad affermarsi ed a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare» (Libertatis conscientia. Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, 1986, 40, 42).
Perciò, si aprono prospettive di speranza se l'uomo riconosce che all'origine e come fine della sua libertà ci sono la verità e l'amore (cfr. ibid., 37), rivelati pienamente nel mistero pasquale di Cristo, la cui potenza salvifica opera nella vita delle persone e nella storia, chiamando l'uomo a collaborare.
«Non è poi vero […] che l'uomo sia incapace di organizzare la terra senza Dio. Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può, alla fine dei conti, organizzarla che contro l'uomo. L'umanismo esclusivo è un umanismo inumano».
(Henri de Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana, 1949, p. 10).
BIBLIOGRAFIA
Georges Cottier, L'ateismo del giovane Marx. Le origini hegeliane, Vita e Pensiero,1990.
Henri De Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Jaca Book, 1992.
Umberto Galeazzi, La teoria critica della scuola di Francoforte, Edizioni scientifiche italiane, 2000.
IL TIMONE N. 71 – ANNO X – Marzo 2008 – pag. 30-31