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15.12.2024

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Yalta e l’illusione dell’Occidente

Yalta e l’illusione dell’Occidente

 

 

 

Alla ?ne della seconda guerra mondiale una logica “spartitoria” consegnò i popoli dell’est europeo al totalitarismo comunista. Una delle maggiori ingiustizie della storia moderna, in nome di un pragmatismo miope e vigliacco.

 

Il riassetto europeo dopo la seconda guerra mondiale e lo smantellamento del Terzo Reich vennero preparati con largo anticipo dagli Alleati in una serie di conferenze al vertice già a partire dal 1943. Quella che siamo soliti chiamare «l’Europa di Yalta» prese forma in un lungo lavorio che si protrasse per due anni, dalla conferenza di Teheran (novembre 1943) alla conferenza di Londra (settembre 1945), passando per gli incontri di Mosca, Yalta e Potsdam. La gestione della vittoria fra Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica non fu delle più facili, poiché c’erano fra le potenze s?ducia reciproca e inimicizia, oltre che progetti politici radicalmente diversi. L’alleanza a tre era stata un fatto di realpolitik dettato dalle circostanze (l’attacco improvviso della Germania all’URSS, nel giugno ’41) e non poggiava certo su basi ideali; lo storico François Furet ha ricordato che: «la seconda guerra mondiale… è formata da due periodi collegati e insieme contraddittori. Dal settembre 1939 al 1941, Stalin è il principale alleato di Hitler. Dal giugno 1941 al maggio 1945 è il suo più accanito nemico. Dell’interminabile con?itto la memoria selettiva dei popoli ha trattenuto il più delle volte solo il secondo periodo, quello reso certo dalla vittoria. Ma la storia, se non vuole essere una versione del passato stabilita dai vincitori, deve rendere conto anche del primo». Dal momento in cui, a causa dell’aggressione nazista, Stalin venne suo malgrado a trovarsi nel campo dei nemici della Germania, i suoi nuovi alleati – premuti dall’urgenza delle vicende belliche – scelsero di archiviare le questioni di principio e di attenersi a considerazioni strettamente pragmatiche; per questo ?nsero di non ricordare l’alleanza fra Urss e Germania, che dal 1939 al 1941 era già costata la deportazione di un milione di polacchi nei lager sovietici. America e Inghilterra scelsero nel proprio interesse di aiutare l’Unione Sovietica senza chiederle contropartite di alcun genere, accettando di transigere sulla verità e sulla giustizia per il bene dell’alleanza. Roosevelt cercò appoggio alla sua linea anche in Vaticano: il 10 settembre 1941 fece pervenire a Pio XII un messaggio in cui affermava che la religione non era totalmente soppressa in Russia e che riteneva esservi la possibilità – una volta concluso il con?itto – che il governo russo avrebbe proceduto ad un riconoscimento della libertà religiosa. Il presidente sosteneva che «per quel che mi consta, le chiese in Russia sono aperte». Ma la Santa Sede continuava a basarsi sulle notizie certe che riceveva dall’Urss: ad esempio, che la Chiesa cattolica era ridotta a due sole chiese e due sacerdoti, e che la Chiesa ortodossa era ai limiti dell’estinzione. Il suo giudizio rimase quindi netto, come si coglie dalle parole di monsignor Domenico Tardini, segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari: «Stalin non è il capo paci?co costretto alla guerra: è il guerrafondaio che è stato prevenuto, nei suoi piani criminali, da un criminale più audace di lui». Successivamente si delineò ancor meglio l’atteggiamento anglo-americano verso l’alleato sovietico: si auspicava una stretta collaborazione con Stalin per il buon esito della guerra, e in più si sperava attraverso questi contatti di in?uenzare positivamente il regime, nella convinzione (alimentata dagli analisti della Casa Bianca) che il comunismo fosse in fase di transizione verso una forma di nazionalismo russo meno aggressivo. Ma mentre i politici spiavano ogni minimo segno di liberalizzazione del regime staliniano (lo scioglimento del Comintern, la ?ne dell’ateismo militante), fatti macroscopici che testimoniavano esattamente il contrario venivano regolarmente censurati. Un esempio fra i tanti è la vicenda del II Corpo d’Armata polacco, arruolato in Unione Sovietica nel 1941 col permesso di Stalin per collaborare alla lotta antinazista: 96 mila uomini tirati fuori con un’amnistia dai lager sovietici dove si trovavano dal momento dell’invasione del 1939. Mentre radunava i soldati, il generale polacco Wladyslaw Anders (1892-1970) si accorse che migliaia di uomini mancavano all’appello. La terribile conferma della strage di 22 mila prigionieri polacchi venne nel 1943, quando nelle foreste di Katyn (presso Smolensk) gli occupanti tedeschi trovarono le fosse comuni. Imbarazzata dalle accuse del generale Anders, l’Unione Sovietica ruppe le relazioni diplomatiche con il governo polacco in esilio, ri?utò le indagini di una commissione internazionale della Croce Rossa, arrestò i polacchi addetti al reclutamento, e da ultimo accusò protervamente i nazisti della strage. Tutto questo senza che da parte occidentale si levasse alcun interrogativo. Più i fatti parlavano, più Roosevelt si mostrava ansioso di credere e di far credere agli occidentali che era possibile trovare un’intesa equa con i sovietici, nello spirito di una collaborazione sincera tra i popoli. Ma la «collaborazione sincera» si tramutava sempre più in connivenza, per cui gli appelli reiterati di Pio XII e della Chiesa cattolica in favore delle nazioni fagocitate dai sovietici cadevano nel vuoto e suscitavano persino irritazione, come avvenne in Inghilterra nel 1944 con l’appello dei vescovi cattolici scozzesi in favore della Polonia. Premuta da ambo le parti (dai tedeschi perché benedicesse la «crociata anticomunista» e dagli alleati perché tacesse sulle violenze di Stalin), la Santa Sede continuò a ribadire la sua lucida posizione di principio, sintetizzata nelle due encicliche emanate da Pio XI, la Mit Brennender Sorge del 14 marzo 1937 contro il nazismo, e la Divini Redemptoris del 19 marzo 1937 contro il comunismo. Non appena le vicende militari cominciarono a prendere una piega favorevole, Stalin assunse il ruolo guida nella coalizione antitedesca. Alla conferenza di Teheran (28 novembre-1 dicembre 1943) Stalin strappò la promessa formale dell’apertura di un secondo fronte in Francia. Inoltre si assicurò quasi tutta la Polonia orientale occupata col patto tedesco-sovietico del ’39, e ottenne l’attribuzione della città di Königsberg, che non era mai stata russa. Nel comunicato conclusivo si legge: «Siamo venuti qui con speranza e determinazione… ce ne andiamo amici, nei fatti, nello spirito e nei propositi». Questo pericoloso scollamento tra il livello puramente verbale delle dichiarazioni di principio e il contenuto reale degli accordi in corso rappresentò il clima dominante di tutte le conferenze al vertice. L’incredibile «remissività» manifestata dalle potenze occidentali altro non era che l’inevitabile conseguenza della decisione di sacri?care la verità a un supposto bene politico immediato; ma ?nì che la connivenza non bastò più e in qualche caso divenne addirittura collaborazione attiva col totalitarismo. Gli incontri successivi videro crescere l’iniziativa dei sovietici: nella conferenza che si svolse a Mosca nell’ottobre 1944, Stalin e Churchill si accordarono sul destino della Polonia, escludendo totalmente dalle decisioni il rappresentante del governo polacco in esilio. America ed Inghilterra fecero pressioni sui polacchi perché accettassero la nuova situazione. A Yalta (4-11 febbraio 1945) venne decisa la spartizione del territorio tedesco in zone di occupazione. Ma mentre la dichiarazione ?nale esortava tutti i paesi «liberati» a svolgere elezioni democratiche, l’Urss procedeva ad arrestare i membri del governo democratico polacco in esilio, ripetendo lo stesso copione con qualche variante in Jugoslavia, Bulgaria, Romania e nei paesi baltici. Churchill, col suo abituale pragmatismo, ritenne che ormai fosse impossibile far recedere Stalin dalle posizioni conquistate con le armi. Ma la clausola più scandalosa accettata dagli occidentali fu quella che tutti i prigionieri di guerra sovietici sarebbero stati rimandati in Urss indipendentemente dalla loro volontà. Su questo punto gli occidentali ebbero un ruolo davvero ignobile, poiché collaborarono attivamente alla morte di migliaia di russi costringendoli con la forza e spesso con l’inganno a salire sulle tradotte che li avrebbero portati direttamente nel Gulag. Fra di loro c’erano anche molti russi emigrati ben prima della guerra, e altri che non erano mai stati cittadini sovietici. Eppure, alla vigilia della conferenza, il segretario di Stato americano aveva assicurato a Pio XII che Roosevelt e Churchill avrebbero concordato una linea comune per difendere la democrazia e la libertà di coscienza all’Est. A Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), vennero sostanzialmente perfezionati gli accordi presi nei vertici precedenti. Poi improvvisamente tutto cambiò. Se il comunicato ?nale della conferenza di Yalta concludeva dicendo: «La nostra riunione ha riaffermato… quell’unità di scopi e di azione che ha reso possibile e sicura la vittoria», – comunicato che il socialista George Bernard Shaw (1856-1950) de?nì «la più sfacciata e incredibile delle ?abe», – già alla conferenza di pace a Londra (28-30 settembre 1945) i ministri degli esteri non riuscirono a conciliare i punti di vista contrastanti. E l’Observer dichiarò che l’incontro aveva consolidato in maniera decisiva la divisione dell’Eu-ropa e del mondo in zone di in?uenza. Un cambiamento così repentino non poteva essere accaduto senza una ragione: gli angloamericani si erano accorti troppo tardi di aver ceduto su quasi tutto. Per capire l’Europa di Yalta, e la divisione del mondo in blocchi contrapposti, occorre dunque risalire alle motivazioni ideali che furono alla base della politica delle potenze occidentali nei confronti dell’Urss. Non a caso sin dal 1942 Pio XII aveva dichiarato all’inviato di Roosevelt che: «Su alcuni principi di diritto e di giustizia non può esservi alcun compromesso». Fondata su un «realismo politico» di corto respiro, su una posizione debole che credeva di evitare la terza guerra mondiale transigendo sui valori e sulla verità, questa linea politica non volle assumersi la responsabilità di difendere con fermezza i principi democratici, e fece così precipitare rapidamente la situazione internazionale verso la guerra fredda. La pace conclusa a simili condizioni, fondata sulla prevaricazione e la censura, è stata pagata per decenni con il rischio sempre incombente della guerra atomica, con innumerevoli con?itti locali come la guerra di Corea e tante che seguirono, ma soprattutto con lo smarrimento da parte degli occidentali del gusto e della fede nella democrazia che, rinunciando alla verità, si riduce a un formalismo astratto.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

P. Pierre Blet sj, Pio XII e la seconda Guerra Mondiale negli archivi vaticani, San Paolo, 1999. François Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, Mondadori, 1995. Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine, Mondadori, 2001.


IL TIMONE  N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 22 – 24
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