Papa in Turchia
43° premio cultura cattolica
«AI come una clava, maneggiare con cura»: la lezione di Benanti a Bassano
Premiato dalla Scuola di Cultura Cattolica, lo studioso richiama all’etica dell’AI, al limite e alla responsabilità per restare davvero umani nell’era digitale
01 Dicembre 2025 - 00:10
Venerdì 28 novembre la Scuola di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa, parte delle Opere di don Didimo Mantiero, ha ospitato la 43ª edizione della Medaglia d’Oro al merito della Cultura Cattolica, assegnata quest’anno a padre Paolo Benanti, francescano, professore universitario e tra i massimi esperti internazionali di algoretica, la disciplina che indaga il rapporto tra essere umano e macchina.
La giornata del premiato è iniziata già al mattino, con un incontro in municipio con il sindaco di Bassano del Grappa Nicola Finco e alcuni rappresentanti della Scuola, seguito da una lezione rivolta a più di duecento studenti delle scuole superiori del bassanese. Con loro Benanti ha affrontato uno dei temi centrali del suo pensiero: la nostra falsa percezione di “possedere” la tecnologia. Ha spiegato come i dispositivi che utilizziamo ogni giorno non soddisfino i criteri classici di proprietà: l’usus (possediamo l’hardware, ma non il software), l’abusus (non possiamo modificarlo senza permesso), né il fructus (non siamo noi a trarne profitto, benché forniamo dati che generano valore per altri).
La serata al Teatro Remondini si è aperta con i saluti istituzionali. Il vescovo Giuliano Brugnotto ha richiamato la missione del Premio, nato dall’intuizione di don Didimo, che «promuove una presenza cristiana capace di interrogare con libertà e coraggio, oggi necessario».
Il sindaco Finco ha invitato a guardare con fiducia ai giovani, «in grado di agire anche in modo diverso da noi», ricordando che l’intelligenza umana resta superiore perché «l’AI non ha cervello e cuore».
L’assessore regionale Manuela Lanzarin ha sottolineato la necessità di «connettere le opportunità senza che diventino disuguaglianze», tenendo ferma «la centralità della persona».
Il presidente della Scuola, David Bozzetto, ha spiegato la scelta del premiato: l’urgenza di affrontare l’etica della tecnologia, perché coscienza e consapevolezza rimangono «privilegio inalienabile dell’essere umano».
Al centro della serata, il dialogo tra la giornalista Caterina Giojelli e padre Benanti. La prima ha ricordato come l’AI stia cambiando lavoro, le relazioni e persino l’identità: «c’è in gioco cosa significa essere umani e l’identità della persona».
Benanti ha aperto il suo intervento mostrando la natura ambivalente dell’intelligenza artificiale. Da un lato è uno strumento che «prende i fini dall’umano e sceglie i mezzi», cosa che «a volte preoccupa»; dall’altro è un sistema che rischiamo di idealizzare attribuendogli capacità che non possiede, perché «la macchina non sa quello che sta facendo, siamo noi che diamo significato».
Ha dunque incalzato sulla crisi contemporanea del limite, oggi percepito come qualcosa da eliminare, mentre «il limite descrive l’identità» e «Gesù è il limite della nostra identità», cioè la misura che permette di ritrovare anche il senso della macchina.
Il premiato ha poi insistito particolarmente sul concetto di “attrito”. Benanti ha ricordato che «le attività significative dell’essere umano derivano proprio dall’attrito»: le difficoltà, l’imprevisto, la resistenza delle cose. L’AI, venduta come soluzione alle incertezze, promette di rimuovere ogni scomodità. È qui che nasce la sua immagine più efficace: «Torniamo umani e smettiamo di essere i topi».
Il riferimento è all’esperimento del “topo meccanico Teseo” del matematico statunitense Claude Shannon, citato in apertura: un congegno che, sbattendo ripetutamente contro le pareti di un labirinto, imparava la strada verso l’uscita. Per Benanti, il rischio è diventare come quel topo: creature che apprendono meccanicamente dagli urti, senza più esperienza, solo esperimenti. La macchina opera così; l’uomo, invece, cresce nell’attrito, non nell’elusione del reale.
Nella parte finale dell’intervento, il francescano ha paragonato le nuove tecnologie con la metafora della clava, uno strumento duplice: poteva servire per cacciare e nutrirsi, ma anche per colpire l’avversario. Così l’AI: “potente e soft”, dice Benanti, perché può diventare tanto un utensile che genera bene quanto un’arma che amplifica le disuguaglianze. Per questo ha visto nella partecipazione della città «una speranza contro questa clava così potente e così soft».
La serata si è chiusa con il suo invito: proseguire nel porre domande “scomode e sfidanti”, perché solo uno sguardo vigile dell’umano può trasformare la tecnica, come dice Isaia, da arma a strumento di bene.







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