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8 marzo «per le donne ucraine», ma non si parla di utero in affitto
NEWS 9 Marzo 2022    di Raffaella Frullone

8 marzo «per le donne ucraine», ma non si parla di utero in affitto

E così anche questo 8 marzo è passato, con il suo carico di retorica, finte rivendicazioni, strumentalizzazioni e pseudo battaglie fuori tempo massimo. Il tutto condito da mazzi di mimose ovunque, ma i fiori si sa, sono sempre graditi, anche a noi che questa “festa” resta un po’ indigesta per il troppo zucchero. La variante sul tema, quest’anno, ça va sans dire, era l’Ucraina, e dunque già il giorno precedente il Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti ci aveva tenuto a specificare che questo 8 marzo sarebbe stato per loro, «per le donne ucraine».

E infatti ieri nel suo discorso al Quirinale ha affermato: «L’8 marzo nasce come universo di storie e lo è anche oggi: un popolo di volti e di nomi. […] Oggi, quelli delle nostre sorelle ucraine, così coraggiose, cui voglio dire: noi siamo con voi, al fianco della vostra storia e delle vostre storie. Sono le nostre storie che ci fanno rinascere quando siamo laceri, feriti, persino distrutti. Storie che, ogni giorno a rischio della propria vita, le donne raccontano da giornaliste o soccorrono da volontarie o proteggono al servizio dello Stato. Tutti questi volti, li portiamo nel cuore».

Chissà se tra le donne ucraine a cui il ministro pensa in questo 8 marzo ci sono anche le cosiddette madri surrogate, ovvero quelle migliaia di donne ucraine che ogni anno vengono sfruttate per portare avanti su commissione gravidanze per cittadini stranieri, prevalentemente occidentali, ma non solo, a cui cedono il bambino dietro compenso di denaro.

Sì perché l’Ucraina – in pochi lo stanno ricordando in questi giorni – è un hub internazionale dell’utero in affitto, uno dei pochi Paesi al mondo che consente agli stranieri di stipulare veri e propri contratti per “ottenere” un figlio da una gestante. Ciò significa che persone provenienti da Stati Uniti, Germania o Australia, ma anche dall’Italia, possono semplicemente andare e acquistare un bambino. E se i termini vi sembrano eccessivi beh, basta andare a vedere direttamente come vengono presentati questi “servizi” dalle agenzie per la cosiddetta surrogacy che si trovano prevalentemente a Kiev, la più nota delle quali è la Biotex di cui abbiamo parlato diverse volte. In Ucraina i prezzi sono più convenienti della scintillante California, dove l’operazione “bambino in mano” può arrivare a costare oltre i centocinquantamila euro, le donne ucraine sono pagate molto meno dalle loro “colleghe” californiane e quindi il prezzo scende di molto. Ce la si può cavare con circa quarantamila euro, a seconda del “pacchetto” scelto.

Eccolo un simbolo dell’occidentalizzazione ucraina, piccolo ma significativo. La reificazione dei bambini che diventano merce e lo sfruttamento delle donne ridotte ad apparati riproduttivi per altri. Il tutto per guadagnare qualche migliaia di euro insieme all’illusione – che poi verrà tradita – di una vita migliore. Che ne è di loro in queste ore? Che ne è del “corpo è mio è lo gestisco io” quando tu, il corpo, la donna, vorresti fuggire da un Paese sotto attacco ma un contratto che hai firmato come “surrogata” ti vincola a un altro corpo, quello che porti in grembo, e a restare in un determinato posto? E quando questo posto magari è un bunker anti missile nel quale sei costretta a rifugiarti e quindi ad allontanarti dalla tua famiglia che non si sa quando e se rivedrai. Che ne è di queste donne? E degli embrioni occidentali congelati in attesa di impianto, piccole vite dimenticate, che ne sarà? Nessuno se lo chiede, nemmeno quell’Occidente che pure a parole dice di aver a cuore le donne ucraine.

Anche la Russia, oggi vista come contraltare all’Ucraina, non è stata risparmiata dalla penetrazione di questo business disumano. Anche lì l’utero in affitto è stato legalizzato, per giunta da tempo, nel 1993, con Eltsin, ai tempi del far west delle liberalizzazioni. Businnes is businnes. E oggi a Mosca ci sono agenzie che realizzano la maternità surrogata – seppur con limitazioni – da oltre vent’anni. Perché il mondo non è diviso in blocchi monolitici, il male è trasversale, la realtà è molto più complessa di come ce la presentano. E non esiste l’Impero del bene, non su questa terra, si intende.


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