Alla 53esima “Settimana della Critica” del blasonato Festival cinematografico di Cannes, l’Italia – che d’impeto ha appena ripreso a parlare del disegno di legge Scalfarotto sulla legalizzazione delle unioni omosessuali – è scesa in campo con un filmaccio LGBT, firmato dal regista Sebastiano Riso: Più buio di mezzanotte.
È la storia, ambientata negli anni 1980, di Davide, 14enne catanese effemminato che, dopo l’ennesimo scontro con la famiglia, approda a Villa Bellini, il maggior parco pubblico della sua città Catania, rifugio di un popolo border-line di sbandati che vive costantemente sopra e sotto le righe, oltre ogni regole, fuori dai canoni. Lì imperano gay e trans di ogni tipo, che sbarcano il lunario prostituendosi, qualcuno vivacchiando pure strafatto di droghe. Davide si accasa in quel ghetto volontario, s’innamora di un ragazzo e finisce sfruttato da un altro uomo, adulto, mentre l’insostenibilità di questa vita sballata, doppia e insensata cresce a dismisura.
Ora, la trama è ispirata a fatti veri. La vita, cioè, di Davide Cordova, in arte Fuxia, drag-queen storica del “Muccassassina”, il famoso locale GLBT di Roma dove il ragazzetto rappresentato nel film (il quale oggi ammira Fausto Bertinotti ma s’ispira a José Luis Rodríguez Zapatero) fu scoperto e lanciato dal “direttore artistico” di quel night club a luci rosa, ovvero il trans transitato per Rifondazione Comunista e per L’isola dei famosi, nonché oggi “opinionista” (sic) del Grande Fratello, Wladimiro Guadagno, più famoso/a come Vladimir “Vladi” Luxuria. Davide ne divenne così il “portaborsette”.
Sopra abbiamo definito Più buio di mezzanotte un filmaccio. Non è un giudizio nostro: è il parere professionale di chi ha visto il film a Cannes, n’è rimasto basito, si è sentito deluso pur flirtando con l’“importanza” delle tematiche affrontate. Un’opera di serie B, insomma, che certamente sarebbe stata cestinata se non fosse appunto per l’argomento in oggetto. Del resto, l'ineffabile Concita Di Gregorio, rilanciata con spolvero dal sito cinemagay.it (sì, esiste anche questo), ha twittato il film come «da vedere» salvo poi appioppargli a piè di pagina un bassissimo, 3,5/6, voto enigmatico ma abbastanza per beccarsi un tempo gli esami di riparazione.
Quindi, perché? Perché l’unico film italiano che a Cannes si è sottoposto al vaglio della critica è un film brutto e inutile così? Dubitiamo infatti seriamente di vedere frotte di spettatori che faranno la fila davanti alle sale cinematografiche il sabato sera o la domenica pomeriggio…. Ma ovviamente perché, per brutto e inutile che sia, questo film serve egregiamente «la causa». Sarà per questo che la pellicola nasce da una collaborazione in cui la sua buona parte c’è l’ha messa la televisione di Stato con Rai Cinema, e i denari anche la Regione Sicilia e la Sicilia Film Commission?
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