Il testo che è stato approvato con 780 voti a favore e solo 72 contrari stabilisce che «la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.» E’ l’articolo 34 della carta costituzionale a sancire, secondo i più esigenti, in modo non ancora sufficientemente chiaro, il diritto all’aborto; la scelta della parola “libertà” pare lasci ancora troppo margine di interpretazione. Quanto al segno di questa interpretazione, allo stato attuale, non ci sono dubbi: evviva, l’aborto è salito al rango di (quasi) diritto costituzionale. Altrimenti non si spiegherebbero le luci sfavillanti della Tour Eiffel, la standing ovation del Congresso, la musica in piazza, il maxi schermo, l’esultanza commossa. Commossa, capite?
Non sono cambiati nella sostanza l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza né le sue condizioni; si può abortire entro le 14 settimane (questa la modifica più recente che ha spostato il termine prima fissato a 12 settimane, insieme alla maggiore libertà di ricorso all’aborto farmacologico); è cambiato il modo di considerarli; e la Francia si erge in questo frangente, che insiste a chiamare storico, come capofila di un progresso nel campo dei diritti delle donne da estendere a tutto il mondo. Si perché l’aborto è ancora minacciato e messo in discussione in troppi paesi, c’est pas possible. Al primo piano della Torre, appena sotto il romantico ristorante Madame Brasserie, sono comparse in successione scritte maiuscole precedute dall’hashtag, a sottolineare i principi che sostengono questa indecente conquista.
E sono i soliti slogan, vecchi di almeno 50 anni (non basta twittare per essere evoluti):” mio il corpo, mia la scelta”, “aborto legale”, “ivg in costituzione”, in inglese e in francese. Frasi talmente note da poter godere della funzione “completamento automatico”. Macron ce l’ha fatta, dunque. Lo aveva promesso in più occasioni e questa vittoria ora può appuntarsela al petto. Un petto dove, lo diciamo per mera ipotesi scientifica, dovrebbe battere tuttora quello che pare essere un muscolo cardiaco. Lo stesso che inizia a pulsare in modo impudentemente precoce già nelle prime settimane di quel bizzarro percorso che, fino ad ora, ha portato tutti quelli che sono vivi ad essere vivi.
Non importa, il “diritto” deve essere garantito e bisogna chiamarlo diritto. Questione di lana caprina, la scelta delle parole? Non proprio. Non si può chiamare diritto la soppressione di un essere umano, non può diventare esercizio di libertà la privazione del bene della vita di un’altra persona. E si torna sempre lì. A sguainare se non spade almeno le parole che dicono la verità, unica personalità di spicco esclusa dai festeggiamenti all’insegna della inestirpabile grandeur francese.
A dirle con chiarezza, queste parole, è stata la Chiesa: «La Pontificia Accademia per la Vita ricorda che “nell’era dei diritti umani universali, non ci può essere un diritto di sopprimere una vita umana». Si è posta al fianco dei vescovi francesi che, a ridosso del voto che avrebbe portato il 4 marzo alla nefasta modifica costituzionale, si erano detti profondamente rattristati per il voto dei senatori francesi favorevoli all’aborto in Costituzione, e avevano ricordato come «l’aborto, che rimane un attacco alla vita all’inizio, non può essere visto solo dal punto di vista dei diritti delle donne.» Perché, secondo un copione che ormai conosciamo a memoria, è questo l’argomento principe con il quale si vuole sopprimere ogni serio dibattito: il dolore della donna nel dramma di una gravidanza non desiderata.
La Chiesa, invece, insieme a tutti coloro che riconoscono nella vita della persona un bene intoccabile, sa quanto può essere drammatico e faticoso accogliere un figlio, conosce in quali condizioni molte madri finiscono per trovarsi e sa che non è privandole del figlio, per loro stessa mano e intenzione, che saranno davvero aiutate. Non è contro le madri, la difesa del figlio. È esattamente il contrario. È anche per loro, e per i padri, disertori o esclusi a forza, che il figlio va difeso. Che la gravidanza va sostenuta, accompagnata, protetta. Una volta iniziata a imporsi ci pensa da sé, è un processo biologico con una evoluzione inscritta in sé stessa e interromperlo significa interrompere la vita di una persona e ferirne a morte almeno un’altra. Stima al ribasso, peraltro: ad essere feriti e menomati siamo in realtà tutti, privati di milioni di potenziali fratelli, azzoppati esattamente nella corsa al progresso e al benessere che quei diritti infondati dicono di voler promuovere.
L’appoggio della PAV promuove un movimento diametralmente opposto a quello del progressismo feroce di cui la Francia sventola con fiera incoscienza il vessillo e chiede a tutti gli uomini di lavorare a una difesa senza cedimenti della vita umana, in ogni sua fase e condizione. Per questo invita «tutti i governi e tutte le tradizioni religiose a fare tutto il possibile affinché, in questa fase della storia, la protezione della vita diventi una priorità assoluta, con misure concrete a favore della pace e della giustizia sociale». Afferma che le situazioni particolari o i contesti drammatici devono «essere trattati sulla base di un diritto che mira a proteggere prima di tutto i più deboli e vulnerabili. (…) la protezione della vita umana è il primo obiettivo dell’umanità», un obiettivo che sarà raggiunto solo «se la scienza, la tecnologia e l’industria sono al servizio della persona umana e della fraternità.»
(Fonte foto: Ansa)
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl