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Aborto forzato su disabile, i vescovi inglesi: «Viola i diritti umani»
NEWS 25 Giugno 2019    di Raffaella Frullone

Aborto forzato su disabile, i vescovi inglesi: «Viola i diritti umani»

I vescovi inglesi battono un colpo. Che, di questi tempi, è già qualcosa. Sicuramente meglio del silenzio – che ancora pesa come un macigno – di fronte agli omicidi di Stato dei piccoli Charlie Gard e Alfie Evans o peggio ancora della difesa del servizio sanitario inglese. Anche in questo caso siamo di fronte a un sistema che vuole eliminare un innocente, anche in questo caso in nome di un presunto “best interest”, anche in questo caso contro la volontà dei diretti interessati e dei loro congiunti più stretti.

Il caso, che in Italia non ha praticamente trovato spazio sui grandi media, è stato sollevato dalla Catholic News Agency qualche giorno fa e riguarda una donna in gravidanza alla ventiduesima settimana, per la quale i medici inglesi hanno chiesto l’aborto forzato per via di una “disabilità moderata” di cui soffrirebbe la donna. Il condizionale è d’obbligo perché molti aspetti della vicenda restano poco chiari, ma dalle poche notizie certe si sa che la ragazza, di origine nigeriana, si trova sotto la custodia di un trust, ovvero un’unità organizzativa del National Health Service, il servizio sanitario britannico.

Secondo questo trust, a causa delle sue fragilità mentali, «l’aborto sarebbe meno traumatico per la donna rispetto al parto, soprattutto se il bambino venisse poi posto in affidamento». A questa decisione si è fermamente opposta la mamma della ragazza, che ha fatto presente che si prenderà personalmente cura del nipotino, così come della figlia disabile, ma anche l’assistente sociale che segue la ragazza non concorda con l’aborto forzato.

Ecco che allora i medici, di nuovo in nome di un supposto “miglior interesse”, si sono rivolti a un giudice, e ancora una volta un giudice ha deciso per la morte. Questa volta la sentenza arriva da una donna, il giudice Nathalie Lieven, che motivando la sua decisione ha detto: «Sono profondamente consapevole che il fatto che lo Stato ordini a una donna di avere un aborto, dove sembra che lei non voglia, è un’immensa intrusione ma devo operare nel suo miglior interesse, non secondo le opinioni della società sul tema dell’aborto». Parole contro cui si è espressa la Corte d’Appello di Londra che ha ribaltato la sentenza accogliendo il ricorso della madre della ragazza, con motivazioni che verranno rese note nei prossimi giorni.

Intanto però, registriamo il duro monito dei vescovi dell’Inghilterra e del Galles, tramite un comunicato stampa firmato dal vescovo John Sherrington, ausiliare di Westminster, in cui si legge: «Ogni aborto è una tragedia. Questa tragedia è aggravata nel caso della recente decisione legale della Corte di stabilire che una madre, che ha 20 anni e ha una disabilità di apprendimento “moderatamente grave” e che desidera mantenere il figlio a 22 settimane, deve avere un aborto. La nascita naturale del suo bambino è sostenuta da sua madre – che ha detto che si prenderà cura del bambino – dal suo assistente sociale e dal suo team legale. Costringere una donna ad abortire contro la sua volontà, e quella della sua stretta famiglia, viola i suoi diritti umani, per non parlare del diritto del suo bambino non nato alla vita in una famiglia che si è impegnata a prendersi cura di questo bambino. In una società come la nostra c’è un equilibrio delicato tra i diritti dell’individuo e i poteri dello Stato. Questa è una decisione triste e dolorosa per tutta la famiglia che teniamo nelle nostre preghiere. Questo caso, per il quale tutte le informazioni non sono disponibili, solleva seri interrogativi sul significato di “miglior interesse” quando un paziente manca di capacità mentale ed è soggetto alla decisione della corte contro la sua volontà».

Saranno in grado i vescovi inglesi di alzarsi in piedi e difendere questa vita se i medici andranno fino in fondo facendo un nuovo ricorso?


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