Pippo Corigliano è morto improvvisamente nella sera di sabato 8 giugno a Roma a 82 anni appena compiuti. L’ingegnere napoletano fu per quarant’anni il “volto” dell’Opus Dei in Italia come portavoce. Giornalista, scrittore, fedele dell’Opus Dei, ma soprattutto amico di san Josemaría. Il funerale ha avuto luogo oggi a Roma nella Basilica di Sant’Eugenio, le esequie sono state celebrate dal prelato dell’Opus Dei, monsignor Fernando Ocáriz. Pubblichiamo di seguito un suo articolo scritto per Il Timone nel dicembre 2020 sull’importanze del lavoro come via per la santificazione nelle strade del mondo, al cuore del messaggio del suo amico san Josemaria. Un suo libro si intitola “Cartoline dal Paradiso”, confidiamo che ora sia nella condizione migliore per continuare a mandarle. (La Redazione)
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Ho aderito all’Opus Dei quando avevo 18 anni nel 1960. Sono passati la bellezza di sessant’anni e ancora rimango meravigliato considerando la ricchezza del messaggio del Fondatore, San Josemaría. Uno spirito laicale e allo stesso tempo contemplativo, una visione positiva del mondo perché creato da Dio anche se connotato dal peccato originale. In questa prospettiva le condizioni di vita di una persona normale, che non ha avuto una vocazione specifica allo stato religioso o clericale, ma che vive nelle condizioni abituali di vita, trova nelle circostanze in cui vive delle vere e proprie chiamate alla santità. Una di queste è il lavoro professionale che, con tutto il fascino e le complicazioni relative, costituisce, assieme alla famiglia, l’asse portante della vita.
Già prima di chiedere l’ammissione all’Opera ero rimasto colpito dall’ambiente dei giovani dell’Opus Dei: erano allegri, interessanti e studiavano bene. Si stava bene con loro; erano gli amici come sempre avevo desiderato avere.
Più avanti negli anni mi è capitato spesso di dover spiegare come il lavoro professionale possa essere una via di santità. Spesso, quasi scherzando, mi dicevano: e se uno è disoccupato? E se uno si deve riposare? Tutte obiezioni a cui si rispondeva facilmente. Ma riferisco intanto dalla viva voce del Fondatore cosa intendeva per santificazione del lavoro. Una volta, nel 1972 a Barcellona, durante una riunione che si era dovuta tenere in una grande palestra, tanta era la gente che voleva vederlo, un professore universitario gli chiese (trascrivo letteralmente):
“Come professore universitario con un lavoro intellettuale intenso, quasi sempre, come si può coordinare questo lavoro intellettuale profondo che assorbe tanto, con una presenza di Dio continua?”
E il Padre risponde: “Sono molto contento di risponderti che se tu fai il tuo lavoro con molto amore stai davvero servendo il Signore dandogli gloria, altrimenti sarà migliore di te l’ultimo lavoratore che lavora con le mani e impiega poco l’intelligenza… Desidero pertanto che tu, prima di cominciare, offra il tuo lavoro e, quando ti distrai, che ti distrarrai per qualche motivo, torni a offrire il tuo lavoro e, quando termini, un’altra offerta per la gloria del Signore, e hai compiuto il tuo dovere di cristiano. Hai compiuto il tuo dovere di cristiano se dai il buon esempio ai tuoi allievi, se ti vedono allegro, se ti vedono che fai il tuo dovere (loro si rendono conto di tutto eh!), se sanno che ti comporti bene con tua moglie, che cresci – “cresci” ho detto, come gli andalusi che “crescono” il vino – cresci i tuoi figli nell’amore di Dio, e allora sarai un professore universitario di gran classe”.
La risposta segue una linea prevedibile di fede: l’offerta amorevole del lavoro a Dio, ma ci sono alcune sfumature che danno il sapore di uno spirito cristiano laico. Prima cosa: poca presunzione. Un modesto lavoratore manuale sarà migliore di te se mette più amor di Dio nel lavoro. Poi compiere il proprio lavoro in modo esemplare, essere allegro. “Che ti comporti bene con tua moglie”. Sembra che c’entri poco col mestiere di professore e invece no: è la testimonianza di tutta la persona che conta.
Sono queste condizioni “al contorno” che definiscono lo stile di Escrivá.
A questo punto resta la domanda: il riposo, il divertimento, lo sport, le vacanze e così via, che posto occupano in questo quadro? Occupano il posto definito dalla loro natura. In Cammino San Josemaría aveva scritto (357): “Chi si impegna a lavorare per Cristo non deve avere un solo momento libero, perché il riposo non è non far niente: è distrarsi con delle attività che esigono meno sforzo.” Ho assistito personalmente a come San Josemaría viveva le proprie vacanze. Quell’anno, era il 1972, avevamo preso in affitto una casetta sopra Civenna, lago di Como. A turno gli portavamo la posta e lui continuava a lavorare, ma a un ritmo più disteso, assieme al beato Alvaro del Portillo. Ogni tanto faceva una passeggiata o giocava a bocce con gli altri. Una volta disse: “questo tiro mi è andato bene ma non vale, perché ho chiesto aiuto all’Angelo Custode”. (Foto Imagoeconomica)
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