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La grande maggioranza degli italiani è contro il gender (non solo a scuola)
NEWS 22 Settembre 2022    di Federica Di Vito

La grande maggioranza degli italiani è contro il gender (non solo a scuola)

Gli italiano vogliono più libertà nel campo educativo. A dimostrarlo è un sondaggio nazionale promosso da Pro Vita e famiglia condotto da Noto Sondaggi e presentato ieri al Senato presso la Sala Caduti di Nassirya nel corso della conferenza stampa “Scuola, Gender, Carriera Alias… Parola alle famiglie”. Sembrerebbe che non siano poche le famiglie che pensano di avere «il diritto di poter insegnare ai propri figli i principi culturali antropologici», commenta al telefono con Il Timone questa mattina Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita.

Dal sondaggio emerge che il 92% degli italiani ha sentito parlare di teorie gender, l’81% “sa molto bene” in cosa consistono e di questi, solo il 32% concorda con queste teorie, mentre il 48% è contrario. Solo il 20% non si esprime. Il 50% degli intervistati ritiene che non esistano infinite identità sessuali oltre a quella maschile e femminile, il 60% che un uomo che si percepisce donna non possa competere negli sport femminili. Il dato più schiacciante è in ambito educativo: ben il 79% degli italiani difende il diritto dei genitori di scegliere come educare i figli su temi di sessualità e affettività el’81% ritiene che le scuole debbano preventivamente informare le famiglie in caso di corsi o lezioni in quest’ambito. Il 58% è contrario all’uso dei termini “genitore 1” e “genitore 2”.

«Ciò che noi affermiamo da anni è emerso fortemente da questo sondaggio», prosegue Coghe, «c’è una certa politica che vorrebbe che la scuola desse la linea culturale politica sociologica ai bambini. Noi sosteniamo che la scuola dovrebbe invece istruire, dare gli strumenti per pensare». Appare evidente che la scuola sia diventato un campo minato per quella che papa Francesco definisce “colonizzazione ideologica” e le recenti proposte di obbligatorietà sin dalla materna non fanno che confermare velatamente questo fenomeno.

Dal sondaggio emerge anche che c’è una minor consapevolezza rispetto alla “carriera alias”, ovvero la modalità di comunicazione che sceglie la scuola verso gli studenti o le studentesse che esprimono una identità di genere diversa dal proprio sesso biologico. Il 16% sa di che cosa si tratta. Il 44% di questi è contrario e il 37% a favore. A mettere all’erta tutti però, sembra essere la possibilità che un ragazzo possa essere dirottato verso la transizione di genere senza il permesso dei genitori, il 75% degli intervistati infatti ritiene che il minore debba ricevere assistenza psicologica prima di decidere di cambiare sesso.

«Gli italiani pensano che bisognerebbe aiutare i ragazzi a riconciliarsi con il proprio sesso biologico e non spingerli a sottoporsi a trattamenti che sono poi irreversibili», commenta Coghe. Ciò che prima poteva essere un normale disagio adolescenziale oggi viene subito bollato come “disforia di genere”, «capita che un adolescente passi una fase di incertezza, di disagio con il proprio corpo, ma ciò non significa che noi adulti dobbiamo spingerlo alla terapia ormonale».

A confermare quanto detto, Jacopo Coghe fa riferimento a un’inchiesta uscita ieri del giornalista americano Matt Walsh che svela il vero obiettivo delle cliniche e degli ospedali per la transizione di genere: «Sono vere e proprie macchine di denaro». Il giornalista ha infatti pubblicato ieri video relativi a una conferenza della dottoressa Shayne Taylor, medico esperto nella “cura” di pazienti Lgbt, che nel 2018 ha fondato una “gender clinic”, un reparto presso il Vanderbilt University Hospital in cui si recano persone di tutte le età che intendono cambiare sesso.

La Taylor stessa ha rivelato che una donna che intenda sottoporsi a una doppia mastectomia può pagare fino a 40.000 dollari, una vaginoplastica può costare anche 20.000 dollari, e anche le cure ormonali portano all’ospedale diverse migliaia di dollari. E il fatto che si parli dell’altra parte dell’oceano non può farci sentire più sicuri in Italia, perché, come ci racconta Coghe, «la carriera alias è il primo passo transizione sociale. Si cerca di normalizzare la transizione fisica dei ragazzi».

«La politica e il prossimo governo devono tener conto di tutto questo, soprattutto se andrà al governo il centro destra che ha anche sottoscritto la nostra carta dei principi. Ci aspettiamo delle misure concrete per tutelare e rafforzare il diritto alla priorità dei genitori sull’educazione», conclude Coghe, «che valorizzino il consenso informato preventivo. L’unico strumento che hanno i genitori per arginare questo fenomeno». Anche se quest’unico strumento «è appeso a un filo, la circolare del ministro Bussetti del 2018, che la politica dovrebbe avere il coraggio di trasformare in legge».

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