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Aiuti occidentali e cultura gay, il cardinale Pengo: «Meglio morire di fame»
NEWS 15 Dicembre 2018    di Ermes Dovico

Aiuti occidentali e cultura gay, il cardinale Pengo: «Meglio morire di fame»

Sia dal clero che dai laici africani stanno provenendo in questi giorni chiari messaggi contro i tentativi di colonizzazione ideologica messi in atto da quei governi e quelle organizzazioni occidentali che veicolano una cultura contraria alla morale naturale, facendo leva sugli aiuti economici. In una recente omelia il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam, ha chiesto al governo della Tanzania di non accettare aiuti dall’Occidente se questi sono subordinati alla normalizzazione dell’omosessualità. Il porporato ha fatto presente che ci sono minacce dai Paesi sviluppati consistenti nel fatto che «smetteranno di sostenerci se siamo contrari all’omosessualità. È meglio morire di fame che ricevere aiuti ed essere costretti a fare cose che sono contrarie alla volontà di Dio».

Il cardinale ha poi ricordato che «il peccato di omosessualità è stato la causa della distruzione di Sodoma e Gomorra» (Gn 18-19) e «queste cose sono contrarie al piano di Dio nella Creazione e non dovrebbero essere accettate affatto». L’arcivescovo di Dar-es-Salaam ha quindi ringraziato il governo per la sua posizione sul tema e sottolineato che i tanzaniani dovrebbero dire no alla cultura gay che si sta diffondendo nel continente africano. Il cardinale Pengo è il secondo vescovo della Tanzania a condannare pubblicamente gli atti omosessuali dopo l’ammonimento fatto dal compianto vescovo di Mbeya, Evaristo Chengula (1 gennaio 1941 – 21 novembre 2018), che diversi giorni prima di morire si era appellato al governo in modo simile. Di recente il ministro degli interni Kangi Lugola ha affermato che ogni essere umano, in quanto creato a immagine di Dio, dovrebbe rifiutare ed evitare la pratica omosessuale perché contraria alla natura umana.

I GOVERNI AFRICANI CHE RESISTONO ALL’IMPORTAZIONE DELL’ABORTO

Altri messaggi importanti giungono dall’ambito della difesa della vita fin dal concepimento. A novembre il Kenya ha intimato alla Marie Stopes International, una multinazionale abortista attiva in 37 Paesi, di cessare immediatamente ogni pratica abortiva su tutto il territorio nazionale e fornire per 60 giorni un elenco dettagliato delle sue attività. In Kenya l’aborto è legale in caso di pericolo di vita per la madre e non è consentito fare pubblicità per far avanzare la soppressione dei bambini in grembo, ma la Marie Stopes calpesta continuamente questi divieti.

La misura contro la multinazionale è stata presa in conseguenza di una denuncia presentata da Citizen Go e dalla sua attivista Ann Kioko. La Kioko aveva telefonato a una clinica della Marie Stopes fingendo di essere incinta: dall’altro capo del telefono le avevano proposto subito l’aborto e chiesto 48 dollari, pari allo stipendio mensile di un lavoratore non qualificato, «cercando di convincermi ad abortire», senza nemmeno offrirle alcuna alternativa sul proseguimento in sicurezza della gravidanza. Ne è seguita un’indagine delle autorità locali davanti a cui il presidente della Marie Stopes in Kenya, Hezron McObewa, incalzato dalle domande, ha ammesso che la multinazionale per cui lavora pratica aborti sulle minorenni senza nemmeno chiedere il consenso dei genitori, cosa che di per sé non giustificherebbe comunque un delitto. «Ci basta il consenso della giovane», ha detto il manager, a cui i membri della commissione inquirente hanno replicato: «Non ha mai pensato che esistono delle leggi in Kenya?».

Poco dopo l’esempio del Kenya, il Niger ha ordinato la chiusura di due strutture della Marie Stopes. Chi parteggia per la cultura della morte non sta però rimanendo a guardare: il Center for reproductive rights, specializzato nel promuovere cause giudiziarie in tutto il mondo contro ogni restrizione all’aborto, ha infatti già presentato una denuncia contro la commissione medica keniana che ha intimato alla Marie Stopes di fermare le sue attività illegali. Inoltre, poco prima del divieto keniano, durante una conferenza internazionale tenutasi in Ruanda, erano stati annunciati fondi per 350 milioni di dollari in favore della pianificazione familiare (fondata principalmente su contraccettivi e aborti) nei Paesi dell’Africa centrale e occidentale, di cui circa 260 milioni di dollari (200 milioni di sterline) stanziati dal solo Regno Unito, la nazione dov’è sorta la Marie Stopes, che nell’occasione si era rallegrata di essere la principale destinataria di questi finanziamenti.

LA DENUNCIA DI LORD ALTON

Alla luce di questi fatti lord David Alton, uno dei pochi politici britannici a levare la sua voce a difesa dei nascituri, ha chiesto al governo inglese di investigare su come vengono usati i soldi dei cittadini di Sua Maestà in Kenya: «Gli investimenti in servizi di qualità per la salute materna dovrebbero avere la priorità al posto dell’intensa imposizione dell’aborto e del controllo della popolazione. Come hanno detto gli stessi africani, milioni di sterline del Regno Unito destinati ai fornitori di aborto in Africa equivalgono a una sorta di colonizzazione occidentale del popolo africano». Vi lasciamo con un breve video pubblicato nei giorni scorsi da una delle voci più interessanti di quest’Africa che resiste all’importazione della cultura mondialista, ossia la nigeriana pro vita Obianuju Ekeocha.


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