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Ancora su Vendola e il battesimo show del piccolo Tobia. Cosa avrebbe dovuto fare il parroco
NEWS 13 Ottobre 2016    

Ancora su Vendola e il battesimo show del piccolo Tobia. Cosa avrebbe dovuto fare il parroco

di Giovanni Marcotullio

 

Visto che più di qualcuno mi ha chiesto cosa pensi io della vicenda “battesimo-del-figlio-dell’amico-di-Vendola-comprato-in-America”, e sorvolando sulla questione preliminare del perché-a-qualcuno-importi-quello-che-penso-io, provo a dare qui una risposta.

Questione preliminare è quella canonica, non perché il diritto sia tutto (anzi), ma perché senza quei riferimenti non sappiamo di che stiamo parlando, come si dà in effetti il caso per molti che pure prendono la parola in materia. L’assioma pare essere “il battesimo non si può negare”. È un dogma che si impone anche nelle facoltà teologiche, e con una qualche ragione di fondo: se non si dicesse così, il seminarista sempliciotto e disattento, diventato prete, comincerebbe ad atteggiarsi a «giudice in terra del bene e del male», dando il via a una serie di complicazioni che tutti preferiamo evitare.

Ma veniamo al Can. 843 – §1: I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano ben disposti e non ne abbiano dal diritto la proibizione di riceverli.

Il “non possono” è dunque molto ben circostanziato e condizionato. A cosa si riferisca il canone con quelle tre condizioni (ma soprattutto con le prime due: la terza è fin troppo ovvia) lo aveva spiegato tre anni prima una Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (una volta tanto, non c’entra Ratzinger: porta la firma di Šeper, e del resto era ancora il 1980). L’istruzione si chiama “Pastoralis actio” e ne riporto di seguito due numeri (30 e 31):

«30. Potrebbe capitare che si rivolgano ai parroci dei genitori poco credenti e praticanti solo occasionalmente, o anche non cristiani, i quali per motivi degni di considerazione chiedono il battesimo per il loro bambino. In questo caso si cercherà, con un colloquio perspicace e pieno di comprensione, di suscitare il loro interesse per il sacramento che chiedono e di richiamarli alla responsabilità che si assumono. La Chiesa, infatti, non può venire incontro al desiderio di questi genitori, se essi non danno la garanzia che, una volta battezzato, il bambino riceverà l’educazione cattolica richiesta dal sacramento; essa deve avere la fondata speranza che il battesimo porterà i suoi frutti (40). Se le garanzie offerte — ad esempio la scelta di padrini e madrine che si prenderanno seria cura del bambino, o l’aiuto della comunità dei fedeli — sono sufficienti, il sacerdote non potrà rifiutarsi di amministrare senza indugio il battesimo, come nel caso dei bambini di famiglie cristiane. Ma se le garanzie sono insufficienti, sarà prudente differire il battesimo; tuttavia i parroci dovranno mantenersi in contatto con i genitori, in modo da ottenere da essi, per quanto è possibile, le condizioni richieste da parte loro per la celebrazione del sacramento. Se poi non fosse possibile neppure questa soluzione, si potrebbe proporre, come ultimo tentativo, l’iscrizione del bambino in vista di un catecumenato, all’epoca della scolarità.

31. Le presenti norme, già promulgate ed entrate in vigore (41), richiedono alcuni chiarimenti. Deve essere chiaro, anzitutto, che il rifiuto del battesimo, non è una forma di pressione. Del resto non si deve parlare di rifiuto, né tanto meno di discriminazione, ma di un rinvio di natura pedagogica, che tende, secondo i casi, a far progredire la famiglia nella fede o a renderla più cosciente delle proprie responsabilità. Quanto alle garanzie, si deve ritenere che ogni assicurazione che offra una fondata speranza circa l’educazione cristiana dei bambini merita di essere giudicata sufficiente. L’eventuale iscrizione in vista di un futuro catecumenato non deve essere accompagnata da un apposito rito, che potrebbe essere considerato come l’equivalente del sacramento stesso. Deve essere chiaro, inoltre, che tale iscrizione non è veramente un ingresso nel catecumenato e che i bambini così iscritti non sono da considerarsi catecumeni con tutte le prerogative proprie di quello stato. Essi dovranno essere presentati, in seguito, ad un catecumenato adeguato alla loro età. A questo proposito, si deve precisare che l’esistenza di un Rituale per i bambini giunti all’età della catechesi, nell’Ordo initiationis christianae adultorum (42), non significa affatto che la Chiesa preferisca o consideri come normale il rinvio del battesimo a quella età. Infine, in quelle regioni in cui le famiglie poco credenti o non cristiane costituiscono la maggioranza della popolazione, al punto da giustificare da parte delle Conferenze Episcopali l’introduzione di una pastorale d’insieme che prevede un intervallo più lungo di quello stabilito dalla legge generale prima della celebrazione del battesimo (43), le famiglie cristiane che vi dimorano conservano integro il loro diritto di far battezzare prima i loro bambini. In questo caso si amministrerà, dunque, il battesimo, come desidera la Chiesa e come meritano la fede e la generosità di quelle famiglie».

Questa è la dottrina cattolica, la sana e prudente prassi della Chiesa che niente di buono vuole negare a qualcuno e ogni scandalo vuole risparmiare a tutti. Il resto sono chiacchiere da bar, buone ultime quelle di Moia martedì su Avvenire, perché – e qui si giunge sul piano teologico-sacramentale – i sacramenti non sono biglietti che dànno accesso al Paradiso, sono strumenti che appesantiscono la colpa se non vengono usati adeguatamente: non siamo protestanti e sappiamo che il sacramento vale ex opere operato, ma se con ciò vogliamo affermare che solo per questo non necessitino di fede non siamo neanche cattolici – stiamo vagheggiando di magia. Qualcuno obietterà: «Tanto se trovi un prete che ti fa questo discorso basta bussare ad altre porte fino a trovarne uno accomodante». Vero, ma dipende sempre da quello che stai cercando: se vai dal prete eretico il battesimo vale lo stesso, ma se chiedi il battesimo per ciò che è e che significa, sarà meglio ottenerlo con tutti i crismi, o sarà più “giudizio di condanna” che “rimedio e difesa dell’anima e del corpo”.

E qui arriviamo al punto: «Che cercate?» In estrema sintesi, se io fossi stato il prete a cui si fossero rivolti i due ladri di bambini, di primo acchito non avrei visto alcuna condizione per l’amministrazione del battesimo; ma se alla fine i due mi avessero convinto, avrei almeno posto come condizione (sine qua non!) dell’azione liturgica la massima discrezione mediatica. È cosa pienamente fattibile: non hanno problemi a criptare e secretare tutto quando si tratta di soldi, non vedo perché sia impossibile battezzare un bambino senza che tutta Italia venga a saperlo. Abbiamo forse saputo che ha mangiato ieri sera, Tobia? Se suo padre e il di lui complice nel sottrarlo alla madre non sono disposti a questo, non ho il minimo appunto per credere alla loro buona fede. E a quel punto sono costretto a pensare che il prete e il vescovo siano due coglioni (ah, su queste cose è comunque meglio essere coglioni che in malafede).

La malafede, invece, la vedo cubitale nella filigrana di certi corsivi di certi quotidiani cattolici, in cui spira forte la cortigianeria, quell’attitudine a non scontentare il potente anche (e soprattutto!) quando non si capisce bene che cosa voglia di preciso, il potente. Di loro scrisse il poeta dicendo il suo “Addio” «a chi […] sceglie a caso, / nell’inclinamento del momento, / curando però sempre di riempirsi la pancia». Allora si fiuta l’ultima frase comprensibile che gira per l’aria e si imbastiscono esercizî di retorica, appunti dialettici, sponde e attacchi, finalizzati a nient’altro che a dare prova al padrone di essere segugî affidabili. E me ne scusino i segugî, i quali davvero tengono molto più alle carezze del padrone che alla pancia piena.

Questo è quello che penso, se a qualcuno interessa. Non credo sia una posizione immisericordiosa, e se forse è ruvida non lo è meno giustamente del giudizio di Salomone. Rimando invece nettamente al mittente, cioè al corsivo di Luciano Moia, l’accusa di essere “fuori bersaglio” quando sostengo questa tesi: fuori bersaglio è piuttosto la sua tiratina d’incenso, perché qui si parla di utero in affitto e lui ciancia di omosessualità (si porta meglio in società, vero, ma non c’entra lo stesso). In ultima analisi, il rilievo mediatico che la celebrazione ha avuto – e di certo io non c’ero, in quella chiesa – desta vivo il sospetto che il lavacro lustrale sia stato voluto e ottenuto dai due signori di cui sopra più per loro stessi, e per sfregiare l’ambiguità e l’imbecillità di certi contesti ecclesiali, che per il povero innocente di cui hanno fatto spettacolo. «Accedit verbum ad elementum – diceva sant’Ambrogio – et fit sacramentum». Se fosse bastato l’opus operatum anche le mani di Pilato sarebbero risultate pulite.