«Il Santo Padre Francesco ha ringraziato l’Eminentissimo Signor Card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., a conclusione del mandato di Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede e di Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, e ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Víctor Manuel Fernández, finora Arcivescovo di La Plata (Argentina). Prenderà possesso degli incarichi a metà settembre 2023», così la Sala stampa vaticana ha annunciato chi assumerà la nuova direzione del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Partiamo dal principio. Il pontificato di papa Francesco aveva già visto l’ampia partecipazione di Víctor Manuel Fernández, amico e “teologo” – qualcuno dice anche ghostwriter del Papa. Già rettore dell’Università cattolica di Buenos Aires, il 13 maggio 2013 era stato nominato arcivescovo dal Pontefice; ha partecipato come membro ai Sinodi dei Vescovi del 2014 e del 2015 sulla famiglia; nell’Assemblea della Conferenza Episcopale Argentina del 2017 è stato eletto Presidente della Commissione Episcopale per la Fede e la Cultura (Commissione Dottrinale) e dal giugno 2018 ha assunto la carica di Arcivescovo di La Plata.
È stato membro del Pontificio Consiglio della Cultura e Consultore della Congregazione per l’Educazione Cattolica e attualmente è membro del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. E sembra che dietro alla scrittura dell’iconica (e discussa) esortazione apostolica Amoris laetitia, dell’enciclica Laudato sii’ e dei documenti per il sinodo straordinario sull’Amazzonia, ci sia stata la sua penna. Come nel documento “programmatico” del pontificato di Francesco, l’esortazione Evangelii gaudium scritta e pubblicata nel 2013, poco dopo l’elezione del cardinale Bergoglio sulla Cattedra di Pietro.
Non si può definire una nomina di continuità, bensì di assoluta novità. È stato lo stesso papa Francesco, nella lettera di incarico indirizzata a Fernández, a dire di aspettarsi dal neo eletto «qualcosa di molto diverso», facendo riferimento ai «metodi immorali» utilizzati nel passato dal Dipartimento, «tempi in cui più che promuovere la conoscenza teologica, si perseguitavano eventuali errori dottrinali».
Ora, è evidente che con questo «molto diverso» si vada a marcare una linea netta con il passato, anche con i tempi in cui prefetto dell’ex Sant’Ufficio era l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Purtroppo lo lascia pensare anche il fatto che i «tempi del passato» in cui vi sarebbero stati «metodi immorali» sono rimasti indefiniti nella lettera del Papa a monsignor Fernandez. Eppure, in questa occasione, possiamo far nostre le parole che nel 1988 l’allora papa Giovanni Paolo II rivolse con una certa preoccupazione al Prefetto della dottrina Ratzinger, segnalando come accanto al «“novum” costituito dal Vaticano II [che deve penetrare, ndR] in modo giusto nella coscienza e nella vita delle singole comunità del Popolo di Dio» si facciano largo alcune tendenze «che sulla via della realizzazione del Concilio creano una certa difficoltà. Una di queste tendenze è caratterizzata dal desiderio di cambiamenti che non sempre sono in sintonia con l’insegnamento e con lo spirito del Vaticano II, anche se cercano di fare riferimento al Concilio. Questi cambiamenti vorrebbero esprimere un progresso, e perciò questa tendenza è designata con il nome di “progressismo”».
Il pericolo di aspirare a un futuro che rompa con il passato senza tenere conto della Tradizione, fondamentale per la missione della Chiesa – e che si perda per strada la Verità trasmessa da Cristo – è oggi dietro l’angolo. È lecito chiedersi infatti se il neo eletto Fernández sarà in grado di promuovere e spiegare il depositum fidei della Chiesa proteggendolo dall’insinuarsi di errori ed eresie. Le aperture che l’arcivescovo Fernández ha mostrato in più occasioni per la comunione ai divorziati risposati, alla benedizione delle coppie omosessuali, al diaconato femminile e al superamento del celibato sacerdotale, sembrano suggerire che il suo sarà un mandato di grandi cambiamenti possibili (e altrettanti scossoni sulla barca di Pietro).
«Il compito principale del Dicastero», gli ricorda Francesco, «è quello di custodire la fede. Il che significa accrescere l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione, affinché la sua luce sia un criterio per comprendere il senso dell’esistenza, soprattutto di fronte agli interrogativi sollevati dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società». Nella conclusione della sua lettera ci tiene poi a sottolineare che «la Chiesa ha bisogno di crescere nella sua interpretazione della Parola rivelata e nella sua comprensione della verità», ma che ciò non «implica l’imposizione di un unico modo di esprimerla. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se armonizzate dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, e sarà questa crescita armoniosa a preservare la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo».
Questa visione ha trovato pronto riscontro in alcune parole del nuovo prefetto, pronunciate lo scorso 5 marzo in un’omelia a La Plata, con le quali afferma che per molti secoli la Chiesa «ha sviluppato un’intera filosofia e morale piena di classificazioni, per classificare le persone, per mettere loro delle etichette. Questo è… Questo è così, questo è cosà. Questo può ricevere la comunione, questo non può riceverla. Questo può essere perdonato, questo no. È terribile che questo sia accaduto a noi nella Chiesa. Grazie a Dio, papa Francesco ci sta aiutando a liberarci da questi schemi».
Ci poniamo oggi nell’incertezza riguardo a ciò di cui la Chiesa abbia realmente bisogno di essere liberata, nella speranza che essa è fondata e sorretta da Cristo, ma nella triste constatazione che il già ex Sant’Uffizio sia ormai, definitivamente, da salutare. (Fonte foto: Facebook)
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