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È azzurra la strada del football che porta in Paradiso
NEWS 8 Luglio 2021    di Valerio Pece

È azzurra la strada del football che porta in Paradiso

Bandiere, cortei, strade piene, gioia incontenibile. Dopo la vittoria degli Azzurri sulla Spagna nella semifinale dell’Europeo è esplosa in tutt’Italia una festa travolgente. Finalmente, dopo che la politica aveva invaso il campo col malcelato obbligo di far inginocchiare i giocatori per omaggiare Black Lives Matter, il gruppo politico estremista «secondo cui se sei bianco, maschio e occidentale sei colpevole» – così Antonio Socci su Libero -, il calcio si è preso la sua rivincita. Inoppugnabile, logica, plateale.

Calcio e geopolitica

Non poteva non essere così se è vero che, da sempre, il fattore calcio è capace di travolgere tutto, anche la geopolitica. Lo spiega bene il documentatissimo Geografia del calcio. I fenomeni geografici connessi al footbal (Ed. Dedalo Roma), saggio di Andrea Curti che porta all’attenzione dati, fattori, numeri che senza la realpolitik provocata unicamente dal fenomeno calcio suonerebbero quantomeno strani. Abbiamo mai notato che le nazionali e i club di Israele e Turchia sono collocate sempre nei gironi riservati alle compagini europee? E che all’Australia, considerata “troppo forte” rispetto alle altre nazionali d’Oceania, sono riservati sempre i gironi asiatici? O ancora alla possibilità data a Scozia, Galles e Irlanda del Nord di schierare proprie nazionali, benché non siano Stati indipendenti? C’è un ordine di grandezza in grado di chiarire ulteriormente il discorso: FIFA batte ONU 207 a 191. Tanti sono, rispettivamente, gli stati membri del governo del calcio mondiale e quelli appartenenti delle Nazioni Unite.

«Il capocannoniere è il miglior poeta»

Se il calcio, che deve imparare a tenersi lontano dalla politica, come visto è capace di travolgere anche la geopolitica, bisogna arrendersi all’idea che questo, nella sua essenza più intima e vera, sia arte, poesia. Sul gol segnato alla Spagna dal “poeta” Federico Chiesa, come anche su quello al Belgio del napoletano Lorenzo Insigne, Pasolini avrebbe ripetuto queste sue parole: «Ogni goal è sempre un’invenzione, una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno».

«Elemento primordiale dell’umanità»

Ma è Joseph Ratzinger a spingersi ancora oltre. Lo fa in uno memorabile scritto del 1985 (si può trovare nel libro Cercate le cose di lassù, edizioni Paoline) in cui arriva a scrivere senza mezzi termini che il calcio è «un tentato ritorno al Paradiso». Colui che esattamente 20 anni dopo salirà al soglio pontificio col nome di Benedetto XVI si poneva retoricamente la domanda che alberga dentro chiunque abbia assistito alla bolgia colorata di martedì sera (domanda che si ripresenterà puntuale alla finale di Wembley in programma domenica prossima alle 21): perché il calcio riesce ad accendere, esaltare ed estasiare così tante persone? Parlando dei Mondiali di calcio (ma il discorso è identico per un Europeo) Ratzinger (si) risponde che «nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità». Al di là di quell’inciso minimalista («sulla terra») che da solo ci squaderna altri mondi, l’«elemento primordiale» che il calcio accende nell’uomo non è il (banale) panem et circenses dell’antica Roma, bensì quello della libertà e della vita del Paradiso («il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità», scriverà anni dopo nell’enciclica Spe salvi).

«Un tentato ritorno al Paradiso»

Joseph Ratzinger continua così la sua immaginifica disamina sul calcio: «Si potrebbe rispondere, facendo riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo». Parole che hanno la forza della verità. Ma è nel passaggio successivo che il disegno di Ratzinger sul calcio si fa ancora più sublime: «In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello»

Se i nemici ridono insieme

Nella partita con la Spagna c’è stata più di una scena in cui la «libertà appagata» adombrata da Ratzinger si è resa evidente; in cui si è toccata con mano «la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello». Una di queste – «la più bella della semifinale» scrive lo scrittore e giornalista Rodolfo Casadei che l’ha annotata – riguarda Luis Enrique, il c.t. degli iberici per molto tempo lontano dal calcio per via del lutto che ha colpito Xana, l’amata figlia venuta a mancare a soli nove anni per un osteosarcoma. «Luis Enrique e Federico Chiesa, marcatore del goal dell’Italia – scrive Casadei commentando un momento di complicità tra i due – che all’inizio del secondo tempo supplementare – l’acme dei drammi pallonari – parlottano e ridono come due vecchi amici: la leggerezza, il non prendersi sul serio, la facilità a riconoscere che l’avversario non è un nemico, la consapevolezza che il calcio è guerra sublimata e non guerra vera, e proprio per questo possiamo riderci su insieme. Meraviglioso».

La maglietta di Spinazzola

Oltre che nel drammatico e commovente cerchio umano a protezione del danese Christian Eriksen, il «tentato ritorno al Paradiso» in casa azzurra è stato ben incarnato dai gesti d’affetto semplice e sincero che i nostri ragazzi si sono scambiati ad ogni fine partita di questo scintillante torneo. Fino all’episodio della maglietta di Leonardo Spinazzola – infortunatosi gravemente e caldamente abbracciato dai suoi compagni al suo rientro a casa – indossata da un euforico e affettuoso Insigne. Un gesto condiviso, piccolo e insieme luminoso, a ribadire che nessuno si è dimenticato del compagno. Tutt’altro. Scriveva lo scrittore argentino Osvaldo Soriano parafrasando Pascal: «il calcio ha le sue ragioni che la ragione non conosce».


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