Fiducia supplicans torna a far parlare di sé. La Dichiarazione sul senso pastorale delle benedizioni alle coppie irregolari, omosessuali incluse, pubblicata lo scorso 18 dicembre dal Dicastero per la Dottrina della fede retto del prefetto, cardinale Victor Manuel Fernadez, è nuovamente oggetto d’una presa di posizione dal tono critico. Infatti, oltre che dai vescovi africani – e più recentemente anche da quelli olandesi -, il documento è stato oggetto anche di una nota dei tre vescovi delle Antille francesi, i quali hanno diffuso un comunicato con cui, pur acconsentendo alla benedizione dei singoli che la richiedano, le escludono per le coppie omosessuali o in situazione irregolare.
Più precisamente, è successo che monsignor David Macaire, arcivescovo di Fort-de-France, monsignor Alain Ransay, vescovo di Cayenne e monsignor Philippe Guiougou, vescovo di Basse-Terre et Pointe-à-Pitre, abbiano – assieme ai loro vicari generali – sottoscritto un comunicato dal titolo chiaro – Bénir, c’est encourager à faire le bien («Benedire è incoraggiare a fare il bene») – con cui, da un lato, ricordano appunto che le benedizioni «non vanno incontro ai peccati del fedele, ma al contrario servono per dagli la forza di fare il bene e di avvicinarsi a Gesù» e, dall’altro, che i ministri della Chiesa «non possono conferire benedizioni a coppie in situazione irregolare o dello stesso sesso». «Non possono»: due parole chiarissime.
Siamo insomma di fronte all’ennesima presa di distanza dalla possibilità di benedire coppie gay – foss’anche nella modalità non solo extraliturgica, ma pure appartata e quasi cronometrata indicata da un comunicato esplicativo del già citato cardinal Fernandez -, da parte di vescovi indubbiamente rappresentanti di quelle «periferie» ecclesiali tanto care a Francesco. Inutile però negare come sia stata la presa di posizione africana – che, va evidenziato, «ha ricevuto il consenso di Sua Santità papa Francesco e di Sua Eminenza il cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede», come recita la nota del cardinale Fridolin Ambongo Besungu – quella che ha avuto più peso e, in qualche modo, ha spianato la strada alle altre.
Un dissenso, quest’ultimo verso certe “aperture”, la cui tenuta è dimostrata dal fatto che ha già saputo resistere pure a spinte politiche. Non appare in tal senso casuale che sia l’Africa sia i Caraibi (isole delle quali le Antille francesi fanno parte) siano state anche nel novembre dello scorso anno in prima linea nel rigettare un trattato per regolamentare i rapporti tra le 27 nazioni dell’UE e i 79 Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico per i prossimi due decenni. Parliamo di un documento senza dubbio significativo, ma che ha visto ben 35 Paesi (20 Paesi africani, 9 Stati caraibici e sei del Pacifico) contrari; un dissenso che ha interessato anche ungheresi e i polacchi per via di quelle disposizioni sulla «non discriminazione» che possono essere lette, appunto, come “aperture” alle rivendicazioni Lgbt+.
Tornando a noi, posto che Fiducia supplicans – come hanno notato i vaticanisti più attenti – è stata accolta con scarso entusiasmo perfino da ambienti ecclesiali progressisti, per così dire – viene da pensare che il vigoroso rifiuto africano di darne attuazione derivi da uno sguardo di scetticismo che i vescovi di quel Continente hanno verso istanze che, ai loro occhi, sanno tanto di colonizzazioni ideologiche, per dirla con un’espressione cara al Pontefice. E forse proprio un rischio di colonizzazione ideologica occidentale i vescovi africani devono aver segnalato a Roma nel motivare la loro presa di posizione se, come ha riferito il cardinale Ambongo, il pontefice nell’accoglierlo si è dimostrato «affranto».
Del resto, tra l’assecondare determinate “aperture” – soprattutto di matrice Lgbt, per capirci – da anni caldeggiate da certi settori ecclesiali e il seguire l’agenda globalista dell’Occidente rischia, a livello pratico, d’esservi una distinzione molto sottile; forse pure troppo sottile, col Vaticano stesso che rischia di non vederla. Soprattutto se le citate “aperture” vengono richieste dalle Chiese più ricche e potenti, mentre il pur rispettoso dissenso si solleva con forza da quelle «periferie» che, proprio nell’ottica cara al Papa argentino, meglio incarnano la genuinità evangelica e il dinamismo d’un cristianesimo giovane. Che, come tale, dovrebbe essere ascoltato e non certo guidato dal «centro» con un decisionismo che sa poco di “accordo”, come provano a fare le istituzioni politiche occidentali. (Fonte foto: Ansa)
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