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Big tech utilizzato per scopi militari. L’inchiesta shock di Intercept
NEWS 22 Dicembre 2022    di Redazione

Big tech utilizzato per scopi militari. L’inchiesta shock di Intercept

Oggi abbiamo la prova di ciò che già si sapeva: su The Intercept Lee Fang spiega come Twitter venisse utilizzato a scopi militari. Il giornalista ha avuto accesso agli archivi della piattaforma per tre giorni della scorsa settimana, insieme a reporter e altri scrittori, dopo l’acquisto dei social media da parte di Elon Musk. Quest’ultimo, ha iniziato a permettere l’accesso ai documenti dell’azienda, affermando in uno spazio su Twitter che «l’idea generale è quella di far emergere tutto ciò che di negativo Twitter ha fatto in passato». E, anche se non si è trattato di un accesso illimitato, i risultati sono stati rilevanti.

Sembrerebbe che la piattaforma social abbia fornito protezione interna alla rete di account di componenti dell’esercito statunitense, inserendo un gruppo di account in whitelist su richiesta del governo. Il Pentagono ha utilizzato questa rete, che comprende portali di notizie e meme generati dal governo statunitense, nel tentativo di plasmare l’opinione pubblica in Yemen, Siria, Iraq, Kuwait e altrove. Gli account in questione hanno iniziato a essere apertamente affiliati al governo degli Stati Uniti. Ma poi il Pentagono ha cambiato tattica e ha iniziato a nascondere la sua affiliazione con alcuni di questi account, una mossa apertamente in contrasto con le regole di Twitter. Tuttavia, i dirigenti del social network non hanno chiuso questi account, ma hanno lasciato che rimanessero attivi per anni. Alcuni lo sono ancora ora. Le rivelazioni sono state sepolte negli archivi delle e-mail e degli strumenti interni della piattaforma.

L’assistenza diretta fornita da Twitter al Pentagono risale ad almeno cinque anni fa. Da alcune e-mail è stato rilevato per esempio che il 26 luglio 2017, Nathaniel Kahler, all’epoca funzionario del Comando centrale degli Stati Uniti – noto anche come CENTCOM, una divisione del Dipartimento della Difesa – ha richiesto a un rappresentante di Twitter del team di politica pubblica dell’azienda di approvare la verifica di un account e di «mettere in whitelist» un elenco di account in lingua araba «che utilizziamo per amplificare determinati messaggi». «Abbiamo alcuni account che non vengono indicizzati sugli hashtag – forse sono stati segnalati come bot», scrive ancora Kahler. «Alcuni di questi avevano costruito un vero e proprio seguito e speriamo di recuperarli». Kahler ha aggiunto di essere felice di fornire ulteriori documenti dal suo ufficio o dal SOCOM, l’acronimo del Comando per le operazioni speciali degli Stati Uniti. Nella sua e-mail, Kahler ha inviato un foglio di calcolo con 52 account. Ha chiesto un servizio prioritario per sei di questi, tra cui @yemencurrent, un account utilizzato per trasmettere annunci sugli attacchi dei droni statunitensi nello Yemen. All’incirca nello stesso periodo, @yemencurrent, che nel frattempo è stato cancellato, aveva sottolineato che gli attacchi dei droni statunitensi erano «accurati» e uccidevano i terroristi, non i civili, e promuoveva l’assalto statunitense e saudita ai ribelli Houthi nel Paese. All’epoca Twitter aveva creato un sistema di rilevamento degli abusi finalizzato in parte a segnalare attività dannose legate allo Stato Islamico e ad altre organizzazioni terroristiche operanti in Medio Oriente. Un ex dipendente di Twitter, che ha parlato sotto anonimato, ha spiegato a The Intercept come gli account controllati dalle forze armate venivano automaticamente segnalati come spam.

«Alcuni account della lista», prosegue Fang, «si concentravano sulla promozione delle milizie sostenute dagli Stati Uniti in Siria e sui messaggi anti-Iran in Iraq. Un account dibatteva questioni legali relative al Kuwait. Sebbene molti account fossero focalizzati su un’area tematica, altri passavano da un argomento all’altro. Ad esempio, @dala2el, uno degli account CENTCOM, è passato dalla messaggistica sugli attacchi dei droni nello Yemen nel 2017 alle comunicazioni relative al governo siriano di quest’anno». Non solo Twitter, CENTCOM usa anche Facebook: «Nell’estate del 2020, secondo quanto riferito, i dirigenti di Facebook hanno identificato sulla loro piattaforma account falsi attribuiti a operazioni di influenza di CENTCOM e hanno avvertito il Pentagono che se la Silicon Valley poteva individuare tanto facilmente questi account come falsi, potevano farlo anche gli antagonisti degli Usa», dichiara Fang. «È molto preoccupante che il Pentagono stia lavorando per plasmare l’opinione pubblica sul ruolo delle nostre forze armate all’estero e ancora peggio che le aziende private stiano aiutando a nasconderlo», ha dichiarato Erik Sperling, direttore esecutivo di Just Foreign Policy, un’organizzazione no-profit che lavora per trovare soluzioni diplomatiche ai conflitti esteri. «Il Congresso e le società di social media dovrebbero indagare e intervenire per garantire che i cittadini siano informati quando i soldi delle loro tasse vengono spesi per dare un’immagine positiva alle nostre guerre infinite», ha aggiunto Sperling.

«L’esercito statunitense e la comunità dei servizi segreti», ha proseguito Fang, «hanno a lungo perseguito una strategia di creazione di personaggi online e di terze parti per amplificare determinate narrazioni in paesi stranieri, con l’idea che un portale di notizie in lingua persiana dall’aspetto autentico o una donna afghana locale avrebbero avuto un’influenza organica maggiore di un comunicato stampa ufficiale del Pentagono». La storia proviene da lontano, come annota Fang: «Nel 2008, il Comando per le operazioni speciali degli Stati Uniti ha aperto una richiesta di servizio per fornire prodotti e strumenti di influenza basati sul web a sostegno degli obiettivi strategici e a lungo termine del governo degli Stati Uniti». Il contratto si riferiva alla Trans-Regional Web Initiative, creata per contrastare l’influenza russa in Asia centrale e il terrorismo islamico globale. Una fonte di The Intercept, che ha lavorato nell’ambito del Trans-Regional Web Initiative, ricorda che il lavoro veniva svolto da un centro che funzionava come «una redazione, situata in un anonimo ufficio suburbano, nella quale lavoravano ex giornalisti». La fonte spiega: «CENTCOM sviluppa una serie di temi per la messaggistica sulla quale concentrarsi. […]. I supervisori aiutano a creare dei contenuti che vengono diffusi da una rete di siti Web e account sui social media controllati da CENTCOM. Tali contenuti, nati per supportare le narrazioni dal comando militare, sono […] elaborati in modo da riflettere gli obiettivi del Pentagono».

Così commenta Davide Malacaria sul suo Piccolenote.ilgiornale.it: «Quanto emerge dall’inchiesta di Fang non è neanche la punta dell’iceberg del verminaio che si cela dietro l’intreccio inestricabile, e troppo spesso perverso, tra Big Tech e la Difesa Usa (solo per fare un esempio banale, sono ancora segreti i rapporti tra i giganti del web e la Cia). Ma è utile a capire come funzionano certe dinamiche e perché avvengono certe cose (ad esempio perché sono tanto importanti i dati biometrici rubati agli ignari utenti del web: servono a creare profili falsi per le operazioni di regime-change in giro per il pianeta). Così gira il mondo».


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