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Cadute le accuse contro la donna che pregava dalla clinica per aborti nel Regno Unito
NEWS 6 Febbraio 2023    di Federica Di Vito

Cadute le accuse contro la donna che pregava dalla clinica per aborti nel Regno Unito

Sembra che ora la giustizia umana possa accusare una persona per quei “pensieri e intenzioni” che sono accessibili solo a Dio. Ecco, in breve, che cosa è successo a Isabel Vaughan-Spruce, cattolica, 45 anni, co-direttrice della Marcia per la vita nel Regno Unito. Il 6 dicembre 2022 è stata arrestata dalla polizia perché assorta in preghiera, in silenzio, nei pressi di una clinica abortiva del British Pregnancy Advisory Service nel quartiere Kings Norton di Birmingham. Per di più mentre la clinica era chiusa, perché, citiamo dal sito web, aperta solo «a martedì alterni».

Riassumendo, l’accusa formale alla Vaughan-Spruce è aver infranto un Ordine di protezione dello spazio pubblico (Pspo), misura introdotta dal Consiglio comunale di Birmingham per fermare proteste o comportamenti che rechino disturbo entro un limite di circa 150 metri da un luogo specifico. Nel caso delle cliniche per aborti, trattasi di “zone cuscinetto” in cui è vietato ai volontari pro-life “influenzare”, “consigliare”, “persuadere”, “informare”, ma anche solo “occupare spazio” o “esprimere opinioni” nelle vicinanze delle strutture per aborti. La condanna per la violazione di tali disposizioni porterebbe fino a due anni di carcere.

Isabel Vaughan-Spruce aveva affermato che le piace pregare mentre cammina, e sono vent’anni che prega con grande discrezione fuori da strutture di questo tipo, senza aver avuto mai un problema, senza infastidire nessuno. Ma sappiamo in questi casi che anche il solo silenzio infastidisce più di uno. «È sbagliato e orribile che sia stata perquisita, arrestata, interrogata dalla polizia semplicemente per aver pregato nella mia mente. […] Quello che ho fatto è stato tutt’altro che dannoso – stavo esercitando la mia libertà di pensiero, la mia libertà di religione, nell’intimità della mia mente. Nessuno dovrebbe essere criminalizzato per pensare e per aver pregato in uno spazio pubblico nel Regno Unito», così aveva risposto Isabel Vaughan-Spruce, dopo il suo arresto.

«L’esperienza di Isabel dovrebbe far preoccupare profondamente tutti coloro che credono che i nostri diritti fondamentali valgano la pena di essere protetti. È davvero sorprendente che la legge abbia concesso alle autorità locali una discrezione così ampia e irresponsabile, che ora anche i pensieri ritenuti “sbagliato” possono portare a un arresto umiliante e a un’accusa penale», ha detto Jeremiah Igunnubole, consulente legale per Adf UK, l’organizzazione legale che sostiene Vaughan-Spruce.

Eravamo in attesa del 2 febbraio, giorno in cui Isabel sarebbe comparsa di fronte ai giudici. Il Crown Prosecution Service ritira le accuse, ma chiarisce che «potrebbero essere reintegrate e perseguite in un secondo momento». Tuttavia, Isabel è stata informata di avere il diritto di chiedere un verdetto. E questa è la sua intenzione: «Per me è importante poter continuare con il mio lavoro vitale nel sostenere le donne che vorrebbero evitare l’aborto se solo avessero un aiuto. Per farlo, è fondamentale avere chiarezza sul mio status giuridico. Molti di noi hanno bisogno di una risposta sul fatto se sia ancora legare pregare in silenzio nella propria testa. Ecco perché perseguirò un verdetto in merito alle mie accuse in tribunale», ha spiegato.

«Isabel ha ragione a chiedere la giusta chiarezza sulla legittimità delle nostre azioni. Una cosa è che le autorità perquisiscano e arrestino umiliando un individuo semplicemente per i suoi pensieri. Un’altra è ritenere che quei pensieri siano prove sufficienti per giustificare le accuse. […] Questo è un chiaro esempio di processo che diviene punizione, che ha ripercussioni agghiaccianti sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione. Adf UK rimane impegnata a sostenere Isabel perché nessuno dovrebbe temere di essere accusato per pregare in silenzio e per i pensieri nell’intimità della propria mente», ha commentato Jeremiah Igunnubole, consulente legale per Adf UK.

Visto che rimane un caso di orwelliana memoria, lasciamo a lui la conclusione: «Se la libertà significa qualcosa, allora è il diritto di dire alla gente cose che non vuole sentire». (Fonte) (Fonte foto)

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