Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un breve stralcio tratto dal libro di Giacomo Biffi, “La meraviglia dell’evento cristiano”, a cura di Emanuela Ghini (ed. Cantagalli, pag. 464, € 26,00)
Il Figlio di Dio, nascendo a Betlemme ha inaugurato l’epoca messianica preannunziata da Isaia con le celebri parole: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Isaia 2, 4).
La prospettiva profetica di Isaia resta l’ideale che noi, discepoli di Cristo, dobbiamo perseguire con tutte le nostre forze: ogni evento bellico, lungi dal poter essere ammantato di nobiltà e di grandezza (come voleva l’antica retorica pagana che è pervenuta fino al nostro secolo), è sempre, comunque si concluda, un annebbiamento del Vangelo e una sconfitta per l’uomo. (…)
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra gli uomini che egli ama» (Luca 2, 14), così cantano gli angeli nel silenzio notturno di Betlemme. Dal primo momento, la missione del Salvatore è connotata da un augurio di pace: chi, come noi, è stato fatto oggetto dell’incredibile amore del Padre che ci ha donato il suo unico Figlio, è chiamato, per intrinseca connessione dei valori, a vivere nella serenità dell’animo e nella tranquillità dell’ordine sociale.
Se l’angoscia, il tumulto dei sensi, la rissa tra fratelli, la violenza tra le genti sono le caratteristiche del mondo vecchio, in cui regna il peccato, tutto è cambiato da quando Dio è entrato così profondamente nella nostra storia, al punto da farsi uno di noi. Da allora la guerra è diventata anacronistica e assurda, un’aberrazione inaccettabile, un mostro da esorcizzare. […]
La pace è posta in connessione, quasi come di effetto a causa, con la «gloria di Dio»; e così veniamo ammoniti che non da una filantropia naturalistica, che non guardi oltre la realtà visibile e peritura, dobbiamo attenderci che ci sia regalata una convivenza senza conflitti, ma dal riconoscimento certo e cordiale del Creatore, della sua maestà, del suo primato, della sua «gloria» appunto.
Solo il pensiero sempre ravvivato al Padre di tutti può aiutarci a vincere ogni irragionevole istinto di egoismo e di sopraffazione. Chi ama Dio, ama obbligatoriamente la pace. E chi ama la pace con operosa e disinteressata sincerità, anche se forse non se ne rende conto, già si pone almeno inizialmente tra i discepoli di colui che è stato profetizzato come il «Principe della pace» (Isaia 9, 6).
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