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Caso Hunziker-Botteri e gli indignati a intermittenza
NEWS 5 Maggio 2020    di Raffaella Frullone

Caso Hunziker-Botteri e gli indignati a intermittenza

E così in Italia ad accompagnare il passaggio tra la Fase 1 e la Fase 2, segno inequivocabile di desiderio di “normalità”, è stato il caso Hunziker-Botteri.

Il 28 aprile Striscia la Notizia manda in onda un servizio sul look di Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Pechino. Il servizio in questione, curato appunto da Michelle Hunziker, mostra le immagini delle ultime corrispondenze commentandole così: «Giovanna Botteri era stata presa di mira da chi aveva notato la sua immutabile mise. A ogni appuntamento infatti la corrispondente dalla Cina sfoggiava il medesimo abito nero attirandosi critiche e ironie. Ebbene l’altro giorno la giornalista in prima linea ha voluto stupire tutti e ha preso una grande decisione – stacco su Gaber che canta Quasi quasi mi faccio uno shampoo – sì, si è presentata agli spettatori del Tg1 più bella e più superba che pria. Ecco, ad un tratto la sua chioma curata e vaporosa in risposta alle tante frecciate velenose di cui evidentemente ne aveva fin sopra i capelli».

Apriti cielo. Immediatamente i social del tg satirico di Antonio Ricci e quelli della showgirl sono stati sommersi da commenti durissimi accomunati dall’accusa, senza possibilità di appello, di body shaming. La notizia meriterebbe anche un minimo di attenzione se non fosse che è più o meno dal 1988 che Striscia la Notizia costruisce i suoi servizi sulla satira, l’ironia e il sarcasmo giocato anche nei modi più ficcanti. Addirittura il mercoledì, all’interno del programma, c’è pure la rubrica Fatti e rifatti, che sbeffeggia chi ricorre alla chirurgia estetica mostrandone impietosamente parti del corpo cadenti prima e rifatte poi. Ma solo quando è stata toccata Giovanna Botteri si è scatenato il putiferio.

A scendere in campo sono stati nientepopodimeno che il Comitato pari opportunità della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), il sindacato dei giornalisti Rai e Usigrai, e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti che in un solenne comunicato congiunto scrivono: «In inglese si chiama body shaming, ma la potenza negativa di questa pratica si esprime bene anche usando l’italiano. Derisione, fino ad arrivare a vere e proprie offese, per come si appare, per come è il corpo, per come ci si veste. Colpite sono soprattutto le donne, il gruppo sociale più odiato in rete. Una forma di attacco subdolo perché attraverso la risata che vorrebbe suscitare, ridicolizza, ferisce. In questo ultimo periodo ne è stata oggetto la collega Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Pechino. La si giudica, deride, offende per come si veste. Per i suoi capelli. Abbiamo deciso di contattarla per esprimerle la nostra solidarietà».

Non usano mezzi termini, eppure non si ricordano comunicati simili quando ad essere derisa per il suo aspetto fisico è stata Maria Giovanna Maglie, oppure Mario Adinolfi, o quando a essere offesa per il crocifisso che indossa è stata Marina Nalesso, o per le offese ripetute a Costanza Miriano. Nessuna delle sigle di cui sopra si è minimamente scomposta per questi giornalisti. Forse perché non stanno sul lato sinistro della storia?

La Botteri, come da copione, fa la parte di quella superiore: «Sono sintonizzata sulla Bbc. Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi. Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio. E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono. Perché è l’unica cosa che conta, importa, e ci si aspetta da una giornalista».

Peccato che nessuno abbia fatto ironia sul fatto che la Botteri sia bella o brutta, magra o grassa, ma solo sul suo look volutamente trascurato radical chic, che – intendiamoci – è l’ultimo dei suoi problemi. Lei infatti, come ha scritto, vorrebbe essere ascoltata «senza fiatare». Era così anche quando, in occasione delle ultime presidenziali americane, dava per certa la vittoria della Clinton, e poi di fronte ai fatti che la smentivano commentava: «Non si è mai visto come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato». E poi ancora, sempre in diretta sulla tv pubblica: «Che cosa succederà? Evidentemente la stampa non ha più forza e peso nella società americana, le cose che sono state scritte, le cose che sono state dette evidentemente non hanno contato su questo risultato e non hanno influito su questo elettorato». Ecco, non è su questo forse che l’Usigrai, l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione della Stampa dovrebbero intervenire piuttosto che su un presunto caso body shaming in un tg satirico?


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