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Che fede hai? I personaggi de I promessi sposi nel 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni
NEWS 22 Maggio 2023    di Samuele Pinna

Che fede hai? I personaggi de I promessi sposi nel 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni

Il 22 maggio 1873, esattamente centocinquant’anni fa, Alessandro Manzoni, nato nel 1785, tornava alla casa del Padre. È da settembre che impegno attenti ascoltatori nel mio ostinarmi a presentare in chiave spirituale i personaggi del romanzo per eccellenza dello scrittore milanese, proprio mosso nel mio recondito intento da questo importante anniversario. Convinto che sarebbe bastato un anno di catechesi per dipanare la storia dei due sposi promessi del lecchese, ci si è arenati, dopo aver incontrato diversi protagonisti, sulla presentazione del padre Cristoforo.

Rimango stupito per come gli attori che si danno il cambio nel racconto siano descritti con poche pennellate, ma tanto ben disegnate da consentire di scoprire il loro mondo interiore così ricco e profondo per chi legge. C’è don Abbondio dalla fede pusillanime che «non era nato con un cuor di leone», anzi «fin da’ primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi, era quella d’un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d’esser divorato». Nonostante i buoni consigli della sua perfida servente – Perpetua di nome e di fatto – il curato faceva ogni cosa per schivare le tumultuose vicende che si agitavano intorno a lui, ma neanche a farlo apposta in questa storia fu preso, suo malgrado, al laccio da esse.

C’è poi Renzo dalla fede genuina che, ingenuo e onesto, tira dietro a sé la trama delle pagine vergate dal Manzoni, e gli fa da coppia, in tutti i sensi, Lucia, «d’una modesta bellezza» e dalla fede devota, attraversata da «una gioia temperata da un turbamento leggiero». C’è il roboante padre cappuccino poco sopra citato, al secolo Lodovico, dall’indole «onesta insieme e violenta» che lo condurrà a testimoniare una fede eroica. C’è don Rodrigo, traditore e tradito, che esercita senza pudore una malafede e Gertrude, monaca per scelta altrui, di una fede infedele che soltanto alla fine di tutto l’intreccio letterario riuscirà a riscattarsi in una profonda conversione di vera religiosità.

C’è la celebre figura dell’Innominato che mostra la potenza della fede di chi si lascia toccare il cuore da Dio e quella insigne del cardinal Federigo, il quale «fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d’una grand’opulenza, tutti i vantaggi d’una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell’esercizio del meglio». Non manca donna Prassede dalla fede cieca, «una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri». Altri interessanti soggetti si muovono sulla scena, così come il popolino che agisce a volte con troppa fede e a volte con troppa poca. Il tutto ben ricamato in una delle opere più sublimi mai scritte da mano d’uomo.

Quale il motivo per cui affascina la vicenda di due innamorati che non possono coronare il loro sogno? Perché, senza nominare una solta volta Gesù, le pagine che li riguardano mostrano tutta la potenza dei valori insegnati dal Cristo. E sono proprio Renzo e Lucia a consegnare il sugo della storia che la voce narrante del Manzoni non ha dubbi a scegliere per concludere il suo scritto: la “morale”, «benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui». I due finalmente sposi, infatti, «conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».

È assai probabile che possa iniziare la ricerca del lettore laddove finisce quella presentata dal Manzoni, perché – come egli scrive in Osservazioni sulla morale cattolica – «la felicità non può esser realizzata fuorché in un presente il quale comprenda l’avvenire, in un momento senza fine, val a dire l’eternità. Senonché la religione può darci una specie di felicità anche in questa vita mortale, per mezzo d’una speranza piena d’immortalità». (Foto: Bing, immagine libera)

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