di Andrea Panont OCD
Non ricordo l’emozione di quando tenevo la mano della mamma o del papà. Mi ci rivedo però ogni volta, ed è spesso, che vedo un bambino mettere la sua manina nella mano della mamma.Di solito lo fa con il braccio sciolto, standole a fianco, guardandola spensierato, come di uno che ci sta volentieri e gode quella posizione; ma alle volte lo vedo un passo indietro, con braccio rigido e col volto rassegnato, come di uno che, in contrasto con la mamma, voglia farsi trascinare o fargliela pesare.
Se non ricordo la mano della mamma (del resto, lavorava nei campi e in casa, con otto figli da accudire e, a turno con le altre zie, “governando” una casa di quaranta persone) ho però la grazia di dare e ridare la mia mano a quella di Dio, così ferma e decisa come quella d’un papà e così tenera e soave come quella d’una mamma.
Me ne sento strattonare quando lo faccio distrattamente o malvolentieri, mi sento invece riempire di gioiosa libertà quando, da quelle mani, mi lascio prendere e guidare attento alle varie direzioni che imprimono, gustando i cenni continui di amore e di fiducia che infondono.
Proprio questa mattina il novantenne amico Bonaventura, al telefono mi confida che da tempo ha finito di chiedere a Dio di “star bene”. Ho capito – confida – che il mio “star bene” non dipende dalla salute, ma sto proprio bene quando, sollecitato anche dalla poca salute, rimango costantemente con la mia mano nella sua mano.
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