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Cristo percorre foreste e pianure della Santa Russia. Ecco lo spirito cristiano di un popolo
NEWS 28 Settembre 2015    

Cristo percorre foreste e pianure della Santa Russia. Ecco lo spirito cristiano di un popolo

di Stefano Chiappalone

 

Chiunque abbia letto i Racconti di un pellegrino russo, non può fare a meno di subire il fascino delle molteplici prospettive che emergono tra le righe di questo classico della spiritualità orientale scritto da un autore anonimo della metà del XIX secolo: “la severa ascesi di origine bizantina e la tensione itinerante dei pellegrini russi, l’angustia di una cella monastica e le distese sconfinate della Siberia, l’atmosfera narrativa fiabesca e sacrale della Santa Russia, ma sullo sfondo le tensioni culturali e sociali che avrebbero determinato nel volgere di pochi decenni il crollo di questo mondo” (Aldo Ferrari, prefazione alla trad.it., ed. Città Nuova).

L’espressione “Santa Russia” evoca spazi immensi e anime capaci di immensità, superando i confini spazio temporali, per confrontarsi con quella storia che iniziò mille anni fa con la conversione del santo principe Vladimir (958-1015), subito fecondata dal martirio dei suoi figli, i principi Boris e Gleb (+1015) e successivamente plasmata dall’esperienza ascetica di San Sergio di Radonez (1314 ca.-1392) – tutti e quattro venerati sia dalla Chiesa cattolica sia dalle Chiese ortodosse. L’anima russa è sanamente inquieta, ansiosa di peregrinare non solo attraverso quella patria dagli spazi infiniti, ma soprattutto attraverso il mistero, mai rifiutato, anzi costantemente presente – almeno come termine di confronto: a metà del secolo XIX (la stessa epoca dei Racconti) “la società, il pubblico, i critici, iniziarono a chiedere alla letteratura e alla pittura, qualcosa di più dell’ ‘arte per l’arte’. L’intelligentsia russa era affamata di risposte alle più essenziali questioni della vita e dello spirito” (Yevgenia Petrova, Personal Religiousness and Religious Consciusness among Russian Artists at the Turn of the 20th Century). Da quest’ansia di confronto col mistero e con la persona di Cristo, scaturiscono esiti molto differenti, tra i quali emerge l’opera genuinamente religiosa del pittore Mikhail Nesterov (1862-1942) che non sarebbe errato definire il cantore della “Santa Russia” e autore dell’omonimo dipinto da cui prende le mosse lo storico Pierre Kovalevsky (1901-1978) nel suo volume San Sergio e la spiritualità russa:

Il quadro rappresenta Cristo mentre percorre le pianure e le foreste della Russia, seguito da San Nicola (270-343), San Sergio e dal principe Boris, attirando a sé l’intero popolo avido della sua parola. Il quadro è emblematico della spiritualità russa in quanto, proprio per merito dei due patroni del paese – l’uno adottivo e l’altro uscito dal suo seno – e dietro l’esempio del saggio principe Boris, milioni di anime nel corso dei secoli si sono rivolte al Salvatore e hanno formato quella che chiamiamo ‘Santa Russia’”.

È un dipinto talmente paradigmatico dello spirito russo che – ci informa ancora Kovalevsky  – le sue riproduzioni “adornano ancor oggi i casolari della grande terra”.