Le Edizioni Paoline pubblicano l’autobiografia carceraria di Dagmar Šimková, Io n° 1211. Nell’inferno delle carceri comuniste cecoslovacche.
Nata nel 1929 e morta nel 1995, figlia del banchiere di Písek, cittadina della Boemia meridionale, Dagmar vive un’infanzia spensierata tra la danza e il tip tap fino al primo duro colpo: al termine della guerra, il padre si suicida. Poi la vita le riserva altre sgradevoli sorprese: ‘48, dopo il putschcomunista, non le permettono di studiare anglistica e storia dell’arte in università perché è «di origini borghesi», e finisce a fare l’operaia e poi l’infermiera. La villa in cui abita con la madre è destinata alla coabitazione, e nell’ottobre del 1952 viene arrestata per aver aiutato due giovani in fuga dal servizio di leva e intenzionati ad espatriare. Condannata inizialmente a 8 anni, le viene prolungata la pena a 15 anni per alto tradimento e spionaggio. Ha così inizio il suo inferno terrestre…
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