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Dall’Italia, alla Francia è guerra… sulle minigonne
NEWS 3 Ottobre 2020    di Giulia Tanel

Dall’Italia, alla Francia è guerra… sulle minigonne

L’estate è ormai archiviata. Il clima freddo e piovoso di questi giorni ha imposto a tutti un rapido cambio di vestiario, e se c’è ancora chi prova ad affidarsi a un abbigliamento “a cipolla”, in molti si sono già rassegnati a tirare fuori dagli armadi maglioncini e giacche autunnali. Ad ogni modo, un dato è insindacabile: il diminuire dei gradi centigradi registrati e percepiti è direttamente proporzionale al diminuire dei centimetri di pelle che le persone lasciano in vista. Durante le stagioni fredde, eccezioni a parte, si è insomma naturaliter più pudici.

In questo clima, dunque, perdono un pochino di appeal le proteste che hanno animato il liceo Socrate di Roma e quindi, in segno di solidarietà, il Manzoni di Milano, oramai un paio di settimane fa; in segno di protesta rispetto alla richiesta della preside del liceo della Capitale di non recarsi a scuola con gonne troppo corte, alcune giovani studentesse – spalleggiate dai coetanei maschi – si sono presentate a scuola in minigonna e hanno mostrato cartelli con le scritte: «Vogliamo una scuola antisessista», o anche: «Non è colpa nostra se gli cade l’occhio [al professore, ndr]» e «Il vostro non è decoro. È sessismo».

Secondo una certa prospettiva, la protesta delle studentesse ha anche del positivo: le liceali, infatti, hanno fatto quel che si confà alla loro età adolescenziale, ossia si sono ribellate all’adulto, all’autorità, in un’ottica di identificazione. Di questi tempi, è comunque un segnale di reattività, non più così scontata nei giovani. Tuttavia, e qui sta il nocciolo della questione, i passi che hanno mosso queste giovani liceali hanno una lacuna di base: non si sa più cosa sia il pudore, concetto che evoca nella mente dei più “i mutandoni della nonna”. E questo non vale solo per gli adolescenti, ma anche per chi dovrebbe loro fungere da modello. Ebbene, non è così: ci si può vestire in maniera pudica, pur preservando lo stile. E, anzi, in questo modo si dimostra di avere rispetto per se stessi e per gli altri.

Su questo tema, in Francia, dove proprio in questi giorni si è animata una polemica simile a quella italiana, che è arrivata a coinvolgere anche il ministro dell’istruzione Jean-Michel Blanquer, padre Perè Danziec ha sviluppato una interessante riflessione sulle colonne di Valeurs Actualles. «Nell’era dell’“oggetto donna”», scrive il sacerdote, «[…] diventa più urgente che mai mettere in discussione i modelli e gli ideali che la società dei consumi instilla nei giovani. In tutte le civiltà, a differenza dei periodi di decadenza, l’abbigliamento era sia un luogo di assertività, sia, allo stesso tempo, una protezione per lo sguardo. Porta a vedere la persona oltre le proprie forme (il corpo) per essere più interessata alla sostanza (la mente). La realtà antropologica e storica dell’abbigliamento permette così di evitare di cadere in beato angelismo o frenetico naturalismo. L’abbigliamento per sua natura costituisce uno strumento, è un accessorio al servizio del corpo. […] Significa un impegno o un orientamento alla vita. La virtù della prudenza giunge a ragione per regolarne l’uso e la varietà a seconda dei luoghi, dei tempi e delle persone. Ma soprattutto perché ha un’innegabile dimensione interpersonale: l’abbigliamento non riguarda solo chi lo indossa. Come un burkini o un bikini, può riflettere concezioni dell’esistenza diametralmente opposte agli altri».

Quindi, ben venga un dress code che metta dei confini a come si può entrare in classe. E questo sia per le ragazze, sia per i ragazzi. E, perché no, al giorno d’oggi un dress code potrebbe avere un suo valore anche negli ambienti lavorativi, dove sempre più spesso si vedono impiegati aggirarsi in pantaloni corti, jeans strappati, camicie hawaiane e magliette con disegni e frasi discutibili, per non parlare poi del decoro nel vestire che sarebbe d’obbligo per entrare nelle chiese

Il tutto perché, afferma ancora padre Danziec, «che ci piaccia o no, il ruolo dell’abbigliamento è promuovere la giusta socialità, oltre che il giusto esercizio di eleganza e seduzione. A causa della natura di genere e sociale della specie umana, esiste un modo di vestire adatto, alcuni direbbero virtuoso: un modo che rispetta la natura dell’uomo e della donna».


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