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Dom Geoffroy Kemlin: «La liturgia non può esser un self service»
NEWS 3 Giugno 2022    di Federica Di Vito

Dom Geoffroy Kemlin: «La liturgia non può esser un self service»

Dom Geoffroy Kemlin all’età di soli 43 anni è stato chiamato come abate dell’abbazia benedettina di Saint-Pierre de Solesmes a dirigere non solo la comunità monastica, ma l’intera congregazione di Solesmes, alla quale sono annessi più di trenta monasteri e abbazie di tutto il mondo, tra questi gli spagnoli di Santo Domingo de Silos, San Salvador de Leyre e la Valle dei Caduti. Attualmente ci sono circa 600 monaci tra abbazie e monasteri, oltre a 175 monache e 115 religiosi Servants des Pauvres (oblati benedettini legati alla congregazione). Allo stesso modo, ci sono più di 30 postulanti e novizie, 13 novizie e postulanti tra le monache e 5 tra le serve.

La vita monastica oggi deve incontrare nuove sfide suscitate dal mondo in cui siamo immersi e un monaco giovane è il segno che, mantenendo salda la tradizione benedettina, si volge uno sguardo al futuro e quindi alla parte giovane della società. Questo monaco parigino di origine è entrato nel monastero a 20 anni: «È un giovane, molto intelligente, di origine alsaziana. È un uomo vicino, piacevole, educato, comprensivo e spirituale. Dà molta speranza per il futuro e allo stesso tempo è garanzia di continuità dello spirito della congregazione di Solesmes, essendo stato l’uomo di fiducia del precedente abate. È un uomo profondamente imbevuto dello spirito di Prosper Guéranger, fondatore della Congregazione, e di tutto ciò che la Congregazione significa nella vita della Chiesa», così padre Santiago Cantera, priore della Valle dei Caduti, definisce Dom Geoffrey Kemlin. Possiamo conoscerlo meglio anche noi grazie a un’intervista rilasciata a Famille Chrétienne.

Una delle peculiarità della congregazione di Solesmes è la profonda unione con il Romano Pontefice. Dom Geoffroy chiarisce: «Questo non significa idolatrare il Papa. Questa convinzione è radicata nel Vangelo e nelle promesse di Cristo a Pietro. Quando ci appoggiamo a Pietro, ci appoggiamo a Cristo. La verità viene da Roma, ma questa verità non è quella di un momento. È sempre lo stesso eppure si adatta sempre. Voler prenderne solo un pezzo è distorcerlo. Questa convinzione ci dà grande fiducia. È vero che il Papa suscita preoccupazione tra alcuni cattolici. Non in noi! Perché sappiamo che fa parte di una lunga stirpe. Le sue parole hanno un peso, ma non dovrebbero essere separate da tutto quanto sopra».

Dom Geoffroy dice di avere grande desiderio come abate di Solesmes: «Vorrei che tutti i miei fratelli fossero appassionati di Dio! Possano essere felici sotto lo sguardo del Padre e non cercare la loro felicità altrove. Questo è ciò che chiedo più volte al giorno nella mia preghiera». Come atto di profonda umiltà, nel momento della sua elezione ha chiesto ai confratelli più anziani di pregare fortemente per lui, «Non era una formula vuota. Ho i miei punti deboli. I monaci li vedono o non li vedono… Ho una lotta da condurre, come ogni cristiano, quella della coerenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo. Gli abusi nella Chiesa hanno mostrato in modo scandaloso che preti e religiosi possono condurre una doppia vita!».

Racconta qualche difficoltà incontrata nel percorso monastico, in particolare con il padre che «non voleva che il figlio maggiore se ne andasse, era un po’ come il sacrificio di Abramo per lui», dice il giovane abate. Suo padre arrivò a scrivere persino all’abate di Fontgombault, dove Geoffroy Kemlin voleva entrare, e anche per questo dovette aspettare un altro anno. Un’attesa imposta che ha permesso in lui un discernimento limpido.

In un tempo in cui la parola “padre” sta perdendo importanza, questo abate è chiamato a riscoprirla come abate per la sua comunità. Assicura che «forse è più difficile essere abate oggi che in passato… Ma siccome non ho vissuto nel passato, è difficile fare un confronto! Noto semplicemente che siamo i figli del nostro tempo. I difetti dell’età contemporanea, come l’individualismo che genera l’incapacità di lavorare insieme, ci colpiscono. Pertanto, essere abate è impegnativo. Ciò presuppone saper ascoltare tutti». Dom Geoffroy Kemlin definisce che cos’è la “Tradizione” : «La tradizione è viva o no, afferma con forza Benedetto XVI. Queste non sono cose morte custodite in una scatola, ma un tesoro da tramandare alle generazioni presenti e future . Pertanto, la creatività è necessaria affinché la Tradizione rimanga viva. Questo è molto impegnativo!».

E se qualcuno avesse la tentazione di pensare che vita monastica significa fuggire dal mondo, Dom Geoffroy smentisce questa tesi affermando che un monaco non fugge, bensì «guarda il mondo con una prospettiva diversa». Più di mille parole conta come il cristiano sta al mondo. Si esprime così anche in merito alla politica, affermando che, se da una parte è vero che non va trovata in essa la salvezza e la liberazione, dall’altra parte è fondamentale che i cattolici non debbano «abbandonare la cosa pubblica. Gli stessi politici si aspettano qualcosa da [noi]. L’esperienza autentica del Vangelo tocca e attrae le persone. […] Si deve passare dalla parola alla vita, anche su questioni difficili come l’aborto… Una famiglia che accoglie un bambino disabile ispira rispetto, vero?».

Oggi libertà sembra voler dire vivere al di fuori dalle regole, ed è qui che deve inserirsi la Regola di san Benedetto, che, seppur scritta 1500 anni fa, è sempre attuale perché, spiega Dom Geoffroy, «insiste sull’importanza del discernimento». Decidere sotto lo sguardo di Dio, questo sembra mancare oggi soprattutto ai giovani e questo è quello di cui hanno bisogno «nei momenti di tensione».

D’altra parte, i monasteri rimangono ancora oggi un centro di attrazione per molte persone. Lo testimonia questo giovane abate, il quale sottolinea che «l’attuale scristianizzazione suscita paradossalmente molta curiosità per quanto riguarda i monasteri. Proviamo un’enorme benevolenza da parte dei passanti, siano essi agnostici, atei o musulmani. Percepisco una grande attesa». Proprio per questo, i monaci devono evitare la tentazione di chiudersi: «non si può essere benedettini senza essere missionari nel cuore! Vogliamo condividere il Vangelo e non chiuderci nei muri. Farsi rinchiudere è facile. Essere missionari per tutta la vita, dietro le sbarre, è molto impegnativo. Significa seguire Gesù in ogni momento e dire di no a Satana».

Ritorna poi a raccontare qualcosa in più sui monaci di Solesmes: la grande cura che hanno verso la liturgia. «La liturgia è davvero qualcosa di vitale. […] L’essenza della vita benedettina è proprio la vita liturgica. È una preghiera comunitaria, quella della Chiesa, sposa di Cristo, che ha parole per rivolgersi a Lui. San Benedetto ci invita a ricevere dalla Chiesa le parole che trasformeranno i nostri cuori. La nostra Congregazione ha al suo interno diversi monasteri che celebrano in modo straordinario, mentre altri celebrano in modo ordinario. Devo testimoniare che c’è un’unità indissolubile tra noi. Quando gli abati di queste comunità vengono a Solesmes, concelebrano con noi la Messa. E viceversa. Nessuno considera l’altro un monaco di seconda classe. La prova è che l’attuale abate di Fontgombault è uno dei quattro consiglieri dell’abate presidente. Abbiamo in comune la certezza che è necessario tornare a tutto l’insegnamento della Chiesa, dalle origini ai giorni nostri. Non c’è scelta tra concili o papi! Questo ci permette una sana diversità».

Così l’abate di Solesmes commenta le ultime decisioni di papa Francesco al riguardo, soprattutto riguardo alle abbazie che hanno optato per il rito straordinario: «Capisco l’intenzione del Papa con il motu proprio Traditionis custodes . Ha voluto ricordare l’unità della liturgia nella Chiesa. La liturgia non può essere self-service! È la Chiesa che ci insegna a pregare. Non ha voluto che, con il pretesto di poter scegliere la forma liturgica, si potesse scegliere nel magistero e lasciare da parte il Concilio Vaticano II. Ho capito meno il decreto a favore della Fraternità San Pietro… Questa decisione sembra voler dire che ci sono due Chiese separate: una che celebra in forma rinnovata e un’altra con gruppi che usano la forma antica».

In ultimo, lancia un messaggio di speranza e fiducia: «È sempre Dio che chiama! Dobbiamo mantenere una grande fiducia, perché Lui ha il controllo. Dà quando è necessario. Quando preghiamo, Dio risponde e lo sperimentiamo davvero. Tutto è nelle mani del Signore. Ma ciò che dipende da noi è la nostra autenticità. Vorrei dire a tutti coloro che hanno paura del futuro che ci basta essere felici della nostra fede e rimanere fedeli. Questa felicità sarà radiosa di per sé».


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