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Ecco come la palla di neve è diventata la valanga del Family Day. Senza Cei, lobby, partiti e giornaloni
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1 Febbraio 2016

Ecco come la palla di neve è diventata la valanga del Family Day. Senza Cei, lobby, partiti e giornaloni

di Costanza Miriano

 

Era un anno fa, o meglio, un anno e un’era geologica fa. Era il 29 gennaio 2015 (peraltro il mio onomastico, la notizia è per il Grande Capo Indiano) quando Mario Adinolfi, Marco Scicchitano, Padre Maurizio e io ci ritrovavamo in una stanzetta a mangiare una fetta di dolce e a brindare (i maschi) alla fine della nostra avventura, quella che avevamo chiamato “I falsi miti di progresso”, con la quale avevamo un obiettivo che ci sembrava audace ma, forse, quasi alla nostra portata. Risvegliare Roma a partire dalle periferie, e cominciare a spiegare alla gente, a cinquecento persone alla volta, cosa fossero le teorie gender, l’utero in affitto nascosto nel ddl Cirinnà, la differenza tra maschile e femminile.

Quello ci sembrava un obiettivo audace, ma un anno dopo ci siamo ritrovati a parlare a una marea umana di persone, una distesa a perdita d’occhio di persone venute da tutta Italia, con sedie a rotelle, carrozzine, passeggini, pullman traghetti aerei, una marea di uomini, donne, bambini, anziani, e soprattutto tantissimi ragazzi. Come è stato possibile? Che è successo in questo strepitoso anno che ha cambiato il cuore di tanti, prima di tutto il nostro? In questo anno che ha visto nascere un popolo, consapevole, forte, coraggioso, pronto al sacrificio, cosa è cambiato in questa Italia che forse riuscirà a piantare un fronte nel cuore dell’Europa, e a fermare la deriva omosessualista, quella per cui poche ore fa mi sono sentita dire, in tv, che la mamma non esiste, è un concetto antropologico? Come è potuto accadere, senza soldi, risorse, appoggi di nessun tipo?

È successo che tanti rivoli si sono uniti, tante persone hanno lavorato insieme per dire la stessa cosa, percorrendo l’Italia in lungo e in largo, facendo rete, facendo nascere amicizie, passando parola, diventando una vera compagnia. Le Sentinelle in piedi hanno tenuto acceso il cuore e lo sguardo di tutti sull’obiettivo più profondo, la lotta per l’uomo, la lotta tra bene e male, la battaglia escatologica per la felicità vera e profonda dell’uomo. La Manif pour tous Italia ha funzionato da enzima, rompendo le scatole a tutti, tenendo gli occhi aperti su tutto quello che si è mosso nei media e in ambito legislativo. Gianfranco Amato ha riempito quasi ogni sera un teatro diverso in tutti gli angoli d’Italia, Giusy D’Amico, Simone Pillon, Emmanuele Di Leo, gli alfieri di Alleanza Cattolica, e poi Pro Vita, e Paolo Floris: tutti noi del comitato – appoggiati sulla roccia di Nicola Di Matteo, l’uomo macchina, l’organizzatore dei due più grandi eventi degli ultimi anni – abbiamo continuato a lavorare ognuno nel proprio ambito per continuare a informare la gente, per farla innamorare della causa. Dentro i movimenti e le realtà della Chiesa tantissimi si sono mobilitati con noi, con la menzione specialissima dei fratelli del Cammino Neocatecumenale, che a me in particolare hanno dato un esempio di cosa voglia dire essere cristiani veri, persone che hanno fatto un incontro, e che hanno capito che l’obbedienza a questo incontro ti salva la vita.

Il mio eroe in tutta questa storia, però, permettetemelo, è Mario Adinolfi, colui che per primo in tutto il paese ha capito come dovesse essere condotta la battaglia. È stato lui che ha scoperto che nell’articolo 5 si annidava la possibilità di condonare l’utero in affitto come si fa con un abuso edilizio, perché grazie a quell’articolo il compagno di chi si procura un bambino all’estero può chiamarsi padre o madre di quella creatura anche se non lo è. È stato Mario che per primo si è arrabbiato tantissimo per questa cosa, ed è stato il primo ad alzare la voce per cercare di dirlo, coperto dal frastuono di tutti i giornali e delle tv. Ha fondato un giornale, ha preso in affitto un palazzetto dello sport quando sembrava impossibile solo pensare di riempirlo, e quella sera di un anno fa quando pensavo che avrei brindato alla fine della nostra avventura mi ha fatto imbarcare in questa avventura ancora più pazza. Allora quasi nessuno credeva che ce l’avremmo fatta (anche io davo del pazzo a Mario, ma l’ho seguito lo stesso, soprattutto perché mi sono fidata di Padre Maurizio), e poi niente, ci siamo incontrati tutti. Siamo finiti intorno a un tavolo con Kiko Arguello.

Kiko ha riunito tutte le forze e si è messo ad ascoltare. Aveva ricevuto la lettera di una maestra bresciana preoccupata per la diffusione del gender nella sua scuola. Il fondatore del cammino l’ha presa sul serio, molto sul serio, e si è chiesto cosa potesse fare. Ha lanciato la pazza idea di Piazza San Giovanni, e così noi abbiamo abbandonato l’idea del Palazzetto e ci siamo uniti a lui. Nessun movimento, tranne il Cammino, ha detto di sì, e ancora una volta io pensavo che fosse una follia tentare un’impresa simile. Quando il 20 giugno sono salita sul palco e ho visto che non riuscivo a intravedere la fine della folla, da nessuna parte, ho capito che qualcosa di enorme era successo. Un popolo stava nascendo, tanti rivoli si erano uniti, e stavano dando vita a qualcosa che non si vedeva da tempo nel nostro paese. Davanti a questo popolo Kiko ha fatto il suo kerygma, e non mi vergogno di dire che quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita (dopo il matrimonio e le nascite dei figli: quei momenti in cui senti che il cuore non sarà mai più lo stesso).

Trovarmici dentro da protagonista è qualcosa che non mi spiego ancora, e che so perfettamente di non meritare, ma il Signore sceglie i sui generali come vuole lui, di solito tra i più disgraziati. E così io che nel mio primo libro avevo scritto “vi prego, però, non chiedetemi di fare un brindisi in pubblico perché non riesco a parlare davanti a più persone di età superiore agli otto anni”, sono finita nel cuore di questa cosa grandiosa.

Quando abbiamo cominciato a organizzarci abbiamo deciso che Massimo Gandolfini sarebbe stato l’uomo giusto per guidarci, e chi lo ha ascoltato il 30 dal palco penso sia convinto che abbiamo fatto la scelta giusta. Massimo ha intrecciato rapporti con tutti coloro che potevano aiutarci, ha conquistato la fiducia di tanti, e adesso staremo a vedere quello che produrrà questo enorme lavoro di tutti, soprattutto il suo.

Quale sarà l’esito pratico non lo so, voglio dire, non sappiamo se la legge Cirinnà sarà fermata, ma io comunque ho visto succedere sotto i miei occhi vari miracoli: soldi trovati dal nulla (vogliamo parlare dell’amica che mi ha offerto – cioè al comitato, non a me! – 22mila euro in tre ore?), gente che ha aperto le case, il cuore, il portafogli. Amicizie nate e diventate forti come querce. La consapevolezza di essere un popolo, il bisogno di guardarsi negli occhi e riconoscere che lo stesso incontro ha salvato la vita a tutti. La gioia di alzarci in piedi da risorti, come ha detto Don Antonello e come ho ripetuto dal palco. Il bisogno urgente di gridare al mondo che solo Gesù Cristo è la salvezza e la verità dell’uomo. Tutto questo chi fa una legge per compiacere qualche lobby neanche lo può immaginare, tutto questo nessuno ce lo toglierà, qualunque cosa succederà. Noi siamo un popolo, adesso, e questa nuova vita che è partita sarà difficile fermarla.

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