La decisione è arrivata a ridosso dei tg delle 20. La Consulta ha detto no al quesito proposto dai Radicali che con la campagna #eutanasialegale avevano raccolto ben di più delle 500.000 firme necessarie. In attesa del deposito della sentenza sull’eutanasia, l’Ufficio comunicazione ha fatto sapere che la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, «a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
Una sorpresa positiva perché mette a tema la vita umana e la sua fragilità, una pronuncia che arriva con il vento che tira decisamente in senso contrario. Come da copione infatti i media mainstream da settimane hanno intensificato il sapiente e costante “accompagnamento” delle istanze Radicali che dura da decenni. Non è una novità appunto, l’eutanasia fa già parte dell’immaginario collettivo, purtroppo. In nome dell’autodeterminazione, della libertà, ma soprattutto di quell’indifferenza distaccata che fa dire «Vivi e lascia vivere». Proprio per questo lo stop inaspettato della Consulta non può che essere accolta con soddisfazione dal mondo pro life italiano, ma occorre non mollare la presa, e soprattutto non perdere di vista il fatto che siamo dentro una corrente decisamente contraria. Basta guardare i giornali di ieri.
Repubblica decide di presentare il tema con un’intervista dal titolo «Referendum, Azzariti: “Quesiti ok, ma sull’eutanasia è urgente una legge”». Chi l’avrebbe mai detto, si portano avanti, dicendo che in ogni caso serve una legge. Nel pezzo Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto Costituzionale alla Sapienza di Roma afferma: «Pur di fronte a una vittoria del referendum abrogativo dell’articolo 579 sarebbe necessaria comunque una legge che comprendesse il tema dell’eutanasia in senso largo. Dunque anche il suicidio assistito, rispettando le condizioni dettate dalla Corte Costituzionale con la sentenza Cappato».
Sulla home del Fatto Quotidiano c’è, Ça va sans dire, una video intervista a Marco Cappato: «Siamo qui grazie a un milione e 240mila persone che hanno firmato il referendum e grazie a chi ha avuto il coraggio di trasformare un dramma privato in una battaglia di libertà. Entriamo in Corte con il rispetto per la stessa e con la speranza che ci sia una stagione referendaria. Sarebbe importante per la democrazia comunque la si pensi», poi chiude con l’appello inclusivo, che va sempre di moda: «Questi referendum sono una grande occasione per unire, non per dividere».
Il Corriere ieri ha scelto per l’edizione on line una cronaca apparentemente sobria, apparentemente ovviamente, perché accompagna la notizia della pronuncia prossima con una foto nientepopodimeno che di…. Marco Cappato e i la sua campagna #eutanasialegale. Giusto per fugare ogni dubbio.
Cappato ritorna sempre, insomma. Lui e la famosa sentenza Dj Fabo, anche quella sapientemente accompagnata dai media. Il primo passo era stato una lunga intervista di Giulio Golia delle Iene. Due ore in cui Fabiano a favor di telecamera riversava tutto il dolore di vivere in una condizione di fragilità estrema. Gli ingredienti sapientemente dosati, erano i soliti: un caso pietoso, l’uso distorto della concetto di libertà e la neolingua. Il culmine dell’intervista è l’appello alle istituzioni in cui si chiede di legiferare. Da quel momento la vicenda di Fabiano Antoniani è diventa pubblica, tutti i media mainstream, come rispondessero ad un ordine di scuderia, hanno iniziato a dare risonanza alle sue parole, le hanno rilanciate, hanno raccontato la sua storia. Erano già pronti dunque quando il 26 febbraio 2017 Fabiano twittava: «Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte», il giorno dopo è stato Marco Cappato a Twittare: «Alle 11,40 se ne è andato con le regole di un Paese che non è il suo». Dopo cinque minuti la notizia era su tutti i giornali.
Insomma il mondo pro life non ha certo il vento in poppa, e sicuramente ha i media contro. L’opinione pubblica è schierata, la politica ahimè anche, umanamente sembra tutto perduto.
Ma poi c’è l’imponderabile. Che agisce contro ogni speranza. Come avvenuto ieri sera.
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