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«Fermiamo l’idea che il “cambio di sesso” dei ragazzi sia una passeggiata»
NEWS 31 Gennaio 2023    di Giulia Tanel

«Fermiamo l’idea che il “cambio di sesso” dei ragazzi sia una passeggiata»

Quando si parla di loro, dei giovani nati tra il 1997 e il 2012, ossia gli adolescenti di oggi, li si definisce la “Generazione Z”. Ma, forse, propongono alcuni, sarebbe più corretto definirli la “Generazione D”, dove “D” sta per “disforia di genere”. La motivazione è chiara, se si ha il coraggio di stare di fronte ai crudi numeri in materia: «Nel 2018», si legge sul sito di GenerAzioneD, «la Tavistock Clinic di Londra – unico centro pubblico dedicato al trattamento dei minori e punto di riferimento internazionale fino al luglio 2022 quando non ne è stata decisa la chiusura in seguito alle criticità riscontrate – da una revisione indipendente, ha registrato un aumento del 4400% di richieste da parte di ragazze rispetto al decennio precedente». Quindi, se è pur vero che durante l’adolescenza, come già avviene peraltro anche durante l’infanzia, i giovani si trovano a dover fare i conti con la propria identità, anche sessuale, è altrettanto evidente che mai come oggi si è registrata una così grande crisi nel vivere questo delicato passaggio di maturazione.

Come mai sta avvenendo tutto questo? La risposta, naturalmente, non è né facile, né univoca: ogni giovane ha la propria storia di vita, la propria famiglia, la propria formazione… andare a cercare una ragione valida per tutti rischierebbe soltanto di svilire la complessità del problema. Eppure, una cosa può essere indubbiamente rilevata: mai come negli ultimi anni, a livello di società, si è spinto per sdoganare la possibilità di “cambiare sesso”. Anzi, quanti provano ad avanzare delle perplessità, a portare alla luce evidenze secondo le quali sarebbe errato assecondare tali transizioni, o quantomeno a suggerire cautela in un argomento così delicato e del quale ancora si conosce poco rispetto agli sviluppi futuri, vengono spesso (ideologicamente) tacitati.

Eppure, se a mettersi in questo ruolo di “perplessità”, se ad avanzare dubbi rispetto al fatto che così non va esattamente “tutto bene”, sono le stesse famiglie – madri e padri – dei tanti giovani che stanno combattendo un’aspra battaglia con il proprio corpo sessuato, la questione si fa interessante. O quantomeno non può essere liquidata, come purtroppo sovente si assiste, appellando la controparte critica di essere “retrograda”, “medievale” o quant’altro. E, pur rimanendo il tema intrinsecamente divisivo, impone di dare maggior spazio alla riflessione. Ed è proprio questo quanto sta provando a fare «l’associazione culturale, apolitica, aconfessionale e priva di scopi di lucro» Generazione D, nata «dall’incontro di alcuni genitori accumunati dall’esperienza di avere figli che, spesso da un giorno all’altro e senza alcuna manifestazione nell’infanzia, si sono identificati come transgender», che si pone appunto come obiettivo quello di «informare in merito alle problematiche della disforia/incongruenza di genere in bambini, adolescenti e giovani adulti». Informare, dunque: senza ideologia, ma anche senza veli volti a edulcorare una realtà molto spesso carica di enormi sofferenze per tutti gli attori coinvolti.

In un articolo a firma di Gianluca Nicoletti apparso su La Stampa di ieri, 30 gennaio 2023, dal bollente titolo «Aiuto il mio bambino a diventare un’altra ma ho sempre paura che se ne penta» alcuni membri di Generazione D hanno accettato di raccontare e raccontarsi, pur mantenendo l’anonimato a tutela dei propri figli, spesso minorenni. «Ognuno di noi, ogni giorno», afferma una mamma esponendo il fine ultimo per cui hanno dato vita all’Associazione, «è preso dal dilemma di quanto assecondare e di quanto coltivare il dubbio, vorremmo si capisse che avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare delle parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita, non è certo una passeggiata».

All’obiezione per cui non vogliano forse “normalizzare” i loro figli, i genitori rispondono in maniera negativa. Quanto invocano, e che spesso vedono invece mancare, è l’accompagnamento in una riflessione scevra da condizionamenti ideologici di stampo arcobaleno: «Vorrei che le decisioni irreversibili», afferma un’altra mamma in merito alla figlia, «le prendesse in una fase di maggiore maturità e consapevolezza, ora la vedo comunque confusa». E chiosa: «Il padre e io non sappiamo come mantenere il nostro ruolo di guida in una situazione che cambia di continuo».

E che cambia – ammette un’altra mamma portando alla luce il grande mondo sommerso dei cosiddetti “de-transitioners” – di certo in un senso, ma che può cambiare anche nell’altro: infatti, diversi giovani che hanno iniziato, o che magari sono anche molto avanti nel percorso di “cambio di sesso” decidono a un certo punto di fare ritorno “alle origini”: «Ora che è passato del tempo sta regredendo nel suo proposito di transizione». Ma suo figlio, in età di liceo, per fortuna non aveva fatto “altro” che cominciare a vestirsi da donna e a farsi chiamare con un nome femminile ma, lancia l’allarme la mamma, «cosa sarebbe successo se avesse iniziato con i farmaci? Non posso non chiedermelo».

Il tema, come si è detto, è complesso e interessa tanti ambiti disciplinari differenti. Ma già che si inizi a poterne parlare, squarciando il velo dell’ideologia arcobaleno imperante, è un passo in avanti (foto: Pexels.com)

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