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Francesco d’Assisi, il «fondamentalista» che andà in Terra Santa per convertire i musulmani
NEWS 5 Agosto 2016    

Francesco d’Assisi, il «fondamentalista» che andà in Terra Santa per convertire i musulmani

di Antonio Socci

 

Forse papa Bergoglio non si è reso conto, ma ieri alla Porziuncola di Assisi, cuore del francescanesimo, egli ha reso omaggio al più grande dei “fondamentalisti cattolici”, al simbolo di quel fondamentalismo cattolico che è stato il bersaglio polemico di Bergoglio anche nella nota conferenza stampa in aereo di domenica.

In quell’occasione il papa, interrogato sul sacerdote sgozzato sull’altare a Rouen, non ha dedicato nemmeno una parola a padre Jacques, ma si è fatto in quattro per negare che quel terrorismo abbia a che fare con l’Islam.
Poi – sempre in difesa dell’Islam – Bergoglio ha aggiunto un attacco ai cattolici: “credo che in quasi tutte le religioni ci sia sempre un piccolo gruppetto fondamentalista. Noi ne abbiamo”.

Ma cos’è il “fondamentalismo”?

Significa: applicazione letterale dei testi sacri. Nella storia cattolica è proprio san Francesco colui che ha predicato l’applicazione del Vangelo alla lettera, “sine glossa”.

Bergoglio però non lo ha detto. E non ha detto che mentre i fondamentalisti islamici – applicando alla lettera il Corano e l’esempio di Maometto – proclamano la jihad, impongono la sharia, opprimono nei loro regimi le altre religioni e i diritti umani e usano la violenza, i "fondamentalisti cattolici" come san Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta, applicando alla lettera il Vangelo, fanno l’esatto opposto. Semplicemente perché Corano e Vangelo insegnano cose opposte.

Che vuol dire per san Francesco “il Vangelo sine glossa”? Si legge che Gesù nel Vangelo dice al giovane ricco: “vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10, 21).

Francesco ascoltò e seguì “alla lettera” le parole di Gesù. Lui prendeva sempre “alla lettera” quello che ascoltava dal Signore (perfino quando il crocifisso di san Damiano gli disse: “Francesco, vai e ripara la mia chiesa”).

Un altro giorno, alla Porziuncola, il santo ascoltò questa pagina del Vangelo:

“Andate e predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento…” (Mt 10, 7-11).

Era il mandato missionario di Gesù:

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

Francesco fece così “alla lettera”.

CROCIATA

E, dopo che il papa bandì la crociata (nel 1213) per liberare i luoghi santi occupati dai musulmani, che rendevano pericolosi i pellegrinaggi a Gerusalemme, anche Francesco partì.

Scriveva anni fa Franco Cardini: “nella vita di Francesco l’episodio crociato costituisce uno scandalo nello scandalo”, ma “il Francesco ‘crociato’ non è un argomento eludibile”.

Era “crociato” come lo erano tutti i pellegrini per la Terra Santa. Cardini spiega che, diversamente da ciò che pensano oggi gli ignoranti e gli anticlericali, “la crociata non è mai stata una ‘guerra di religione’, la crociata non è una ‘guerra santa’ ” per imporre la fede cattolica. No, “è un pellegrinaggio armato” il cui scopo era la liberazione e la difesa dei Luoghi Santi che erano stati occupati dai musulmani.

Così Francesco, che non portava armi, andò in pellegrinaggio: era molto pericoloso, ma lui voleva venerare fra quelle pietre la presenza di Gesù, essere tutt’uno con Lui, anche a costo della vita.

“Francesco vedeva nella crociata anzitutto l’occasione  del martirio e nel martirio la forma più alta e più pura della testimonianza cristiana” (Cardini).

Ovviamente non un martirio ricercato, che sarebbe  un peccato di superbia. Egli in tutta umiltà vuole semplicemente annunciare il Vangelo ai saraceni “perché essi credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, perché chiunque non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno dei Cieli”.

Già qui siamo agli antipodi dell’ecumenismo modernista in cui crede Bergoglio, che infatti equipara le religioni, rifiuta l’idea di predicare la conversione a musulmani e miscredenti e ha liquidato con disprezzo il “proselitismo”.

La cronaca di Giacomo da Vitry ci dice che, là in Terra Santa, “non soltanto i cristiani, ma perfino i saraceni e gli altri uomini avvolti ancora nelle tenebre dell’incredulità, quando essi (Francesco e i suoi frati) compaiono per annunziare intrepidamente il Vangelo, si sentono pieni di ammirazione per la loro umiltà e perfezione”.

Francesco “volle recarsi intrepido e munito dello scudo della sola fede all’accampamento del sultano d’Egitto”.

Viene fatto prigioniero e si fa portare da lui che era noto per la sua durezza. Ma il Sultano a vedere Francesco restò ammansito e fu turbato dalle sue parole. Poi “temendo che qualcuno dei suoi si lasciasse convertire al Signore” lasciò andare libero il santo.

SINE GLOSSA

Per Francesco la cosa essenziale era l’annuncio del Vangelo perché questo era il commando di Cristo. La vita del santo di Assisi è tutta basata sull’applicazione del Vangelo "sine glossa" e le stigmate che ricevette rappresentano proprio il “sigillo” del Cielo a questa sua totale conformità al Figlio di Dio.

Il Vangelo “alla lettera”, senza accomodamenti alla mentalità dominante, senza compromessi col mondo, è la forma suprema di "fondamentalismo cattolico".

Esattamente l’opposto di Bergoglio che combatte proprio i "dottori della lettera" (come li chiama lui), quelli cioè che, come san Francesco, gli ricordano le precise parole del Vangelo e dissentono dalla sua religione mondanizzata e accomodante (per esempio sui temi del matrimonio).

Anche su tutto il resto il santo di Assisi e il papa della teologia della liberazione sono agli antipodi.

SALVEZZA DELL’ANIMA

San Francesco non faceva che ammonire sul pericolo di finire eternamente all’inferno e sulla necessità di convertirsi e fare penitenza per andare in Paradiso (si veda la “Lettera ai governanti”).

Bergoglio invece parla solo di questioni terrene, sociali e politiche, non parla mai dell’inferno e del Purgatorio, tanto che nella sua Bolla di indizione dell’Anno Santo ha tolto ogni riferimento al Purgatorio stesso e pure alle “indulgenze” che servono a evitarlo (ieri era imbarazzato alla Porziuncola dal momento che il “Perdono di Assisi” ottenuto da san Francesco è tutto centrato proprio sull’indulgenza relativa al Purgatorio, cioè la remissione delle pene temporali).

San Francesco poi ricorda ai governanti il loro dovere di difendere la fede cristiana del popolo “e se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

Bergoglio invece sostiene i governanti più laicisti, dice “chi sono io per giudicare?” sui “principi non negoziabili” e cancella la presenza pubblica dei cattolici e la dottrina sociale della Chiesa.

San Francesco scrive ai sacerdoti che devono tributare il massimo onore “al Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo”, è per lui fondamentale, mentre Bergoglio è noto per la sua scelta di neanche inginocchiarsi davanti all’Eucaristia.

Resta l’ecologia pilastro del bergoglismo. Purtroppo però non è mai esistito un san Francesco ecologista.
Il Cantico delle creature infatti (che ricalca un salmo) non esalta la natura, la quale a quel tempo prevaleva sull’uomo e non aveva bisogno di essere “protetta” (casomai il contrario).

Il Cantico, che non rammenta gli animali (ma parla di peccato mortale e inferno), è invece un invito alla preghiera di lode a Dio, un inno alla bontà del Creatore, assai significativo in un’epoca in cui la gnosi dei Catari predicava la malignità del Demiurgo e della natura creata.

Tutt’altra cosa.