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Galimberti, quando il «progressismo» senescente scambia l’altezzosità per altezza di vedute
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9 Febbraio 2016

Galimberti, quando il «progressismo» senescente scambia l’altezzosità per altezza di vedute

di Maurizio Blondet

 

L’altra sera m’è capitato di perder tempo davanti a una tv. Andava in scena “er dibattito” sul tema del cosiddetto voltafaccia di Beppe Grillo che  ha lasciato libertà di coscienza mettendo in pericolo – con gran sgomento dei giornalisti – la pregiata legge Cirinnà sulle adozioni dei gay. A sostenere la Cirinnà e la causa dell’utero in affitto era stato convocato un personaggio che è stato presentato come “il filosofo Galimberti”, senz’altra spiegazione. Ebbene, una vera rivelazione.

Dovrebbe essere invitato a parlare a tutti i futuri Family Day perché ha il dono di far risaltare come infinitamente più umane ed intelligenti le soluzioni contro cui si scaglia, che le sue. E’ un dono da non lasciare inutilizzato. Dovrebbe essere invitato a tenere conferenze nelle Pontificie Accademie: rafforzerebbe la fede dei sacerdoti e suore vacillanti. Andrebbe lasciato esprimere liberamente nelle Facoltà di Medicina, per mostrare i danni intellettuali irreversibili che produce il Progressismo nei suoi stadi finali, quando si riduce a sbavanti insulti inarticolati. O l’irrecuperabile guasto neurologico provocato dall’ateismo militante usato senza il condom.

L’altra sera ha avuto come avversario dialettico Mario Adinolfi, l’ex deputato del Pd che l’’Espresso chiama “il guru degli ultracattolici”, che stava  con la sua stazza a fianco di un Pannella decrepito che furbamente si fingeva ormai vago di mente, per non dire ciò che volevano fargli dire. Ebbene: il “filosofo Galimberti” ha offerto una facile vittoria ad Adinolfi, ha fatto risaltare la sua freschezza dialettica, la sua agilità mentale e autentica convinzione delle sue tesi. Doti che Adinolfi ha, s’intende di suo, ma che non avrebbe fatto brillare con altrettanta efficacia senza la spalla del “filosofo Galimberti”.

Il solo argomento forte con cui il “filosofo Galimberti” riteneva di schiacciare “i cattolici” come entità ostile alle adozioni e nozze gay, è stato del tipo: “Voi cattolici dovete mettervi d’accordo con voi stessi: volendo che i figli siano allevati dai genitori naturali, maschio e femmina, diventate materialisti, invece che spiritualisti”. Essendo il “filosofo Galimberti” quel che è, si stupirebbe ad apprendere che sì, il Cattolicesimo “è” materialista; lo è in modo estremo, tanto che obbliga a credere non all’immortalità dell’anima, bensì alla “resurrezione della carne”, ossia dei corpi; senza dire che il Cattolicesimo ha sempre aborrito ogni “spiritualismo” vaporoso, in cui ha sempre sospettato lo gnosticismo, ossia la superbia teologica, chiamando ad “atti concreti” di carità.

E’ una nozione di cultura generale, a cui anche i non credenti dovrebbero essere al corrente, specie se sono filosofi (con qualche dimestichezza col pensare, il leggere la storia, la cultura). Ma il “filosofo Galimberti” non lo sa, e nemmeno ritiene di ave bisogno di sapere, per “smentire e confondere” quelli che lui chiama “i cattolici”: li sente così di basso livello rispetto alla sua elevatezza intellettuale e morale, che disdegna di argomentare con loro. Basta a schiacciarli e ammutolirli il fatto in sé, che essendo “contro la Cirinnà”, sono superstiziosi, medievali e oscurantisti. Nonché reazionari, quindi da escludere dal discorso. Ha potuto anche ignorare, il “filosofo Galimberti”, che ad esprimere dubbi sulla legge dai gay non sono stati solo i nemici che s’è scelto come bersaglio facile, “i cattolici”, bensì molte “donne della sinistra”, femministe, parlamentari del Pd, e alla fine, persino l’astuto Marco Pannella è risultato alquanto contrario alla Cirinnà, con gran disdoro dei conduttori er Dibbattito; o perlomeno ha resistito agli sforzi dei conduttori (fra cui l’israeliano Parenzo) di fargli dire che lui è pro. Furbissimo Pannella.

Miserando “filosofo Galimberti”, ha messo in piazza solo la sua rozzezza, la sua crassa ignoranza e la sua incapacità dialettica. E qui – il discorso si fa’ serio – pongo la domanda che si è posto un filosofo francese (vero), Marc Rameaux, dopo aver assistito e partecipato a simili dibattiti nel suo Paese:

Come mai coloro che si autonominano rappresentanti della “società aperta” sono così mentalmente chiusi? Non sanno suonare che un motivo “molto povero. Le fini contraddizioni che genererebbero dibattiti fra due o tre posizioni ugualmente stimabili scompaiono, perché loro le sostituiscono con un manicheismo schematico, un parco per bambini dove vige una infantilizzazione del pensiero popolata di ‘buoni’ e di ‘cattivi’, e in cui loro si conferiscono ovviamente la parte bella. Karl Popper, il padre della ‘società aperta, deve rivoltarsi nella tomba: quelli che pretendono la sua eredità hanno gettato alle ortiche ciò che ne costituisce la pietra angolare: lo spirito critico”.

“Ma questi non si rendono conto – continua il vero filosofo – che quelli che loro trattano da retrogradi  danno spesso prova di più sfumature di posizioni e più pertinenza? Mentre quelli che si ergono da sé come modelli d’apertura (cosa già di per sé ridicola) in realtà non tollerano alcun altro pensiero, se non il loro?

“Di fatto, quelli che loro bollano con l’infamante etichetta di “reazionari”, non fanno altro che richiamare il confronto delle teorie (ideologiche) con la realtà, ossia proprio ciò che permette di portare nel discorso una reale prospettiva politica”. Quelli che vengono messi nel sacco comune e intimidatorio di “cattolici”, in realtà “ hanno posizioni molto diversificate, anche in franca opposizione fra loro. Ma queste sono finezze di spirito che superano di troppo la capacità culturale di coloro che si sono coronati modelli di civiltà e di progresso; si esce di troppo dalla loro rassicurante Disneyland della filosofia politica, che permette loro di produrre rapidamente tesi, articoli e motivi con poca spesa; creando false opposizioni sempliciste che consentono la pigrizia mentale di squalificare uno dei termini del dibattito per incensare l’altro”.

Questa oligarchia del progressismo scambia “l’altezzosità per altezza di vedute” (è il caso esatto del ‘filosofo Galimberti’). Chi solleva le questioni delle difficoltà quotidiane del proprio popolo “viene bollato di ‘populista’ da questi spocchiosi” intellettuali di sinistra. Ciò che li rivela, secondo Rameaux, come “i discendenti spirituali dei nobili incipriati dell’Ancien Régime, “arroganti e infatuati di sé stessi quanto incompetenti e superficiali”: altro che progressisti, dei parrucconi benpensanti e superati.

Ciò preoccupa Rameaux per un motivo radicalmente filosofico: costoro, dominando il dibattito come fanno – ossia schiacciandolo sotto la loro boria – hanno spento la libertà e vivacità del pensiero che è stata la gloria d’Europa fin da Socrate e Platone, dalle scuole d’Atene quando si imparava che “ogni vera discussione comincia con una aporia, una impasse che pare insolubile fra due termini da qui cui il giovane discepolo apprende che un vero concetto- ciò che dà a pensiero il suo valore- non può essere mai nominato: un concetto essendo la tensione che risiede fra due tematiche contraddittorie, non è mai una sola di queste due”.

Rameaux cita al proposito Ludwig Wittgenstein, che sosteneva che “il valore in filosofia non è mai scritto, non risiedendo nel testo stesso, bensì nella tensione che esso fa’ sentite tra le righe”. E si domanda: “Siamo a tal punto regrediti in Europa, che il nostro mondo che si pretende ‘civilizzato’ nonché ‘moderno’ non riesce più a far vivere questo universo elettrico del pensiero”, perché coloro “che si vantano di incarnare la civiltà, l’apertura e il progresso” in realtà sopprimono ogni tensione nella proposizione spocchiosa di una verità ufficiale e mediocre che non bisogna sfidare.

E’ proprio così. E non parlate di Wittgenstein al ‘filosofo Galimberti’: vi risponderà, altezzoso, che dev’essere “un cattolico”. Come Adinolfi.

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