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Giulia Tramontano è vittima non di «mascolinità tossica», ma vigliacca
NEWS 2 Giugno 2023    di Giuliano Guzzo

Giulia Tramontano è vittima non di «mascolinità tossica», ma vigliacca

Chi è Alessandro Impagnatiello? Quale tipo di uomo può arrivare ad uccidere a coltellate la fidanzata al settimo mese di gravidanza, restando col suo cadavere in casa per delle ore per poi trasportarlo altrove in auto, provando a bruciarlo rendendolo quasi irriconoscibile? Bisogna partire da qui, da domande crude e dirette, per provar a comprendere – ammesso e non concesso si possa farlo – l’orrenda fine di Giulia Tramontano, la ventinovenne campana, di professione agente immobiliare e da cinque anni trasferitasi a Senago, in provincia di Milano, uccisa sabato sera. Impossibile, infatti, inquadrare un crimine tanto disumano se non ci si focalizza sulla mano che l’ha realizzato.

Ebbene, la mano, si può ormai dirlo perché ha confessato, è quella d’un trentenne – professione barman in un albergo di lusso a Milano – in costante, vertiginosa fuga dalle sue responsabilità. È la mano di un uomo che aveva già indotto la collega, un’altra donna con cui stava, ad abortire. È quella di uno che aveva perfino falsificato un test del Dna, pur di dimostrare alla stessa collega con cui aveva una relazione che Thiago, il figlio che portava in grembo Giulia Tramontano, ecco, non era suo. Al punto che, quando della sua fidanzata si son perse le tracce, il suo primo pensiero è stato scrivere a questa seconda donna – un’americana – le seguenti parole: «Se n’è andata, adesso sono libero».

Capito? Voleva sentirsi «libero», quest’uomo che ha fatto appieno suo il modello maschile dominante. Che, attenzione, non è quello, subito evocato, «del maschio bianco perfetto rappresentante della famiglia tradizionale» né della “mascolinità tossica”, bensì di quella vigliacca, dell’abbandono del senso del dovere in favore di quello del piacere. L’importante non è rispondere alla fidanzata – e neppure a tuo figlio e neppure alla collega, no: l’importante è provare ad appagare il proprio insaziabile e immaturo ego di adulto solo all’anagrafe. Costi quel che costi. Sbaglia, dunque, chi parla di quella di Impagnatiello come d’una «doppia vita»: ma quale «doppia vita»? Costui di vita, come tutti, ne aveva una sola: ma aveva scelto di riempirla di menzogne, sgombrandola da ogni cosa potesse apparire un peso: persone incluse.

Il fatto che poi questo killer – al di là di ciò che è stato in grado di commettere, uccidendo fidanzata e figlio e facendo come già si ricordava abortire la collega amante – fosse già padre d’un bambino di 6 anni, avuto da una ex compagna, non è che la ciliegina su questa velenosa torta esistenziale, esplosa poco dopo che le due donne ne avevano scoperto il vero impasto. Guai, dunque, a considerare un omicida così come prodotto del caso, dato che egli è solo quello, certamente estremo e brutale, del conformismo, del voler vivere “a mongolfiera”, scaricando cioè pesi, affetti e figli indistintamente. Perché ciò che conta, in quest’ottica, è solo essere «liberi». Null’altro. Peccato che la vita vera e piena sia l’opposto, ovvero vincolarsi con delle responsabilità e affrontarle. Pure quando impegnative; anzi, soprattutto allora (Fonte foto: Facebook).

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