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Gli effetti della “dolce morte”
NEWS 27 Settembre 2019    di Giuliano Guzzo

Gli effetti della “dolce morte”

Adesso che la nostra Corte Costituzionale ha pensato bene di «aprire» al suicidio assistito, ancorché ponendo dei paletti (paziente consapevole, sottoposto a trattamenti salvavita e in presenza di patologie irreversibili che causano sofferenze fisiche e psicologiche), è lecito chiedersi: che cosa accadrà in Italia? Quali saranno le conseguenze del riconoscimento ufficiale della «dolce morte», secondo solo a quello indiretto introdotto con il biotestamento eutanasico già nel 2017? Non c’è modo migliore, per rispondere a questa domanda, che una breve panoramica internazionale sui Paesi che la «dolce morte» l’hanno già introdotta e che son caratterizzati – tutti – da una preoccupante escalation mortifera.

OLANDA

Iniziamo con l’Olanda dove, nel 2018, le morti anticipate sono calate rispetto all’anno precedente del 7%. Fatto positivo, certo, ma da esaminare criticamente con delle considerazioni. La prima concerne il fatto che, se da un lato è vero che nel 2018 le morti indotte (6.126) sono calate di oltre 450 casi rispetto ai 6.585 decessi 2017, dall’altro occorrerà aspettare quanto meno l’anno prossimo prima di trarre qualsivoglia conclusione sul fenomeno. Tanto per cominciare perché un calo, anche se più ridotto, della «dolce morte» nei Paesi Bassi si è già verificato ben due volte – nel 2003 rispetto al 2002 e nel 2006 rispetto al 2015 –, senza che questo, nei fatti, abbia poi impedito un aumento esponenziale della stessa.

Va poi sottolineato come i dati parziali dei primi mesi del 2019 pare siano peggiori di quelli dell’anno precedente. In terzo luogo, gli esperti segnalano come ogni anno una percentuale di morti indotte che va dal 20 al 23% sfugga, per molteplici ragioni, alle statistiche ufficiali. Per non parlare inoltre della diversificazione della platea di quanti esercitano il cosiddetto “diritto di morire”: lo scorso anno, in Olanda, quasi 70 persone hanno ottenuto l’eutanasia non solo pur non essendo malate terminali, ma anche non soffrendo di alcuna patologia che non fosse relativa a condizioni psichiatriche. Sempre nel 2018, si è confermato il radicamento di un fenomeno nuovo quanto inquietante: quello delle coppie che ottengono l’eutanasia. Insieme. Se ne sono contati ben 9 casi anche se solo di uno di questi si hanno informazioni: quello di una coppia nella quale il marito aveva il cancro all’esofago e la moglie la sclerosi multipla, e in cui entrambi hanno chiesto di morire motivando tale desiderio con il disagio ravvisato dalla «prospettiva di dover essere assistito da estranei e nell’incapacità di vivere in modo indipendente».

BELGIO

Se l’esperienza olandese in fatto di «dolce morte» è e resta quindi molto negativa, quella del Belgio non è certo migliore. Tanto per cominciare perché i numeri evidenziano come i primi 235 casi di «dolce morte» del 2003 siano lievitati ad oltre 1.000 già nel 2011, in meno di dieci anni, per poi salire fino agli oltre 2350 del 2018. Non solo. Uno studio pubblicato nel marzo 2015 su The New England Journal of Medicine, basato sui dati del 2013, ha messo in evidenza come solo quell’anno più di 1.000 persone siano decedute con procedure di morte assistita mai richieste in precedenza. E non mancano fatti singoli molto inquietanti. Basti pensare a Godelieva De Troyer, uccisa nell’aprile 2012, a 65 anni, dal dottor Wim Distelmans solo perché depressa e senza neppure che i figli della donna ne fossero informati.

CANADA

D’accordo – si potrebbe obiettare – ma forse sono Olanda e Belgio ad essere stati incapaci, come Paesi, nella gestione sanitaria e culturale della «dolce morte». Un’osservazione a cui si può replicare con un terzo esempio: quello del Canada, da dove poche settimane fa è arrivata la notizia della sconvolgente storia di Sean Tagert, un malato di Sla di 41 anni della British Columbia che ha chiesto e ottenuto la «medically-assisted death», formula con cui il sistema sanitario canadese offre sia l’opzione eutanasica sia il suicidio assistito, non perché piegato sofferenza, ma perché abbandonato dallo Stato in condizioni critiche e perché non riusciva a pagarsi l’assistenza domiciliare di cui aveva bisogno. A proposito di quattrini, «dolce morte» e Canada, uno studio apparso nel 2017 sul Canadian Medical Association Journal ha stimato in 138 milioni di dollari annui il risparmio cui, a regime, potrebbe portare l’eutanasia. Segno che il cosiddetto diritto di morire inizia ad essere apertamente considerato come un modo per far quadrare i conti.

Morale della favola, che si guardi all’Olanda, al Belgio o al Canada, la musica non cambia: ovunque si sia introdotta la «dolce morte», si sono nel giro di poco spalancate le porte dell’inferno. Ma che ne sa la Consulta.


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