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I cristiani iracheni sono ancora martoriati. Un reportage coraggioso racconta la loro tragedia
NEWS 12 Maggio 2016    

I cristiani iracheni sono ancora martoriati. Un reportage coraggioso racconta la loro tragedia

di Fausto Biloslavo
 
La nostra tragedia non fa più notizia. Per questo siamo stati dimenticati anche se ancora vittime di un orribile conflitto. Abbiamo perso tutto e tanti cristiani vivono in miseria”. Le parole amare di padre Jalal Yako spiegano perché Gli occhi della guerra ed il Rotary del distretto 2050 hanno fortemente voluto il reportage sui profughi dimenticati che stiamo realizzando. Per ora vi proponiamo dei brevi video servizi, che danno l’idea del documentario che presenteremo il 7 giugno a Cremona.

Il campo di sfollati Asthy 1, che significa “pace”, ospita ad Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, un migliaio di cristiani.

Nel 2014 sono fuggiti in 120mila dalla piana di Ninive davanti all’avanzata della bandiere nere. “Venite, venite a vedere. Questa è la nostra cucina. Viviamo e facciamo tutto in quest’unica stanza. Avevamo una casa grande e confortevole, ma siamo fuggiti perché le bandiere nere volevano tagliarci la gola” sbotta Najat Mecael, una donnona cristiana. Ci fa entrare nel container adibito ad appartamento allineato ad altri “loculi” del genere in un cupo e buio ex magazzino militare di Saddam Hussein.  All’esterno una fogna a cielo aperto non solo ammorba l’aria, ma rischia di infettare il vicino pozzo dell’acqua.

Molti cristiani sono ospitati in case vere e proprie, ma costretti a dividere poche stanze in diverse famiglie. Per non parlare dei prezzi degli affitti, che fin dall’inizio della crisi sono schizzati in su per speculare sulla pelle dei rifugiati.

Non c’è da stupirsi se i cristiani continuano ad essere in fuga alla ricerca di un Eldorado europeo, che non esiste più. Ogni mese 3-4 famiglie partono affidandosi ai trafficanti di uomini. Lo scorso autunno ci hanno provato anche i Maroqi. Su 11 sono annegati in 8 nel mar Egeo. La metà erano bambini. La più piccola si chiamava Anji e aveva solo tre anni e mezzo. A fine gennaio hanno deciso di partire in 200, ma sono tornati indietro in tanti dopo aver speso 600 dollari a testa nel pericoloso tentativo di attraversare l’Egeo.

Fair Morzena raduna ad Erbil una dozzina di cristiani sopravvissuti per raccontare tutta la storia in aramaico, l’unica lingua di Gesù. “In Turchia ci facevano dormire come bestie in locali angusti o nelle stalle fra i monti per raggiungere il mare – racconta Morzena – I trafficanti prendevano i nostri bambini e con la minaccia delle armi li buttavano nel gommone per far salire le mamme e gli uomini. Non volevamo perché ci avevano promesso una barca vera e sicura”. Appena partiti il motore si è fermato ed un’onda ha allagato il gommone. “I bambini piangevano e gridavano inzuppati d’acqua”. I cristiani invocavano la Madonna, ma altre onde hanno capovolto il gommone. “Bambini e donne in cinta sono finiti in mare – ricorda Morzena – Ci siamo salvati per miracolo”.

Fabriona piange pensando al marito, che è a Vienna e vorrebbe disperatamente raggiungere con i due figli di 5 e 7 anni. “È stato terribile. Non faremo mai più questo viaggio infernale. Noi cristiani vogliamo andare in Europa, ma con un visto” sottolinea fra le lacrime.

Nonostante le belle parole davanti all’esodo provocato dallo Stato islamico solo la Francia ha aperto le porte ai cristiani. Chi è riuscito ad arrivare in Europa comincia a tornare indietro, soprattutto dai paesi dell’Est come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, ma pure dalla Germania dove non tutto è rose e fiori. Fabronia, la giovane mamma di 27 anni, non riesce a darsi pace. In fuga dal Califfo per la sua fede ha rischiato di annegare nell’Egeo. Si sente abbandonata dai paesi cristiani come l’Italia. E si appella a Papa Francesco: “Santo Padre puoi aiutarci in qualche modo?”.